DIARIO DI VIAGGIO/ Da Manali a Srinagar via Leh in 10 giorni

   Mentre in Uttarakhand, alle sorgenti del sacro Gange, c’erano migliaia di persone intrappolate dalle alluvioni e c’era un fuggi fuggi generale dalle vallate himalayane, sono partita per il Ladakh. Sono stata fortunata, perché’ come sempre dopo (e prima) la tempesta c’è sempre la quiete. Ho visto l’Himalaya in tutto il suo splendore e anche candore, giacché quest’anno è nevicato fino ad aprile e quindi erano ancora tutte incappucciate di bianco.
   Io e mia figlia abbiamo deciso di andare a Manali e poi da li’ decidere in base alla situazione meteo e i disastri creati dallo ‘tsunami himalayano’ come lo hanno soprannominato i media. E così siamo finite a Srinagar, in Kashmir ...dieci giorni dopo con una cavalcata ‘’on the road’’ fantastica di mille chilometri sulle strade – per me – più belle del mondo.
   Non mi piace andare in fretta, sono una adepta dello ‘’slow travelling’’ ma dovevamo tornare a Delhi per una certa data. Poiché tutto sommato è andata bene, siamo sopravvissute al tour de force, ci siamo divertite e abbiamo fatto una grande quantità di cose con un budget limitato, ho pensato di raccontarlo a mo’ di guida di viaggio: dal Ladakh al Kashmir – Manali-Leh-Srinagar – 900 chilometri in dieci giorni attraverso un paio di valichi di oltre 5 mila metri e altri due di oltre 4 mila metri .

Giorno 1 - Delhi - Manali    Il bus parte da Majnu Katila, la comunità tibetana a nord di Delhi. Ci siamo presentate già con scarponi, giaccone e zaino. La partenza era prevista alle 17, ma il bus è arrivato un ‘ora e mezza dopo. Giusto il tempo per un piatto di momo, tanto per familiarizzare un po’ con il cibo che si mangerà nei prossimi giorni e una girata alle ruote delle preghiere, che porta sempre bene.

Giorno 2 - Manali
    Il bus, uno ‘’semi sleeper’’ (vuol dire che si abbassano le poltrone) era comodo, e come sempre gli stranieri sono privilegiati, li mettono ai primi posti dove si può allungare le gambe. In piu’ avevo anche il diritto a caricare il telefonino nel cruscotto dell’autista. Siamo arrivate alle sette e ci ha subito aggredito la calca di Manali, che purtroppo a questa stagione di ferie indiane è piu’ trafficata (e inquinata) di Delhi. Manali deve il suo nome a Manu, il ‘’Noè indiano’’ che sarebbe sbarcato proprio qui durante il Diluvio Universale.
A piedi abbiamo fatto, dribblando il traffico, quattro chilometri, fino a salire al villaggio di Vashisth, un gioiellino che per fortuna e’ rimasto (quasi) intatto allo sviluppo edilizio.

Giorno 3 Vashisth
   Uno delle chicche di Vashisht sono le acque termali che sgorgano dentro un vecchio tempio. I residenti, in due separati locali, li usano per lavarsi. Ma l’acqua è così calda che non ci si può immergersi!  La vita qui scorre calma, tra mucche al pascolo e i contadini che sono impegnati con la mietitura, in questa stagione. Le stoppie poi le devono schiacciare per sistemarle nel fienile. Alcuni li mettono sull’asfalto, dove lasciano alle macchine e camion il lavoro. A qualche chilometro c’è anche una cascata, con un sentiero in mezzo a una pineta, posti carini, dove prendere un chai. E’ perfetto insomma. Alloggiamo in una bella guest house, View Valley, a 600 rupie.
Facciamo anche un fuori programma, in moto, a Naggar, a circa trenta chilometri, dove visse il famoso pittore russo Nicholas Roerich.
Alla sera si va a trovare Rosalba che ha un ristorante all’ingresso del Paese e che è la madre di un campione di bob. Una storia incredibile che avevo scritto per l’ANSA (vedi qui)

Giorno 4 - Manali- Leh    L’idea iniziale era di andarci in Royal Enfield, una cosa molto ‘’macho’’, ma poi non sono riuscita a trovare delle moto. Sembra che quest’anno tutti vadano con la Enfield in Ladakh. Ovviamente per me che sono da sola, donna (quindi inaffidabile secondo la maggior parte degli affittamoto) e per di più con una figlia appresso, non c’era nulla a parte qualche ferrovecchio, La risposta piu’ gentile è stata ‘’perché non affitti uno ‘’scooty’’ per andare a fare in giro qui intorno’’. Quindi non rimaneva che il pulmino. I prezzi sono alle stelle quest’anno, 2000 rupie a testa, ma sono 500 chilometri di una delle strade più avventurose del mondo. Si parte alle due di notte e all’alba si scende dal Rohtang Pass (3.980 metri), poi c’è il Baracha-La a 5.300 metri e 18 chilometri di serpentina. Un altipiano deserto di 40 chilometri che sembra di essere sulla luna e poi il Tanglang-La (5.328 metri). Raccattiamo anche due ragazzi che hanno rotto la moto e che si siedono per terra tra i sedili. Al tramonto, dopo sedici ore, un’infinita serie di soste e un forte mal di testa, si intravedono i primi segni di presenza umana alla fine di un canyon che sbuca nella valle dell’Indo. Leh e’ vicina. E’ fatta. La tensione si scioglie e a bordo tutti applaudono.

Giorno 5 – Leh    Purtroppo Leh sta diventando una metropoli e non ci si può fare nulla. Io me la ricordo la prima volta che ci sono stata nel 2006. Stiamo a Changspa, che e’ il ghetto turistico, affollato, ma pieno di comodità. Stiamo in una delle tante guesthouse a conduzione familiare in una casa con il giardino, nella camera più bella, tutta vetri, piena di tappeti e l’arredo tibetano. Si visita Shani Stupa, il palazzo reale e più in alto il mitico Tzemo, il vecchio castello sul cucuzzolo. C’è un ingresso di 40 rupie per entrare e fare il giro nella balconata piena di bandierine colorate tibetane. Ci arriviamo in modo anomalo dal retro trascinando le bici che abbiamo affittato. Da lì si scende a rotta di collo fino al vecchio bazar dove – per fortuna – ancora è tutto intatto comprese le trattorie dove mangiare momo o tupka, zuppa di noodles.

