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New Delhi e gli stupri, adesso anche i cinema per "sole donne"

New Delhi, 21 Settembre 2017

   Le donne a Delhi sono ormai una specie protetta, quasi come le vacche sacre. L'aumento di stupri e di molestie (non so se è reale o è solo perchè sono più visibili sui media) ha creato una psicosi collettiva e dei fantasiosi mezzi di difesa dalle attenzioni non volute degli uomini. Ce n'é bisogno perchè in giro ci sono sempre più molestatori, palpeggiatori ed esibizionisti di tutte le età. E' epidemico ormai, purtroppo.
   Ma invece di intervenire sulla psiche maschile, evidentemente malata, sembra che la soluzione sia segregare le donne. Ecco quindi i taxi rosa, i posti separati su Air India, gli scompartimenti 'women only' sulla metropolitana...e ora anche i cinema. Da qualche mese una famosa catena di multisale, il Pvr, si è inventata la proiezione esclusiva per sole donne al mercoledì pomeriggio. "Solo donne" significa che non sono ammessi nè partner nè mariti. Compreso nel prezzo un caffelatte e un (1 di numero) biscotto che vengono serviti da uno zelante cameriere, l'unico essere di sesso maschile a entrare nella sala per due ore.
   L'iniziativa mi ha stupito perchè non avevo mai pensato al cinema come posto non raccomandabile per donne sole. Io ci vado spesso, da sola appunto, anche di tarda sera, e non mi è mai successo nulla. Ma magari è un caso...devo stare più attenta.
   Ho provato ieri il "mercoledì rosa" al Pvr di Vasant Kunj, andando a vedere 'Simran', filmetto comico di Bollywood su una ragazza gujarati ribelle che vive negli Usa ma che come sempre è oppressa da genitori tradizionalisti.
    Le proiezioni "solo donne" sono soltanto al pomeriggio del mercoledì, verso le 15, quindi tra la preparazione del pranzo e quella della cena. Che è il momento di   tempo libero di una donna (che non lavora), dove si presuppone vada a fare shopping o incontrare le amiche.
    Non sembra abbia avuto però molto successo. C'erano solo una decina di donne nella sala, ma forse era il film poco attraente. Il caffelatte era però molto buono. E anche il biscotto. Forse merita andarci per quello.

CINEMA - Mukti Bhawan (Salvation Hotel), dove praticare una naturale eutanasia

New Delhi, 10 aprile 2017

    Lo scrittore Tiziano Terzani diceva che 'in India si impara a morire'. Non so se è una frase sua o se qualcuno glielo aveva detto, ma è esattamente quello che mi è venuto in mente vedendo il film di Shubhashish Bhutiani, 'Mukti Bhawan', traducibile in in inglese come 'Salvation Hotel'.
    E' incredibile come un regista di appena 25 anni riesca a trattare con tanta delicatezza, garbo e perfino ironia un tema così enorme come la morte. E' vero che non ha avuto bisogno di ricorrere alla fantasia, perche' il Mukti Bhawan esiste davvero a Varanasi. E' un decadente edificio sui ghat del Gange con una ventina di camere ed è frequentato da moribondi. Come è nel film, il limite massimo di permanenza è davvero di un paio di settimane. Dopo questo tempo, si suppone che l'ospite muoia come viene detto al protagonista, il 77enne Daya, che si fa portare lì da suo figlio dopo aver deciso che è arrivata la sua ora. Ma è una regola che ha molte eccezioni. Una signora che diventa la confidente di Daya è ospite del Mukti Bhawan da ben 14 anni... anche lo stesso Daya starà più di 15 giorni. 
   L'impressione è che questi anziani che vengono qui a morire abbiano un piacere intimo nell'assaporare gli ultimi momenti sulla terra. Non c'è più attaccamento e non ci sono più rimpianti. Piuttosto sono i familiari a disperarsi e ad accorgersi delle proprie contraddizioni. Come il figlio di Daya, Rajiv, che non riesce a staccarsi dal telefonino e dal suo lavoro, tutto preso a soddisfare le richieste del suo principale e le scadenze dell'ufficio.
    Per gli indiani, che credono nella reincarnazione, è forse più facile prendere alla leggera l'argomento 'morte' che, nelle società occidentali, è ancora tabù. L'eutanasia non esiste in India, è vietata, ma al Mukti Bhawan di fatto gli anziani rinunciano alle cure mediche...quindi il Salvation Hotel è un po' come una di quelle cliniche svizzere... ma senza l'iniezione letale e senza la parcella.
   Pensavo di uscire scioccata dalla visione di Mukti Bhawan, invece è un film di grande dolcezza e poesia che fa riflettere sulle nostre paure e inquietudini.

