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Diario da Istanbul/2 - Bus, tram e traghetti gratuiti, una pacchia

Istanbul, mercoledì 27 luglio 2016

Oggi è l'ultimo giorno di trasporti pubblici gratis e sembra che l'intera popolazione di Istanbul ne abbia approfittato per andare a zonzo per la città. Autobus, metropolitana e soprattutto i traghetti sul Bosforo sono carichi di famiglie con bambini. Probabilmente arrivano dalla periferia, le donne sono con l'hijab, che qui in Turchia si indossa sopra una sorta di berretto che copre i capelli raccolti sulla nuca oppure con il chador nero alla maniera saudita. Pensare che fino a pochi anni fa il velo era proibito in Turchia. Al palazzo Dolmabahce ho visto diverse coppie e anche diverse uomini con le loro mogli.
Anche io mi sono divertita a saltare da un mezzo pubblico all'altro come fossi alle giostre.  Ho preso il tram da Sultanahmet e sono andata fino al capolinea di Kabatas.  Da qui ho camminato fino alla fermata dei traghetti a Besiktas e sono passata sulla sponda asiatica, a Uskudar, che è di fronte.  Dal ferry si vede il ponte sullo stretto del Bosforo che è stato ribattezzato "15th July Martyrs" in onore delle decine di civili uccisi proprio qui sopra nel tentativo di respingere i golpisti.  Ho scorrazzato su e giù per il Bosforo per un po' fino a quando sono tornata in Europa, a Kabatas, dove c'è la funiculare per Taksim Square. C'era ancora un grande palco sulla piazza dove domenica ci sono state manifestazioni pro e anti governative.  Ma adesso era vuota. C'era invece una fiumana di gente a Istlikal Kaddesi, la storica Grand Rue de Pera, la via dello shopping e dello struscio. Leggo che questa via, oggi molto commerciale, era nell'Ottocento il simbolo della moderna Costantinopoli, la "Parigi dell'Est" per molti occidentali.
Lungo i circa tre chilometri di strada fino alla metropolitana di Tunel c'è uno storico tramway, anche quello un simbolo, tanto che è raffigurato nelle cartoline e souvenir. Gruppi di giovani erano assiepati sul predellino mentre il mezzo fendeva la folla scampanellando in continuazione.
In questo ambiente festoso e rilassato mi sono dimenticata che è in vigore lo stato di emergenza dichiarato dal governo Erdogan dopo il fallito golpe e il massacro di 250 persone. La rappresaglia continua con migliaia di arresti, tra cui anche giornalisti accusati di coinvolgimento con il misterioso imam Gulen, capo di un'organizzazione che qui chiamano Feto (Fethullah Gulen Terrorist Organisation).
Nella notte è stato arrestato anche Bulent Mumay, un commentatore liberal che era sulla lista di 47 giornalisti ricercati e che era stato intervistato da RaiNews24. Sono notizie che fanno venire i brividi e che gettano ombre inquietanti sulle purghe ordinate da Erdogan per punire i golpisti.




Diario da Istanbul/1- Dieci giorni dopo il golpe, la citta' è tappezzata di bandiere