Giorno 6 - Leh- Spituk
    Affitto una Pulsar e vado un po’ a zonzo lungo l’Indo per impratichirmi un po’ e poi perché è tutto in piano. Passando per una stradina lungo risaie e totem di sabbia arrivo alla gompa di Spituk che è quella più vicina a Leh.

Giorno 7 - Leh – Lamayuru    Si parte in moto con l’idea di fare tutti i 500 chilometri della Leh-Srinagar, ma i ladakhi non accettano che io lasci la moto in Kashmir, e quindi la dovrò lasciare a Lamayuru, che secondo me è uno dei più belli tra i monasteri del Ladakh. Ci si arriva seguendo l’Indo che è di un azzurro pastello e dove ogni tanto, si vedono dei gommoni da rafting. Ci fermiamo in un’insenatura, vorrei fare il bagno, ma è ghiacciato...
A metà strada c’è Alchi, che e’ l’unico monastero in basso e anche quello più antico e con più affreschi. Sembra ormai un museo più che un monastero.

Giorno 8 – Lamayuru
    Purtroppo i segni dell’alluvione dell’agosto 2010 sono ancora molto visibili. Parte del villaggio sembra essere stato spazzato via da frane. Hanno piantato alcuni alberi per trattenere il terreno. Intorno a Lamayuru c’e’ un deserto dai colori ocra e le rocce appuntite che si chiama ‘’Moonland’’ e che era probabilmente un lago.
    E’ appena terminato un festival e tutto il Paese è pieno di bandierine. C’è una lotteria su un campetto sportivo, sembra che tuttala vallata si sia radunata qui. Ho l’occasione di vedere i vestiti tradizionali, le palandrane lunghe con degli scialli di pelo di yak e gli ornamenti di turchesi e corallo. Stiamo in una gest-house, Temple View, che è ormai a pezzi. Me la ricordavo meglio, ma non ci sono molti posti dove dormire. C’è internet, anche, in una specie di sgabuzzino dove c’è un gigantesco server e ogni tipo di cianfrusaglie. Tutti gli stranieri di Lamayuru sono qui con I-pad e telefonini

Giorno 9 – Lamayuru-Srinagar    Il bus per Srinagar (12 ore) passa alle 17,ma non lo prendiamo perché’ costa troppo. Prendiamo un passaggio da un pulmino fino a Kargil attraverso il Fotu-La ( 4.108 metri) che poi mi fa pagare e quindi tanto valeva. Viaggiamo di notte in una strada, forse peggiore della Manali-Leh che attraverso il Zoji-La (3.528) . Nel dormiveglia su un bus scassatissimo che salta come un cavallo imbizzarrito, vedo che ci sono due costoni di ghiaccio. Drass è il posto più freddo dell’India. All’alba siamo ormai in Kashmir, è di nuovo verde e compaiono delle case. Srinagar è blindata dall’ennesimo sciopero dei separatisti e poi perché’ arriva il premier Manmohan Singh e la leader del Congresso Sonia Gandhi.

Giorno 10 – Srinagar
   Alloggiamo in una catapecchia allucinante, a Dal Gate, dove ci sono le houseboat, che sembra che venga giù da un momento all’altro. Il prezzo, 200 rupie è allettante e poi i fratelli che la gestiscono sono simpaticissimi. il ‘’roof top’’ è indescrivibile praticamente un sottotetto e ci si arriva su delle assi pericolanti. Il tetto del bagno è sfondato.
Incontro un giovane antropologo, Simone Mestroni, che ha passato qui due anni e che ha appena scritto una interessantissima tesi di dottorato all’università di Messina che si intitola ‘’Separatismo kashmiri: genealogie, pratiche, immaginari’’.
La guesthouse ci affitta una barchetta, anche questa malandata, con cui raggiungiamo il centro del lago, dove ci sono i barconi fissi usati per fare ‘’sci d’acqua’’. E’ divertente perché è sempre come lo avevo visto una decina di anni fa quando ci sono venuta per la prima volta, su una tavola di legno...Faccio il bagno, ma ci sono moltissime alghe, è vero che il Dal Lake si sta atrofizzando.
Visita d’obbligo, nella vecchia Srinagar, alla ‘’tomba di Gesù’’, venerata fin dall’antichità dai mussulmani come tomba del profeta Gesu’. Riesco a rubare una foto di nascosto prima che il guardiano mi sorprenda. Cena nello storico Mughal Darbar dove si mangia i ‘’gustaba’’, specie di polpettoni alla carne di agnello con un sugo allo zenzero.

Maro', si naviga ancora in alto mare

New Delhi, 14 giugno 2013

In coincidenza con la visita dell'inviato speciale del governo Staffan de Mistura, la quinta dopo il drammatico ritorno dei maro', si e' tornato a parlare del caso che da 16 mesi monopolizza le relazioni fra India e Italia. In effetti sulla vicenda non si sa piu' nulla e non e' ben chiaro quale sia l'azione del nuovo governo Letta. L'unica decisione significativa e' stata quella di affidare la negoziazione a De Mistura, che da viceministro e' diventato ''inviato speciale''.  Tra lui e il ministro degli Esteri Salman Khurshid c'e' una buona ''chemistry'', come si dice in inglese, e di fatti si vede dalle dichiarazioni distese di entrambi.
Il che non vuol dire che ci sara' pero' una soluzione breve per Latorre e Girone che si preparano a passare il loro secondo monsone in India. Come al solito c'e' molta ignoranza e disinformazione del caso nonostante i fiumi di inchiostro che si scrivono in Italia, compresi anche i libri-rivelazione del tipo ''tutto-quello-che-non-vi-hanno-detto''. Per quanto ne ho capito, vedendola da qui, la situazione e' la seguente :

1) Respingendo il ricorso italiano, il 26 aprile la Corte Suprema di New Delhi ha confermato l'incarico alla polizia anti terrorismo Nia (National Investigation Agency) come suggerito dal governo indiano. Perche' e' stata scelta la Nia? Non a caso. Perche' puo' invocare una legge contro la pirateria internazionale che permette all'India di processare sospetti terroristi o pirati anche in acque internazionali. Si chiama Sua Act ed ed e' una convenzione internazionale del 1988 all'epoca del sequestro dell'Achille Lauro. Per quanto assurdo possa sembrare, se si applica questo trattato, i due maro' sono da considerare come terroristi (e per il reato di omicidio e' prevista la pena di morte).
Dopo molti tira e molla e anche molta confusione nel governo indiano, il 14 maggio De Mistura annuncia che ''non si usera' la legge anti terrorismo indiana''. Ma secondo gli stessi legali dei maro' non sarebbe possibile perche' nell'atto costitutivo della Nia c'e' scritto che puo' operare solo per casi di terrorismo. Come e' stata risolta l'impasse? Non si sa. O almeno nessuno finora lo ha spiegato (e nessuno osa chiedere). Sul website della Nia (vedi qui) il caso continua a essere registrato con la menzione del Sua (e con un errore relativo alla data del FIR della guardia costiera di Neendakara, che contiene la denuncia del pescatore Freddy).