CINEMA/ 'Lion', che noia se non fosse che sono passata con il treno per Kandwa

New Delhi, 9 marzo 2017

   Sono andata a vedere 'Lion', il film del debuttante australiano Garth Davis, basato su una storia vera, quella di Saroo, un trovatello indiano adottato nel 1987 da una coppia in Tasmania che da adulto si mette a cercare la sua famiglia di origine.  Nonostante i pareri positivi quasi unanimi dei critici cinematografici, a me non é piaciuto per nulla.
    A parte la straordinaria interpretazione del piccolo Sunny Pawar, prelevato da uno slum di Mumbai, l'ho trovato molto lento e pieno di stereotipi sull'India. La prima parte, quando Saroo arriva a Calcutta dopo essersi addormentato su una carrozza di un treno, descrive un po' forzatamente la vita degli orfani in India insistendo in particolare sugli abusi sessuali. Magari le condizioni degli orfanotrofi non sono rosee, soprattutto 30 anni fa al tempo della storia, ma mi sembra esagerato mostrare tutti quanti come degli 'orchi'. Che banalità la scena in cui un poliziotto, che sembra uscito da un filmetto di Bollywood, assiste passivamente alla 'cattura' di alcuni bambini alla stazione da parte dei 'cattivi'. Inverosimile è anche il modo con cui avviene l'adozione, Saroo viene mandato a una famiglia australiana che non ha mai visto.
   Ho l'impressione che il regista non abbia mai messo piede in India. Lo si vede da alcuni particolari, per esempio quando Saroo beve una bibita appoggiando le labbra alla bottiglia, nessun indiano lo fa, tutti bevono alla garganella.
    Nella seconda parte, invece quella in Tasmania, compare invece Dev Patel (famoso per Slumdog Millionaire), in versione sexy, che a un certo punto ha una crisi di identità. Soffre di allucinazioni, continua a rivedere la madre in una cava di pietra e il fratello maggiore che rubava il carbone per comprare il latte. Nella sua mente sono impressi alcuni particolari della stazione dove di notte è salito su quel maledetto treno che lo allontanato dal suo villaggio.
     Ma anche qui la narrazione è molto lenta e sofferta. Viene voglia di spingere il tasto 'avanti' del videoregistratore. Entra poi in scena Google Map (avrà sponsorizzato la produzione?) che di fatto gli permette di individuare il suo luogo di origine. A quanto pare, anche nella storia vera la ricerca viene fatta on line. Quindi capisco che è difficile raccontarla in un film.
   Il finale è disastro: quando Dev Patel/Saroo finalmente incontra la madre in una povera casa di fango, parte un applauso di tutto il villaggio. Sembra una puntata di Carramba Che Sorpresa. A questo proposito, leggo qui che la vera madre, Munshi, continua a fare la sua misera vita anche dopo la visita del figlio nel 2012.
   Insomma sono rimasta fino alla fine soltanto perché qualche settimana fa in treno sono passata nella stessa zona del Madhya Pradesh dove abitava Saroo e anche nella stazione di Kandwa dove è iniziata la sua odissea. Nelle prime immagini si vede infatti un pinnacolo di pietra su un monte vicino a Nashik (Maharashtra). Lo avevo fotografato dal finestrino del treno, è soprannominato Thumbs Up Pinnacle.