Istanbul, 25 luglio 2016
   Dalla terrazza del mio ostello a Sultanahmet si vede il ponte sul Bosforo dove dieci giorni fa si e’ scritto un nuovo capitolo nella storia della Turchia. Questa citta’ sorge su una delle faglie del pianeta dove le grandi civilta’ religiose si scontrano di tanto in tanto come le zolle tettoniche.
   Sono arrivata all’alba quando Istanbul si stava risvegliando in una luce che sembrava filtrare dalle tende rosa di un’alcova. Quanto e’ seducente e sensuale questa citta’ con i suoi minareti e i grattacieli che spuntano dalle morbide curvature delle colline! E’ una citta’ che mi da emozioni come Gerusalemme, anche quella sulla stessa spaccatura dell’umanita’.
   Il fallito golpe, con la sua scia di sangue, ha scatenato un’ondata di patriottismo. La citta’ e’ tappezzata da bandiere rosse con la mezzaluna. Il vento che soffia forte oggi le fa sventolare dai monumenti, ponti, negozi, balconi, taxi e perfino sui mezzi della raccolta rifiuti. Alcuni indossano T-shirt con la bandiera nazionale.
   Sembra che la Turchia abbia vinto gli Europei non che abbia sventato un golpe. Eppure, leggendo i giornali, c’e’uno stato di emergenza e le epurazioni continuano. Ho fatto un giro al Grand Bazar e poi nello spiazzo tra la Moschea Blu e Hagia Sophia.La presenza della polizia e’ la stessa di quella di giugno, quando ero qui prima dell’attentato all’aeroporto.
   Non ci sono turisti occidentali, ma ci sono indiani e asiatici. Il Grand Bazar era vuoto, quello si’, ma magari non e’ stagione di shopping, e poi non so se e’ un posto dove va la gente di Istanbul, e’ molto caro. C’era invece molta gente nelle strade intorno e nelle lokantasi, nelle locande dove cucinano i kebab. Dopo il golpe, i mezzi di trasporto, tram e ferry, sono gratuiti. Un marocchino che e’ nel mio stesso ostello ne ha approfittato per vedere le periferie. Istanbul e’ una megalopoli da 18 milioni di abitanti, grande come New Delhi. Quella visitata dei turisti e’ una minuscola parte.
   E’ soprendente come tutto sia normale, almeno qui a Sultanahmet, e come la gente ne parli apertamente e anche con un po’di rassegnazione. Ovviamente la maggiore preoccupazione qui e’ il crollo del turismo, ma non si avverte un senso di disperazione. C’e’ una abitudine, lo si sa che e’ cosi’ quando si nasce e si vive in una citta’ sulla faglia piu’ pericolosa del mondo.

Diario da Istanbul/5 - Il museo dell’ossessione per Füsun

Istanbul, 18 giugno 2016

Ho fatto il contrario, sono andata a visitare il Museo dell’Innocenza dello scrittore Nobel, Orhan Pamuk, nel popolare quartiere di Çukurcuma , e poi ho iniziato a leggere il libro. Una follia, un’ossessione quasi patologica per una donna, come poteva essere quella dei poeti romantici o dei latini come Catullo. Ma anche un’idea interessante su come documentare il passato attraverso gli oggetti di uso quotidiano. “Le buone cose di pessimo gusto” per dirla con Guido Gozzano, l’aristocratico piemontese che allo stesso modo anelava per la signorina Felicita.


Riproduco qui gli 11 punti del suo “A Modest manifesto for museums” perche’ mi sembra geniale.

1/ Large national museums such as the Louvre and the Hermitage took shape and turned into essential tourist destinations alongside the opening of royal and imperial palaces to the public. These institutions, now national symbols, present the story of the nation – history, in a word – as being far more important than the stories of individuals. This is unfortunate, because the stories of individuals are much better suited to displaying the depths of our humanity.
2/ We can see that the transitions from palaces to national museums and from epics to novels are parallel processes. Epics are like palaces and speak of the heroic exploits of the old kings who lived in them. National museums, then, should be like novels; but they are not.
3/ We don’t need more museums that try to construct the historical narratives of a society, community, team, nation, state, tribe, company, or species. We all know that the ordinary, everyday stories of individuals are richer, more humane, and much more joyful.
4/ Demonstrating the wealth of Chinese, Indian, Mexican, Iranian, or Turkish history and culture is not an issue – it must be done, of course, but it is not difficult to do. The real challenge is to use museums to tell, with the same brilliance, depth, and power, the stories of the individual human beings living in these countries.
5/ The measure of a museum’s success should not be its ability to represent a state, a nation or company, or a particular history. It should be its capacity to reveal the humanity of individuals.
6/ It is imperative that museums become smaller, more individualistic, and cheaper. This is the only way that they will ever tell stories on a human scale. Big museums with their wide doors call upon us to forget our humanity and embrace the state and its human masses. This is why millions outside the Western world are afraid of going to museums.
7/ The aim of present and future museums must not be to represent the state, but to re-create the world of single human beings – the same human beings who have labored under ruthless oppression for hundreds of years.
8/ The resources that are channeled into monumental, symbolic museums should be diverted into smaller museums that tell the stories of individuals. These resources should also be used to encourage and support people in turning their own small homes and stories into “exhibition” spaces.
9/ If objects are not uprooted from their environs and their streets, but are situated with care and ingenuity in their natural homes, they will already portray their own stories.
10/ Monumental buildings that dominate neighborhoods and entire cities do not bring out our humanity; on the contrary, they quash it. Instead, we need modest museums that honor the neighborhoods and streets and the homes and shops nearby, and turn them into elements of their exhibitions.
11/ The future of museums is inside our own homes.