2) Ancor prima della sentenza della Corte Suprema del 26 aprile, la Nia aveva iniziato le indagini. Da quanto mi risulta e' stato portato tutto il materiale a New Delhi, e cioe' le tutte le prove, come i fucili e i proiettili, che prima erano in custodia della polizia del Kerala. Tra le carte c'e' ovviamente la perizia balistica dove si dice che i proiettili trovati nei corpi di Jelastine e Ajesh Pinky sono stati sparati da due fucili seuquestrati sulla Lexie. E' indicato il numero di matricola, ma non viene detto a chi appartengono. Nelle casse arrivate a Delhi ci sono poi le altre cose prelevate a bordo della Lexie, tra cui il GPS (che non funzionava) e il registro di bordo. 
I poliziotti della Nia hanno gia' esaminato il peschereccio S. Antony che nel frattempo e' stato tirato fuori dall'acqua nel porto di Neendakara, vicino a Kollam. E poi hanno interrogato Freddy Bosco e i nove pescatori che erano a bordo. Non e' trapelato nulla. Anche perche' e' un po' difficile per la stampa locale avere indiscrezioni dagli investigatori dell'anti terrorismo, che probabilmente agiscono da soli, senza aiuto della polizia locale.
 
3) Davanti alla Corte Suprema, con il giudice capo Altamas Kabir (che va in pensione a luglio) che si lamentava perche' il governo non aveva eseguito il suo ordine del 18 gennaio, il procuratore dello Stato indiano aveva detto che la Nia avrebbe completato le indagini in 60 giorni. Che sarebbe piu' o meno a fine giugno. Anche se gli interrogatori in Kerala sono andati veloci, questo termine non sara' rispettato. E si poteva anche immaginare che la promessa era da marinaio. Ci sono da sentire 60 testi, in teoria dovevano sentirne uno al giorno! Impossibile. A complicare le cose poi c'e' anche la richiesta di sentire gli altri quattro maro' come testimoni dell'accaduto. I colleghi di Latorre e Girone in servizio sulla Enrica Lexie non avrebbero pero' assistito all'incidente, almeno cosi' hanno detto alla Procura di Roma. Ma e' ovvio che la polizia indiana (e poi anche il giudice del processo ad hoc) vorra' sentirli per formulare i nuovi capi di imputazione. E qui sembra ci sia un nuovo braccio di ferro. Gli italiani non vogliono mandare in India gli altri quattro maro' (hanno paura che li arrestino?) e suggeriscono una videoconferenza. Non si capisce se tutto e' bloccato su questo ora. In realta' c'e' un obbligo che deriva da un ''impegno'' dell'armatore sottoscritto come condizione per il dissequestro della nave salpata da Kochi il 5 maggio dello scorso anno. All'epoca, due giudici della Corte Suprema (non Kabir) avevano dato l'ok alla partenza della Lexie ma aveva chiesto una fideiussione di 30 milioni di rupie (440 mila euro, forse oggi di meno grazie al cambio favorevole) consegnata all'Alta Corte del Kerala. In pratica l'armatore si impegnava a ''portare'' l'equipaggio in India se richiesto dai giudici con un preavviso di cinque settimane. Non solo gli uomini, ma anche la nave! (quest'ultima con un preavviso di sette settimane). Questo non e' un accordo segreto ma sono lettere firmate (e garanzie bancarie) come quella sottoscritta dall'ambasciatore Daniele Mancini dopo il permesso per le elezioni. (vedi qui).
Quindi in teoria, ci sarebbe un obbligo che pero' non e chiaro come possa essere esteso anche ai quattro maro' dal momento che non dipendono dall'armatore, la ''Dolphin Tanker'' filiale indiana della Fratelli Luigi d'Amato.

4) Insomma i tempi - nonostante gli sforzi di Roma - si allungano. Anche se ora, grazie alla buona volonta di Khurshid (che va sottolineato e' agli Esteri non all'Interno) accelerano le indagini Nia, poi c'e' il processo e li' dipende dai giudici...Quando iniziera' il procedimento nel tribunale ad hoc? Forse in autunno, forse il prossimo anno. Boh. Nessuno fa previsioni ormai.

5) Un'ultima incognita  riguarda la faccenda della giurisdizione. Per un anno l'Italia si e' battuta su questo principio arrivando a rallentare il processo in Kerala. Perche' adesso lo hanno abbandonato? Perche' non continuare a presentare ricorsi alla Corte Suprema oppure al tribunale ad hoc? Sembra che abbiano ormai accettato di buon grado il processo e quindi la competenza indiana. Perche' non continuare a battersi per un principio di diritto internazionale marittimo che e' condiviso anche da molti partner dell'India?
 
 

L'Italia al tempo della crisi/8 - Il margaro della valle di Viu'

Frazione Tornetti di Viu' (Torino), 8 giugno 2013


Una delle mie zie ha ristrutturato una baita della famiglia di sua madre nella valle di Viu', che ai tempi antichi era una localita' di villeggiatura per ricchi torinesi. Queste valli piemontesi sono oggi in semiabbandono, sono cosi' desolate che l'Himalaya al confronto e' un parco di divertimenti. Posti da eremitaggio insomma. Pero' qualcuno c'e' ancora. Della serie antichi mestieri, che chissa' con la crisi forse ritorneranno di moda, ci ho trovato un margaro! Pensavo davvero non esistessero piu', fagocitati dalle aziende casearie moderne. Invece no, e' uno scapolo (ci ho fatto perfino un pensiero) che fa le tome come una volta, con le vacche che vanno al pascolo dove c'e' l'erba buona e la baita di pietra.  Insomma sapori da Mulino Bianco,  ma autentici! Non e' che era una promozione della regione Piemonte? 
 

L'Italia ai tempi della crisi/7 - Pedalando a Milano

Milano, 7 giugno 2013

Dopo Torino, e’ logico che Milano appare come Las Vegas. Il servizio di affittabici qui si chiama BikeMi e costa 2,5 euro ed e’ decisamente piu’ popolare. Non ero mai andata in bici a Milano e mi sono accorta che il centro alla fine e’ piccolo. Ho fatto da Centrale a Duomo in appena dieci minuti, l’unico problema sono i binari del tram, che ci puoi finire dentro. Ma venendo dall’India e’ un vero piacere pedalare tra macchine che ti danno la precedenza e che non ti fanno spostare a clacsonate. Non ero piu’ abituata a tanto rispetto!