Festival Cinema di Goa, tra terroristi islamici, ebrei ortodossi e brahmini

Panjim, 23 novembre 2015

   Sono al Festival internazionale del cinema di Goa che  si tiene a Panjim, forse l’unica citta’ veramente turistica dell’India. Il Festival, noto con l'acronimo di  IFFI,  e' considerato la Cannes dell’Asia. Siccome non ci ero ma stata, sono venuta per vedere se c'e' davvero la croisette.... In realta’ io non sono mai stata neppure al festival di Cannes...ma posso tranquillamente affermare che ce ne vuole ancora un po’ prima di arrivare ai livelli della Cote d'Azur...
   Per l'occasione Panjim e’ stata addobbata a festa ed e’ piacevole passeggiare sul lungo mare anche  se - lo ripeto - non e' la croisette. All’entrata principale del teatro Inox, dove c’e’ il 'red carpet' troneggiano due pavoni giganti. Il Pavone d'oro e' infatti il premio che si assegna al vincitore, come il Leone d’oro di Venezia.
    I film proposti mi sembrano estremamenti interessanti, anche se rispetto agli anni scorsi c’e’ meno glamour perche' mancano ospiti famosi.
   Per una curiosa coincidenza stamane ho visto tre film non in concorso che parlano di intolleranza in tre fedi : Islam, Induismo e Ebraismo. Sembra che gli organizzatori l’abbiano fatto apposta a metterli nello stesso giorno...forse si’ dopo Parigi.
    Il primo e’ stato Taj Mahal, un film del francese Nicholas Saada che racconta la storia di una adolescente durante l’assedio dei terroristi agli hotel di Mumbai alla fine di novembre 2008. Per l’India quello e’ stato l'11 settembre. Io ero la’ davanti al Taj Mahal Hotel, il simbolo di Mumbai davanti alla Porta dell’India e quindi ho rivissuto ogni momento. Gli attacci hanno causato 166 morti, tra cui un italiano e decine di ferite. Per ore centinaia di clienti del Taj Mahal e dell’Oberoi Trident sono tenuti ostaggio dei terroristi pachistani arrivati dal mare . Gli attacchi di Parigi del 13 novembre sono stati paragonati a questi per la modalita’, anche se sono durati molto di meno. A Mumbai gli ultimi due terroristi sono stati eliminati dopo ben tre giorni e dopo aver incendiato lo storico hotel della famiglia Tata.
    Io non so come il film di Sadaah e’ stato accolto dalla critica quando e’ uscito in Francia a settembre, ma io l’ho trovato ben fatto. L’interpretazione della ragazza, Louise (Stacy Martin) e’ notevole. La ricostruzione, incendio compreso, e’ molto fedele. L’unico particolare sbagliato, e’ che gli ostaggi salvati non erano coperti con la stagnola dorata (come a Parigi). Non penso che i pompieri indiani la usino. Il film non fa alcun accenno ai terroristi se non quando si sentono le loro voci in urdu davanti alla camera di Louise quando freddano un cameriere che dice che non c’era nessuno.
   Il secondo film invece entra pesantemente nella questione dell’intolleranza religiosa. E’ Dharm (religione in hindi ) del regista Bhavna Talwar (2007). Era stato presentato a Cannes ed doveva andare come candidato agli Oscar, ma e’ stato preferito a un altro. Ambientato a Varanasi, magica come sempre, racconta la storia di un brahmino che ironia della sorte accoglie in casa un neonato mussulmano (la moglie gli aveva detto che era la madre di una famiglia di brahmini lo aveva abbandonato). C’e’ tutto quello di cui si parla oggi in India, la discriminazione castale, la violenza degli hindu’ e l’ortodossia religiosa...attualissimo. Con un finale da Hollywood.
   Terzo film, ancora sul tema, e’ stato Kadosh (“sacro” in ebraico ) di Amos Gitai, che racconta dell’intolleranza religiosa ma da una prospettiva femminile. Non ci sono piu’ i brahmini, ma i rabbini a Gerusalemme. Ma in comune c’e’ l’amore di due sorelle, una per un marito che e’ impotente e che e’ costretto a prendere una nuova moglie. Un’altra che non vuole essere una ‘macchina da procreazione’ come vuole il Talmud e che si ribella perche’ innamorata di un ragazzo laico e lascia la comunita’. E’ bello vedere nel film i quartieri ortodossi di Gerusalemme che ricordo bene quando abitavo la’.
   Prima di questa abbuffata di drammi religiosi mi sono distesa con Meraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani, uno dei pochi film italiani in programma e la Dolce Vita di Fellini che ho rivisto dopo tanti anni. Attualissima, incredibile. Ho capito dove si e’ ispirato Tarantino per la ‘Grande Bellezza’, che e’ ovviamente una brutta copia del capolavoro con Mastroianni. Geniale il miracolo dell’apparizione della Madonna, con il clamore mediatico e le feste boccacesche, con nani e ballerine, con le veline ante litteram. Profetico.