Diario da Istanbul/3 - In calesse sulle isole dei Principi

Istanbul, 17 giugno 2016

   A circa un’ora da Istanbul, sul mar di Marmara, ci sono alcune isole dove sorgono le storiche ville della ricca borghesia turca. Sono popolarmente chiamate “Prince’s islands’”, perche’ vi andavano in esilio nobili perseguitati e anche dissidenti, tra cui il rivoluzionario bolscevico Lev Trotsky espulso nel 1929 dall’Urss. Ma leggo anche che erano abitate da greci e armeni, ed ecco perche’ ci sono molti monasteri ortodossi.
   Io mi sono fermata sulla piu’ grande, Buyukada, dove ho passeggiato per ore tra le vie senza auto. Sulle isole e’ infatti vietata la circolazione. Ci sono dei calessi trainati da due cavalli, come nell’Ottocento, biciclette e motorette elettriche. La natura e’ rigogliosa e la pace assoluta, perfino un po’ troppo per i miei gusti.
 A guardare le ville neoclassiche con i giardini curati e le strade ornate da oleandri e palme, e la vista sulle acque scure del Mar di Marmara, mi sembrava di essere sul lago di Stresa.




Diario da Istanbul/2 - Nella moschea di Solimano il Magnfico a difendere il Cristianesimo

Istanbul, 12 giugno 2016

   Oggi sono stata nella moschea del sultano turco Solimano il Magnifico, la piu' grande di Istanbul, arroccata su uno dei sette colli della citta' davanti allo stretto del Bosforo.  E' stata costruita dal suo architetto preferito, Mimar Sinan, che e' seppellito qui. Sinan ha costruito una miriade di moschee, piu' o meno tutte nello stesso stile, ispirandosi alla basilica di Santa Sofia costruita mille anni prima. Pare che Sinan, contemporaneo di Michelangelo,  fosse ossessionato dal replicare la cupola della chiesa dell'imperatore romano Giustiniano.
    Entrata nella moschea sono stata avvicinata da un giovane volontario che si occupa di fornire informazioni ai turisti sull'Islam. Gli ho chiesto degli affreschi della cupola che sembrano usciti dal pennello di qualche artista rinascimentale. Mi ha detto che le decorazioni in effetti non sono originali, ma sono state fatte da artisti italiani. Poi da li' e' partita una discussione sull'uso delle immagini nelle moschee e su come l'Islam vieta ogni forma di rappresentazione di esseri viventi (anche animali) per il rischio che il fedele diventi un idolatra. Il discorso si e' poi allargato ad esaminare le differenze con il  Cristianesimo che e' stato "incorporato", da  Adamo a Gesu' compreso, tutti profeti prima di Maometto.
   Il volontario, un giovane barbuto che mi ha detto di essersi avvicinato all'Islam solo da due anni, voleva convicermi della 'superiorita'' della sua religione rispetto al Cristianesimo con delle argomentazioni che - devo riconoscere - avevano una certa logica. Ho perfino pensato che forse aveva seguito un addestramento perche' ribatteva punto su punto alle mie argomentazioni come se avesse gia' in mente una risposta.
   In particolare criticava il ruolo della Chiesa, come un ostacolo tra Dio e il fedele. "Per farvi perdonare i peccati - diceva - avete bisogno dell'intercessione di un prete, per noi invece e' un affare che coinvolge direttamente il peccatore e Dio". Poi sulla Bibbia:  e' stata scritta da qualcuno, mentre il Corano sono le parole dette da Allah a Maometto che le ha ripetute ad altri i quali le hanno memorizzate.  Ancora oggi si memorizza il Corano in arabo senza manco sapere che vuol dire...
   Insomma, proprio come e' successo negli ultimi mille anni in questo luogo, mi sono trovata a difendere il Cristianesimo...senza molto successo dato che la mia fede non e' cosi' forte, ma - lo ammetto senza vergogna - deriva piu' che altro da una questione di appartenenza alla tradizione culturale cristiana.
   Quando sono uscita, un paio di ore dopo...era ormai ora dell'Iftar, la cena serale che rompe il digiuno, Centinaia di famiglie erano sedute ai tavoli in attesa del tramonto. Poi e' partito il canto del primo muezzin, poi il secondo, il terzo, e in tutta la citta' e' risuonata l'ode ad Allah e il richiamo alla preghiera.    