Dal Duomo sono andata a zonzo fino a raggiungere Porta Genova e i navigli. Qui mi sono fermata a vedere una bella mostra dell’americano Gordon Parks ('Una storia Americana'), dove c’erano anche degli scatti di Genesis, la monumentale opera di Salgado, in vendita a 8 mila euro a copia, ma li merita.  Poi ripresa la bici dal posteggio sono andata a Castello Sforzesco, dove c’erano dei ragazzi che facevano il bagno nella fontana antistante, stile Dolce Vita, e da qui sono entrata nel Parco Sempione, il ''central park'' meneghino.

Anche qui come in Piemonte, ho avuto la sensazione di vivere in un ambiente straordinariamente pulito. Perfino profumato per via dei gelsomini in fiore. Lo so che sto parlando di Milano, ma forse e’ per via delle piogge continue di maggio che hanno ripulito a fondo il cielo e l’aria. O forse e’ il contrasto con le puzze dell’Indie. Oppure il mese di giugno, erano da anni che non venivo in Italia in questo periodo. Tempo fa avevo letto una cosa interessante sull’inquinamento in Europa che si era drasticamente ridotto a causa della crisi. (ps, vedo qui una conferma). Beh almeno un vantaggio c’e’.

 

L'Italia ai tempi della crisi/6 - Pedalando a Torino

Torino, 5 giugno 2013
Armata di guida Mondadori (la Lonely Planet non esiste) sono sbarcata a Torino con mia figlia per un tour turistico. Fa parte dei miei sforzi di riconciliarmi con Torino che – tutti dicono – e’ radialmente cambiata da quando la frequentavo ai tempi dell’universita’. Abbiamo deciso di affittare una bici del servizio Tobike. Per prendere la tessera bisogna andare in un negozietto nascosto in via Sant’Anna, una viuzza vicino alla Consolata, sborsare la bellezza di 8 euro per 4 ore piu’ dare come deposito la carta di credito. Non sono accettati i minori di 16 anni. Le bici sono senza lucchetto, e’ meglio sempre attaccarle a una stazione che sono disseminate un po’ ovunque in prossimita’ di musei e monumenti. L’idea e’ buona, ma e’ un po’ macchinosa.

Eravamo le uniche due ‘turiste’ in bici quel giorno, secondo me. Il tour e’ stato simpatico, dalla Consolata, Porta Palazzo, Piazza Castello, il Duomo con la Sindone, via Garibaldi, la Porta palatina, via Po e la Mole compreso il Museo del Cinema e poi tutto il Valentino. Li’ e’ stata una sorpresa perche’ ho visto con piacere un certo attivismo sportivo da parte dei ‘’bugia nen’’. Lungo il sentiero che costeggia il Po e che va fino a Italia 61 abbiamo incrociato un sacco di cicilisti agguerriti e joggers di tutte le eta’. Nel fiume poi, limpido come un ruscello di montagna, si davano da fare canoisti di tutti i tipi, compreso quelli del canottaggio a otto che andavano come schegge. A parte il lato sportivo, Torino mi e’ sembrata una citta’ deserta, perfino senza traffico e con gente un po’ immusonita, anche se chiedi solo delle indicazioni. Per completare la giornata siamo andati al cinema, un locale penso restaurato di recente vicino a Porta Nuova, a vedere la Grande Bellezza, il lungo film di Paolo Sorrentino, che traccia un ritratto impietoso di una certa Roma cafona e godereccia. Ci saranno stati si’ e no una decina di spettatori....



 

L'Italia ai tempi della crisi/5 - I miei genitori festeggiano mezzo secolo di matrimonio

Chivasso, 2 giugno 2013
Mezzo secolo di resistenza coniugale. E’ l’ammirevole raggiunto dai miei genitori (nella foto) che per l’occasione hanno celebrato con tanto di Messa, mega pranzo e torta. In realta' la ricorrenza era il 19 marzo, ma e' stata spostata per permettere la rimpatriata familiare. Al giorno d’oggi dovrebbero dare un premio queste coppie.




L'Italia al tempo della crisi/3 - Recupero crediti a Torino

Torino, Primo giugno 2013
Lo scorso anno ho scritto per un website semiclandestino che si chiama L’Indro (eccolo qui) e che vantava per direttore niente-popo-di-meno che Giampiero Gramaglia, illustre ex direttore dell’Ansa.  Lui pero' ha lasciato questo posto qualche mese fa alla chetichella dopo aver partecipato a un trionfale lancio del sito.  Non sono sicura, ma penso che sia finanziato dalle Camere di Commercio Piemontesi. Mi hanno fatto firmare un contratto in cui mi dicevano che sarei stata pagata 50 euro per un pezzo di 6-7 mila battute, che e’ tanto, piu’ le foto, queste gratis.
Ho lavorato per tre mesi accumulando un credito di oltre mille euro, poi quando ho visto che non mi pagavano, ho smesso. Negli ultimi mesi e’ calato il silenzio, non rispondevano piu’ alle mie sollecitazioni. Allora mi sono presentata a Torino all’indirizzo della sede legale che era segnata sul mio contratto, ovvero via De Sonnaz 19. C’era anche indicato come riferimento un certo dottor Gasco. Fatta la premessa, ecco la cronistoria del mio recupero credito.
Ripassando le mosse, piu’ volte studiate nelle nottati insonni ai 45 gradi di Delhi, entro nell’ufficio con un pretesto e mi siedo pronta a un’azione di resistenza passiva alla Gandhi. Quando arriva il dott.Gasco, un semplice commercialista, mi accorgo pero’ di essere in uno di quegli uffici fantasma che in pratica affittano un ‘’domicilio legale’’, come alle isole Cayman insomma. Mi dice che L’Indro paga 500 euro al mese (solo?) per usare il suo indirizzo come sede legale e che non sa nulla dei suoi affari. Non gli credo. Mi impunto, gli mostro il contratto e gli dico che non intendo muovermi finche' non mi paga.  Probabilmente abituato a trattare con creditori infuriati, chiama la Volante. Benissimo, dico io, non ho nulla da temere.
Dopo una mezzoretta  arrivano due poliziotti che, dopo aver ascoltato le mie ragioni, obbligano la segretaria a chiamare la responsabile dell’Indro, una certa Margherita Peracchino, che e’ la fondatrice ed e' anche quella che mi aveva assunto.
E qui commetto un grave errore. Mi faccio convincere che che il ‘vero’ commercialista mi avrebbe chiamata l’indomani e lascio il sit-in. Ovviamente non e’ mai successo. Mi ha chiamato invece questa signora dicendomi che non ha soldi per pagarmi perche' ''sono in ritardo con gli incassi''. Cornuta e mazziata. Lezione: mai fidarsi dei piemontesi che mi hanno gia' fregato una volta con la bancarotta della vecchia Gazzetta del Piemonte.

L'Italia al tempo della crisi/4 - Lugano, e' Corpus Domini

Lugano, 30 maggio 2013
Sono andata a Lugano a trovare i colleghi della Radio Svizzera Italiana con cui collaboro da oltre un decennio ormai. Ci sono capitata di Corpus Domini, che curiosamente e’ giorno festivo in Svizzera. Non capisco perche’ e’ cosi’ importante, non ho visto processioni con la sacra Ostia oppure chiese affollate.

Tutti i negozi chiusi, aria gelida che spirava dalle cime innevate e unica attrazione sul lungo lago, il trenino rosso per i turisti. Chissa’ perche’ mi immaginavo Lugano come un luogo di peccatori e di evasori italiani. Nulla di tutto cio’.

L'Italia ai tempi della crisi/2 - Quanto e' verde la mia valle

Chivasso, 28 maggio
Dopo mesi di pioggia trovo in Piemonte un’aria cosi’ ricca di ossigeno che mi gira la testa. Forse arrivando dall'inquinamento di Delhi non sono piu’ abituata a questa atmosfera. Tutto e’ verde e pulitissimo. Il cielo e’ nitido e lucido, sembra un dipinto.  Sembra di essere in montagna oppure su una scogliera sull’Atlantico, non nel principale polo industriale italiano e centro di agricoltura intensiva.  Cambiamento climatico o semplicemente l'effetto shock di chi arriva dal forno dei 45 gradi della capital Indiana?

L’Italia al tempo della crisi/1 - Finanzieri a Malpensa

Malpensa, 27 maggio 2013
 Il benvenuto in Italia me lo danno i finanzieri. Insospettiti probabilmente dal mio aspetto transandato (da spacciatrice?) mi bloccano all’uscita dall’aeroporto. ‘’Qualcosa da dichiarare?’’ mi chiedono guardando il mio vecchio zaino. ‘’No’’ dico io. ‘’Apra i bagagli’’ e’ la risposta. Tirano fuori tre chili di manghi che si rigirano tra le mani come fossero bombe a mano, una ventina di vecchie cassette di cartoni animati di mia figlia e un sacchettino pieno di 10 e 20 centesimi di euro’’. ‘’Apro anche l’altra?’’ chiedo. ‘’No va bene cosi’’’mi dicono evidentemente delusi.
Non contenti pero’ si girano tra le mani il passaporto sospettosi. ‘’Manca il bollo’’ mi dicono. Io – lo giuro - cado dalle nuvole perche’ pensavo che gli italiani residenti all’estero fossero esentati, dato che non usano il passaporto per viaggiare, ma sono sempre all’estero. ‘’Lo compro subito...e’ da un anno che non torno in Italia e non potevo comprarlo... ’’ butto li’ cercando di giustificare la mia mancanza. ‘’Si richiede al consolato’’ e’ la secca risposta. ‘’Devo farle il verbale’’. Risultato 100 euro di penale per ogni anno piu’ i 40 euro di bollo. Per fortuna il passaporto e’ del 2011.




NON SOLO INDIA/ Dacca, istruzioni per l'uso

Dacca, 24 Maggio 2103
Sono da una decina di giorni a Dacca. C’e’ voluta la sciagura del Rana Plaza con il suo record di 1127 morti a convincermi a venire in Bangladesh, un Paese nato nel 1971 da un’atroce guerra dimenticata dalla storia. Dopo 10 anni nelle ‘’Indie’’ non mi sono mai incuriosita per quest’altra meta’ della regione del Bengala separata da una riga tracciata su una cartina geografica dagli inglesi ai tempi della spartizione tra India e Pakistan.
Penso che Dacca sia una delle capitali asiatiche piu’ ignorate. Per esempio sono stata l’unica giornalista italiana ad andare dopo il crollo del palazzo. Non ha la miseria e lo splendore di Calcutta, ex capitale dell’India britannica, culla intellettuale dell’India e resa famosa dai lebbrosi di Madre Teresa. Non ha le immense baraccopoli di Mumbai celebrate da film come Slumdog Millionaire e raccontate in libri di successo come Shantaram. E’ una metropoli mussulmana, ma senza le tensioni e le faide di Karachi. Era parte dell’impero Mughal ma nessun sultano ci ha costruito dei forti quelli di Delhi, di Agra o di Lahore. O almeno delle tombe. Un forte c’e’ in realta’, e’ il Lalbagh Killa, voluto da un figlio di Aurangzeb, il piu’ sanguinario dei re mughal. Ma pare che non fu mai terminato per la morte di una principessa, Pari Bibi, a cui e’ dedicata la tomba a fianco. Insomma il ‘’forte’’ e’ una piccola costruzione con un bagno turco e un miserissimo museo, ma nulla a che vedere con gli altri monumenti mughal.
La citta’ e’ grosso modo divisa in tre, una parte nuova e ricca a nord che si trova intorno ai due poli commerciali di Gulshan 1 e Gulshan 2. Poi un ‘’centro’’ dove c’e’ l’universita’ di Dacca e un paio di parchi, le uniche aree verdi. Li’ c’e’ anche Shabagh Square, che un po’ di mesi fa e’ stata la piazza Tahrir del Bangladesh. Infine a sud, verso il Buriganga (il Gange) la ‘’citta’ vecchia’’ con stradine e bazar ‘tematici’ simile alla old Delhi. 