Diario da Istanbul/1 - Spariti i turisti per le bombe, ho la citta' a disposizione

Istanbul,  10 giugno 2016 

    Non ci sono turisti a Istanbul. La strage di turisti tedeschi a gennaio davanti alla Moschea Blu ha azzerato il turismo. L'attentato di un paio di giorni fa contro la polizia ha poi assestato il colpo di grazia defiitivo. Soli pochi intrepidi fatalisti si avventurano ormai da queste parti con la guerra alle porte e 3 milioi di profughi siriani (che non si vedono qui).
   Il vantaggio e' che si ha quindi l'intera offerta turistica a propria disposizione, Non sono mai stata a Istanbul, ma penso che in tempi normali ci dovevano essere folle di stranieri, Lo deduco dallle transenne per gestire immaginarie file all'ingresso della Mosche Blu e dalla quantita'  enorme di ristoranti e kebaberie nei pressi dei monumenti. Adesso con il Ramadan alla sera sono pieni di gente del posto.
    Al museo archeologico, che e' nel complesso del palazzo del sultano Topkaki, ero praticamente da sola, L'ostello "Cherry" dove sono a Sultanahmet, un bellissimo palazzo antico con terrazza gestito da due donne un po' alternative, e' semivuoto,  Idem per i traghetti che fanno il giro del Bosforo o che vanno alle Prince Islands sul Mar di Marmara.
    Mi dicono che le perdite sono state del 30% dall'inizio dell'anno. Non so se si riprenderanno con la stagione estiva,
   La tensione c'e' e si vede dalla presenza della polizia, Oggi ho passato un po' di tempo seduta su una panchina dove lo scorso 12 gennaio un kamikaze, pare un militante dell'Isis, si e' fatto  esplodere, E' stato davanti all'obelisco egizio che l'imperatore Teodosio fece portare a Costantinopoli per ornare l'ippodromo.
   Ogni tanto davanti al monumento si fermava qualche gruppo. Immaginavo l'attentatore con pesante giubbotto che si lanciava nel mezzo e che si faceva esplodere. Sul web ci sono delle foto con i cadaveri a terra orribilmente mutilati. Chissa', anche sulla panchina dove mi sono seduta, molto probabilmente e' finito qualche brandello di carne.,,,
   Ho visto gli attacchi suicidi di Gerusalemme e Tel Aviv a meta' anni Novanta, poi quelli a Colombo delle Tigri Tamil,  ai mercati di New Delhi e contro la processione di Benazir Bhutto a Karachi. Cambia il palcoscenico, ma il copione della  carneficina e' sempre lo stesso. Purtroppo da noi in Europa la memoria e' corta, sono decenni che la gente muore di terrorismo in Medio Oriente e Asia.