A parte l’inquinamento del fiume, forse pari a quello della Yamuna, il principale problema di Dacca e’ il traffico. Gli ingorghi sono indescrivibili. E’ qualcosa di disumano. Eppure sembra ci sia una sorta di rassegnazione. I ricchi se ne stanno chiusi nei loro suv con l’aria condizionata. I ‘tuc tuc’ che qui chiamano ‘’Cng’’ perche’ vanno per fortuna a metano come quelli di Delhi occupano ogni spazio possibile tra bus e auto. A differenza del resto dell’Asia, sono chiusi da spesse grate di ferro. Sembra di essere in gabbia. Mi hanno detto che e’ per via degli scippi, ma suona strano perche’ pensa davvero che Dacca sia una delle citta’ piu’ sicure del mondo. In questo panorama, i riscio’ a pedali, uno dei simboli di Dacca e onnipresenti con le loro decorazioni, sono l’unica via di scampo al traffico perche’ sono piu’ piccoli e manovrabili. Tra l’altro i ‘’riscio’-vala’’ del Bangladesh sono dei bolidi rispetto ai loro cugini indiani. Vanno velocissimi e sono instancabili. E’ normale prendere un riscio’ a pedali per fare cinque o sei chilometri. Lo so che e’ il loro lavoro, ma a me fanno sempre compassione e cosi’ nei tratti di strada lunghi ne cambiavo due o tre…come si facevano come i cavalli un tempo….
Oltre ai riscio’, sono poi abbastanza affidabili i bus. Quelli a due piani, stile londinese, sono decisamente comodi oltre che panoramici. Gli altri sono sgangheratissimi e quando si sorpassano, il bigliettaio picchia come un forsennato sulla fiancata. Il clacson infatti non basta, non si sente neppure nel cori di tutte le clacsonate e rombo dei motori.
L’altro aspetto che balza subito agli occhi e’ la densita’ che la piu’ alta del pianeta. In pratica non si sta mai senza avere un proprio simile nel raggio di un metro circa. Un gigantesco formicaio, eccetto nelle prime ore del mattino e al venerdi’ quando e’ festa.
Il cibo e’ un altro tasto delicato. Nella parte ricca ci sono solo fast food e ristoranti alla moda. Al di fuori di questi posti selezionati, dove si spende per una cena lo stipendio di un operaio tessile, il livello scende vertiginosamente. La Lonely Planet, che come sempre mi e’ stata utile per un primo ‘approccio’, consigliava Haji Biriani, un piccolo locale vicino a una moschea nella old Dacca, dove si mangia solo mutton biriani. L’ho provato una volta e poi ci sono tornata. Diciamo che non e’ il massimo per il rispetto dell’igiene, ma il riso e l’agnello sono davvero squisiti. 

 

Jahanpanah, la foresta segreta di New Delhi

New Delhi, 12 Maggio 2013

Non si finisce mai di scoprire posti nuovi a New Delhi. Per caso ho letto un giorno della foresta di Jahanpanah, che confina con Greater Kailash e che e' un vero e proprio polmone verde per il sud di Delhi. La definizione 'foresta' e' davvero reale. Non avrei mai creduto di perdermi nella savana, nel mezzo di una metropolis di 15 milioni di abitanti,  tra sentieri pieni di uccelli di ogni tipo e con una sensazione di avventura alla Indiana Jones. Sara' che ci sono andata alle due quando non c'era nessuno. La 'foresta' apre all'alba, dove dicono che sia molto frequentata,  e chiude alle 10 per poi riaprire alle 16 seguendo le abitudini degli  indiani. Io sono arrivata, ignara, alle due del pomeriggio e ho insistito un po' perche' mi facessero entrare. Ero anche in bici che penso vietata, ma data l'estensione del parco, non avevo davvero voglia a quell'ora di massima calura di avventurarmi a piedi.
Dentro c'e' un percorso jogging di sette chilometri, che sono tre volte quello del Lodi Garden o di Deer Park. Cose da duri insomma. Di fatti si allenano per la maratona.

Sono entrata da un cancello di GK, piu' o meno vicino alla Don Bosco School. Dopo un po' sono spariti i rumori della citta' e mi sono immerse nella natura del bosco, con un po' di apprensione, soprattutto pensando a tutti gli stupri di cui mi sono occupata nei recenti mesi a Delhi. Ma gli unici segni di vita erano scimmie o pavoni...e ovviamente chissa' quanti serpenti....
La foresta prende il nome dalla quarta citta' di Delhi costruita dal sultano Tuglaq nel 1326, leggo su Wikipedia. Jahapanah significa 'rifugio del mondo'' in persiano. La citta', enorme, era fortificata e ci sono ancora le mura visibili  in alcune parti.  Ma e' difficile capire dove era, perche' ora e' inghiottita dal tessuto urbano. Penso che esistano anche poche informazioni e ricerche su questa citta' che e' stata misteriosamente abbandonata quasi subito dal sultano.

Goa come Pattaya? No grazie. E' rivolta contro il Playboy Cafe'

Ho temporaneamente lasciato i maro' a New Delhi e mi sono presa una pausa a Goa, l'ex colonia portoghese, sul Mar Arabico, ed ex meta gloriosa degli hippies europei. Ora e' diventata il ''posto al sole''  di villeggianti russi e pensionato tropicale per britannici.  Bel salto non c'e' che dire.
All'ombra delle palme e nei baretti sulle spiagge dove sono tornate le vacche (e' fine stagione), impazza una nuova polemica. E' sul primo Playboy Cafe' che dovrebbe essere inaugurato  a Candolim. ''Primo'' perche' la famosa rivista americana vorrebbe aprire un centinaio di locali in tutta l'India nei prossimi dieci anni. Non direttamente ma con un partner indiano che ha comprato il franchising, come si fa in questi casi.
Non e' chiaro se le cameriere saranno vestite da conigliette, ma il progetto ha sollevato un coro di polemiche. Goa e' governata dal partito di centro destra del Bjp che e' di solito ostile a tentativi di occidentalizzazione. Un parlamentare ha minacciato uno sciopero della fame. C'e' anche una certa resistenza da parte della popolazione locale contraria a fare dell'ex colonia portoghese una meta per il turismo sessuale indiano e straniero. E di fatti anche il partito del Congresso e' contrario. Ovviamente chi si oppone passa come moralista bacchettone. Ma se uno ci pensa bene, e' una fortuna per Goa che si ostacoli fin dal nascere questo tipo di ''messaggi''  che non fanno altro che promuovere la mercificazione della donna. Il che non e' proprio il caso dopo l'escalation di violenze sessuali in India.
Leggo stamattina sul quotidiano locale The Herald un editoriale intitolato ''Playboy Parties'' dove si mette in guardia dal trasformare Goa in una ''meta del peccato'', con feste, gioco d'azzardo e prostituzione per i ''nuovi ricchi'' indiani.  'La gente di Goa e' molto preoccupata - scrive il giornale - da questa nuova immagine che si cerca di promuovere. Se i ricchi indiani e gli industriali vogliono una sorta di Las Vegas o Sun City per il loro divertimento, deve essere Goa questo posto? Le citta' citate sopra sono state create nel deserto e costruite dal nulla, non nel bel mezzo di villaggi, di comunita' radicate nel territorio, con una ricca cultura e una popolazione locale istruita e con una forte coscienza della propria identita'. Pensiamoci''. Si' , pensiamoci sul serio, e vorrei che lo facessero anche a New Delhi.

Vecchia Goa, alla scoperta del porto romano di Gopakapattana

Vecchia Goa, 3 aprile 2013
Per caso, mentre gironzolavo nella vecchia Goa per il mio progetto ''Christianity Circuit'' ho scoperto dell'esistenza del porto di Gopakapattana, ''porto di Gopaka'', (pattana in sascrito e' porto) ora insabbiato nel fiume Zuavi. Era il porto ufficiale dei regnanti locali prima che i portoghesi costruissero Panjim.
   In realta' me ne aveva parlato padre Cosme Jose' Costa del convento di Pilar, un esperto della storia di Goa e che proprio nell'area di Gopakapattana ha trovato diversi reperti dell'epoca romana a dimostrazione che Roma usava questo porto per il suo business. Ma soprattutto ha trovato qui una croce di San Tommaso che dimostra l'esistenza del cristianesimo a Goa prima che arrivassero i gesuiti portoghesi.
   Padre Cosme, un personaggio davvero unico che sono stata felice di conoscere, mi aveva detto di andarci immediatamente perche' sono i giorni di luna nuova e quindi di bassa marea. Solo in questi giorni e al tramonto le rovine affiorano dal letto del fiume.

   Cogliendo la fortuna al volo, mi sono precipitate sulla sponda del fiume. Dopo aver chiesto a dei pescatori di gamberetti, ho individuato le rovine: un muro di recinzione fatto da grosse pietre squadrate che si allunga per 5 chilometri (vedi foto qui sopra) . Cosa era? Boh. Certo ci sarebbe da scavare per capirne di piu'.
   Secondo padre Costa questo porto era usato dai romani fin dal 47 avanti Cristo quando il mercante greco Hippalus scopre una ''via diretta'' per andare in India grazie ai venti del monsone di nord est. Pero' a quanto pare i galeoni dei romani continuavano a costeggiare la penisola arabica, poi la foce dell'Indo, e da qui tutti gli scali sulla costa indiana compreso questo di Gopakapattana dove compravano cocco, legno di teak, ferro, rame e altri materiali di cui ancora oggi e' ricca la zona.

Maro', gli agnelli pasquali di New Delhi

Oggi sono andata alla Messa di Pasqua alla Nunziatura di New Delhi. C'erano anche i maro' accompagnati dall'ambasciatore Daniele Mancini e dalla consorte. Li ho fotografati all'ingresso e l'ambasciatrice - che si vede nello scatto qui sotto - si e' arrabbiata dicendo che loro volevano foto.  Caso strano pero' perche' hanno invece gradito l'intervista alla Rai della domenica precedente andata in onda sul tiggi' uno delle 13.30 dopo la benedizione del Papa.
Da quando sono tornati a Delhi,  Latorre e Girone mi sembrano davvero depressi. Non deve essere facile essere la vittima delle oscure trame e congetture dei vari poteri forti. Ancora devo capire perche' li hanno rimandati indietro. Il ministro Terzi ha detto che non era d'accordo e poi si dimesso. Il premier Monti pare non ne sapesse nulla.
Guardavo i due nella loggia superiore della piccola cappella, in stile neoclassico e tutta color crema. La Messa era in inglese celebrata dal Nunzio, il napoletano Salvatore Pennacchio. Non sono sicura che abbiano fatto la Comunione.  Dopo i primi mesi in mimetica, ormai non li vedo piu' in divisa qui in India, chissa' perche', penso che dovrebbero sempre indossarla per ricordare che sono soldati. Piu' li guardavo e piu' mi sembravano degli agnelli sacrificali sull'altare della politica italiana. Latorre ha parlato di ''tragedia '' in una lettera dove fa appello all'unita' delle forze politiche e da cui si percepisce il caos scoppiato a Roma tra Esteri e Difesa.  Penso davvero che il governo abbia il diritto di informare i cittadini su quanto sta succedendo.

E' primavera anche a New Delhi

Puntuale per l'equinozio di primavera e' ritornata la coppia di passerotti dal lungo becco che hanno fatto il nido su un ramo di buganvilla del mio cortiletto a Safdarjung Enclave

Maro', quattro semplici considerazioni dall'India

New Delhi, 18 febbraio 2013

E' vero che io non leggo i giornali in Italia e che quindi non conosco gli arcani misteri della politica italiana. Pero' ancora una volta mi sembra che sulla questione dei maro' si sia completamente perso la bussola.  Io non sto da nessuna parte se non quella di raccontare i fatti come stanno qui in India. Quindi quattro semplici considerazioni:

1 La Corte Suprema in India e' una istituzione quasi ''sacra'', nel senso che gode del massimo rispetto ed e' ritenuta dai cittadini come l'unico potere dello Stato veramente ''pulito''. Non ci sono toghe rosse, bianche o gialle... o per lo meno non ne ho mai sentito parlare. Per ottenere il famoso permesso per votare, i maro' si sono rivolti alla Corte e quindi al massimo organo giudiziario e si sono impegnati davanti al suo presidente Altamas Kabir.  E' una cosa diversa da un accordo tra governi. Per di piu', per ottenere l'autorizzazione a partire hanno utilizzato un avvocato che e' uno dei piu' prestigiosi in India, Harish Salve, che ora giustamente e' andato su tutte le furie perche' si sente ingannato.

2 I maro' non erano ai ceppi in una segreta della prigione di Tihar, ma erano liberi di andare dove volevano e ospitati tra le comodita' dell'ambasciata a New Delhi. Altri italiani con guai con la giustizia non hanno ricevuto questo trattamento. Avevano anche un lavoretto in un ufficio e pure l'accesso diretto alla fornita cucina dell'ambasciatore. Si trattava di aspettare un po' di tempo perche' si costituisse un tribunale per esaminare il caso della giurisdizione come aveva ordinato il giudice Kabir. Certo forse dei mesi, ma intanto nessuno qui in India si ricordava piu' dei maro'. L'attenzione mediatica era precipitata dallo scorso anno. Nessuno aveva protestato quando  erano partiti dal Kerala il 18 gennaio.

3 Qui sono disperati. Perche' si vede che il governo indiano vorrebbe uscirne in qualche modo, ma sa che non avra' piu' interlocutori ben presto. Il silenzio della Farnesina di oggi e' emblematico. Un legale che ha seguito la vicenda oggi mi ha posto il seguente quesito e lo ha fatto con un tono come se mi chiedesse il terzo segreto di Fatima: quale e' la posizione del partito che ha vinto le elezioni sui maro'? gli ho detto che prima bisogna capire chi ha vinto. Ma scherzi a parte, cosa ne pensa la sinistra su questa vicenda? Se qualcuno lo sa, lo faccia sapere al piu' presto agli indiani.

4 Tranquilli per l'ambasciatore Mancini che ha giurato sul ritorno dei maro'. La sua immunita' rimane, non c'e' solo nel momento in cui e' davanti alla Corte. Ma nessuno puo' arrestarlo o fermarlo. E anche l'India lo sa, ma deve mostrare i muscoli come tutti in questa storia di puro celodurismo.  

Surat, terza citta' piu' pulita dell'India? Ma non scherziamo

Surat, 9 marzo 2013
   Mi trovo a Surat, la seconda piu' grande citta' del prosperoso Gujarat, il regno della destra indiana, famosa per il commercio di diamanti e l'industria tessile. Ho scoperto che la prima nave degli inglesi della Compagnia delle Indie Orientali e' arrivata proprio qui nel 1608 dove hanno cacciato i portoghesi.
  Alloggio nella zona della stazione, che e' un ammasso informe di cemento e di sopraelevate dove non c'e' nemmeno una pianta verde, neppure in vaso. Dalle 8 del mattino fino all'ora di cena e' un continuo strombazzare e scaricare fumi. Ammetto che, nonostante la mia esperienza di traffico indiano, ho difficolta' ad attraversare Vacchhara road, che e' una delle arterie principali. Oggi sono andata lungo il fiume Tapi, che attraversa la citta' prima di sfociare nel Mar Arabico. E' stato trasformato in una fogna simile alla Yamuna di New Delhi ma in bella vista e olfatto. L'altro ieri hanno trovato un delfino morto, probabilmente suicida. L'antico forte, o quello che rimane, sembra uscito da un bombardamento, la puzza di fogna pervade tutto il quartiere e i marciapiedi sono inaccessibili per le voragini dei lavori in corso. Ho visitato gli unici monumenti della citta', sopravissuti perche' - grazie-a-Dio - sono stati protetti dalla Soprintendenza. Sono delle tombe di olandesi, inglesi e armeni.
   Insomma un esempio comune di degrado urbano, considerando che e' una metropoli da 5 milioni di abitanti, in fortissima crescita e con pochissimi o zero controlli per il rispetto dell'ambiente.
   Sono stata pero' molto sorpresa dal leggere che nel 2010 Surat e' stata nominata nel 2010 in una classifica del governo ''la terza citta' piu' pulita dell'India'' dopo Chandigar e Mysore (quarta New Delhi!). Ho poi riso a crepapelle leggendo che la citta' ''potrebbe essere la Singapore dell'India'' e che e' stata selezionata come ''global city'' da un'associazione ecologica del Regno Unito.
   Forse nessuno si e' mosso dalla sedia per scrivere queste cose.
   Tutta questa enfasi trova pero' una giustificazione nel bisogno di rilanciare l'immagine di Surat. Nel 1994 la citta' e' salita alla ribalta della cronaca mondiale per una epidemia di peste polmonare, cosa che sembrava non esistesse neppure piu' se non nei Promessi Sposi. La peste di Surat e' stata raccontata in un reportage di Tiziano Terzani per il Corriere della Sera. Un pezzo magistrale, anche perche' minimizza addirittura sui morti...dicendo pero' la verita' sulle condizioni disumane dei ghetti della citta' gia allora in forte boom industriale.
   Probabilmente da allora avranno ammazzato un po' di topi e rimosso le baraccopoli, ma la bomba ecologica rimane, eccome.





http://articles.timesofindia.indiatimes.com/2012-05-14/surat/31700297_1_sustainable-development-model-city-diamond-city


Monti vince in Bangladesh, voto di protesta sugli atolli delle Maldive

New Delhi, 3 marzo 2013
Monti vince in Bangladesh, mentre Grillo conquista le Maldive dove c'e' stato anche un record di schede nulle. L'analisi del voto degli emigrati italiani nel Sud dell'Asia e' davvero sorprendente. In generale si puo' dire che abbia prevalso il centro sinistra , quindi in linea con il risultato della circoscrizione Africa, Asia, Oceania, Antartide che ha eletto un deputato e un senatore del Pd.
Pero' guardando nel dettaglio dello scrutinio per la Camera emergono alcune curiosita'. Per esempio, gli italiani che stanno negli atolli delle Maldive sono particolarmente arrabbiati con la madrepatria visto che 14 votanti su 21 hanno annullato la scheda (con insulti?). Mi chiedo davvero come si fa a essere incazzato sotto le palme e circondati dalla barriera corallina. Curiosamente, le nulle e le bianche sono altissime anche in Sri Lanka, altro paradiso tropicale.
In India (e Nepal) invece Grillo, solo per un soffio, non ha raggiunto il PD. Mentre Monti e' finito terzo. Se si ritiene che gli imprenditori votino l'ez premier, beh allora si puo' concludere che il Made in Italy non vada troppo bene in Asia meridionale, con l'eccezione del Bangladesh, dove penso ci siano soprattutto imprenditori della moda. Invece i berlusconiani sono sopravissuti, anche se in pochini. Soltanto in Pakistan non c'e' nessun ammiratore del Cavaliere.

Ecco i risultati (Camera):

India (partecipazione 44,22%): PD 112 voti (33,43%), M5S 109 voti (32,53%), Monti 82 voti (24,47 %), PD 32 voti (9,55%), bianche 1 (0,28&), nulle 20 (5,81%)

Pakistan (30,63%): PD 16 voti (55,17%), Monti voti 7 (24,13%), M5S 6 voti (20,68%), PD 0, nulle 5 (14,70%)

Bangladesh (69,86): Monti 45 voti (51%), PD 22 voti (25%), M5S 11 voti (12%), PD 9 voti (10%), bianche 2 ( 1,69%), nulle 13 (12,74)

Afghanistan (64,28%): PD 12 voti (44%), Monti 8 (29%), M5S 6 voti (22%), PD 1 (3,70%), nessuna nulla, messuna bianca.

Maldive (55,26%): M5S 4 voti (57%), PD 2 voti (28%), PD 1 voto (14%), Monti 0, nulle 14 (66,6%).

Sri Lanka (57,14%): PD 16 voti (80%), M5S 2 voti (10%), PD 1 voto (5%), Monti 0, bianche 9 (20%), nulle 15 (34%)