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LA FOTO - La cresta de La Gomera avvolta dagli alisei

La Gomera, sabato 11 novembre 

Roque de Agando, La Gomera (Canarie) - Foto di Maria Grazia Coggiola


   Il "roque de Agando" è una formazione vulcanica de La Gomera (arcipelago spagnolo delle Canarie) che è uno dei simboli di pietra dell'isola. E' un monumento naturale che sorge a 1246 metri nella foresta di lauro selvatico del Garajonay. In termini tecnici si tratta di un "collo vulcanico", magma all'interno di un cratere che si è eroso con il tempo. Il suo nome, Agando, appartiene alla cultura dei "guancho", gli abitanti delle Canarie prima della colonizzazione ispanica, che lo ritenevano un luogo sacro. 

La foto è stata scattata con uno Galaxy Samsung nel pomeriggio quando le nubi spinte dall'aliseo, il vento da nord-est, iniziavano ad avvolgere la cima dell'isola. 

 

Canarie, il fronte sud della Nato

La Gomera, 4 luglio 2022

   Da paradiso della vacanza a fronte meridionale della Nato. Basta un attimo e ti ritrovi una trincea in spiaggia o un obice sotto l’ombrellone. Le isole Canarie sono a migliaia di chilometri dalla guerra in Ucraina, in teoria più che al sicuro dalle minacce nucleari dello zar Putin e dai suoi ricatti sul gas. Invece no.
   Dopo l’ultimo summit Nato di Madrid, che ha definito la strategia dell’alleanza per il prossimi 10 anni, le Canarie sono diventate strategiche per la difesa europea. L’arcipelago spagnolo, meta invernale dei pensionati, si è ritrovato suo malgrado a essere l’ultimo baluardo meridionale contro ‘i cattivi’ nel continente africano.

   Nello “Strategic Concept” 2022, il documento della Alleanza Atlantica sottoscritto la scorsa settimana, si elencano i “nemici” dai 30 Paesi membri: al primo posto ovviamente la Russia, quindi la Cina, il terrorismo, i pirati informatici e poi anche una serie di minacce che provengono da Medio Oriente, Africa settentrionale e regione del Sahel. Minacce che sono li’ da anni, ma la Nato sembra ricordarsene solo ora.
   Ecco il passaggio al punto 11: “Conflict, fragility and instability in Africa and Middle East directly affect our security and the security of our partners. Nato’s southern neighbourhood, particularly Middle East, North Africa and Sahel regions, face interconnected security, demographic, economic and political challenges. These are aggravated by the impact of climate change, fragile institutions, health emergencies and food insecurity. This situation provides fertile ground for the proliferation of non-state armed groups, including terrorist organizations. It also enables destabilizing and coercive interference by strategic competitors”. Con l’ultima frase penso si intenda la presenza russa e cinese in Africa.
   L’apertura del ‘fronte sud’ pare sia stato un successo diplomatico della Spagna, che ospitava il vertice. Il cruccio di Madrid e' rappresentato dalle due enclaves nello stretto di Gibilterra, Ceuta e Melilla, gli unici due territori europei sul continente africano, che sono rivendicate dal Marocco. Nelle sue ambizioni di "grande Marocco" in teoria sono rivendicate anche le Canarie. Non entro nella contesa, perché come in tutte le rivendicazioni territoriali, ci sono complesse ragioni storiche e soprattutto e conomiche (se ne sta occupando il diplomatico italo svizzero Staffan De Mistura, ex mediatore dei maro' in India e ora inviato Onu per il Sahara occidentale). Pero’ questi due avamposti esistono e possono essere un “casus belli” perché (come sull’altra sponda la colonia di Gibilterra) presidiano una delle vie marittime più’ trafficate e ricche del mondo.
   Il Marocco, guarda caso, non è stato invitato a Madrid. La Nato ha preferito come nuovo amico la Mauritania, oltre alla fedelissima Giordania.
   Da alcuni anni Spagna e Marocco sono ai ferri corti sull’annosa questione del Sahara Occidentale. Si tratta del territorio conteso tra Marocco e Mauritania fin dal 1975 in seguito alla decolonizzazione. Il governo di Rabat ne occupa meta’, c’è un muro lungo 2 mila km, mentre un terzo appartiene ai Saharawi, che in teoria sarebbero i legittimi proprietari se si applica il principio della autodeterminazione dei popoli. La guerra tra il Fronte Polisario (che rappresenta i saharawi) e il Marocco si è conclusa nel 1988 con la mediazione Onu che ci ha mandato i caschi blu (Minurso, Missione dell’Onu per il referendum nel Sahara Occidentale). Come è capitato in altre parti del mondo (Kashmir, conteso tra India e Pakistan) il referendum per stabilire il diritto all’autodeterminazione non è mai stato fatto. Le nazioni occidentali, compresa la Spagna, hanno sempre sostenuto il Marocco legittimando la sua sovranita’ sulla parte occupata di Sahara.
   Nel 2020 pero’ sono scoppiate delle proteste nel sud-ovest al confine con la Mauritania, l’esercito marocchino e' intervenuto e si e' rotta la tregua che durava da 30 anni. E' scoppiata di nuovo la guerra civile, nel disinteresse delle potenze occidentali che erano alle prese con l’emergenza sanitaria.
Da allora migliaia di disperati, in fuga dalle violenze, tentano di raggiungere le Canarie su imbarcazioni di fortuna, gli scafisti si arricchiscono, le autorita’ canarie non sono preparate all’aumento degli sbarchi (vedi lo scandalo del molo di Arguineguin, a Gran Canaria, dove due mila profughi sono rimasti ammassati in condizioni disumane per alcune settimane). Ne ho parlato in un post qui
    La Spagna accusa il Marocco di ‘complicita’” nel non fermare l’ondata migratoria e di usare i profughi come ‘arma’ di ricatto per ottenere il riconoscimento alle sue pretese territoriali. Le tensioni si sono poi acuite nell’aprile 2021 quando il leader del Fronte Polisario viene ricoverato in un ospedale spagnolo per il Covid.
   Negli ultimi tre anni migliaia di africani sono sbarcati alle Canarie, e moltissimi hanno perso la vita nel lungo viaggio attraverso l’oceano. Ancora oggi, ogni giorno, ci sono avvistamenti di barconi pieni di migranti. Per via delle restrizioni del Covid e della sospensione dei rimpatri centinaia di loro sono bloccati nei campi di accoglienza a Tenerife e Gran Canaria. Le associazioni umanitarie accusano la polizia spagnola di feroci repressioni e di arrestare tutti coloro che sono sospettati anche minimamente di traffico di esseri umani.
   L’incandescente situazione, del tutto ignorata dai media a causa della pandemia, ha portato nello scorso aprile a un accordo tra Spagna e Marocco in cui Madrid riconosce il “piano di autonomia” marocchino per il Sahara Occidentale. Quindi si sono riaperte le frontiere sud della “fortezza Europa” a Ceuta e Melilla con la garanzia di Rabat di bloccare i migranti clandestini che vogliono entrare nel territorio della Ue.
   L’accordo “ha funzionato” come dimostra il massacro di migranti di Melilla dello scorso 24 giugno. Circa 2 mila persone hanno dato l’assalto al “muro” tra Africa e Europa e sono state respinte dalle forze marocchine e spagnole. Una tragedia finita con 37 morti e centinaia di feriti calpestati nella ressa o caduti dalla recinzione. Il massacro ha sollevato molta indignazione nella Ue (pura ipocrisia secondo molti osservatori) e anche una denuncia dell’Onu.
    I flussi migratori sono i ‘carrarmati’ che la Nato dovra’ combattere sul suo fronte Sud.

ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE/I 'pescantes', quando la Gomera viveva di banane

La Gomera, 16 maggio 2021

    La Gomera, una delle più’ piccole isole dell’arcipelago spagnolo delle Canarie, non finisce mai di stupire. A Hermigua, villaggio agricolo sul lato settentrionale, quello sopravvento quindi più inaccessibile, sopravvivono i resti di una infrastruttura portuale degli inizi Novecento chiamata ‘pescante’ che serviva per lo scarico e carico delle merci (e persone) sulle navi bananiere. Sono alcuni grossi piloni di calcestruzzo di 20 o 30 metri altezza costruiti nella baia che servivano come base a una gru montacarichi. Non essendoci un porto o un molo dove attraccare, questo ingegnoso sistema permetteva ai battelli di caricare le loro mercanzie abbastanza in sicurezza. Le merci, banane soprattutto, venivano prima calate in scialuppe a remi e poi trasferite a bordo dei mercantili che sostavano al largo in fondali più profondi.
La piscina naturale con sullo sfondo i resti del 'pescante'


   Nella costa settentrionale dell’isola, dove a tutt’oggi non ci sono porti o marine, i ‘pescanti’ erano cinque e si possono vedere ancora i resti di quello che un secolo fa era una fiorente attività delle Canarie. Negli archivi fotografici in Rete si trovano le testimonianze di questo modo di trasporto che per l’epoca era considerato altamente tecnologico. Oltre a banane e pomodori, coltivati in questo lato dell’isola, che è più’ ricco di acqua, venivano ‘caricate’ anche le persone, dirette nelle altre isole dell’arcipelago oppure nell’unico porto di San Sebastian de La Gomera. I passeggeri erano stipati nelle ceste da carico insieme alle mercanzie. Ovviamente quando c’era maltempo non era possibile, nessuna barca poteva sostare sotto la gru, senza essere trascinata via dai marosi.
Da Los Sucesos de Hermigua, 1933 - Jaime Marquez 


    Il ‘pescante’ entrò in disuso quando fu costruita la strada asfaltata tra Hermigua e la capitale di San Sebastian, l’antico porto costruito dagli spagnoli, e ancora oggi unico punto di approdo per i traghetti. Con i camion si faceva prima e anche con meno fatica.
   Simili strutture, essenziali per l’esportazione dei prodotti agricoli, furono costruite più o meno nello stesso tempo anche in altre baie, come Agulo, la Caleta, San Lorenzo. Anche Vallehermoso, altro centro agricolo sul versante nord occidentale aveva la sua gru. La costruzione dei ‘pescanti’ a La Gomera è legata alla rivoluzione industriale in Inghilterra. Il commercio delle banane è infatti iniziato dall’idea di un imprenditore britannico di Liverpool, Edward Wathen Fyffe, che dopo una vacanza alle Canarie (sembra per curare la moglie da tubercolosi) ‘scopri’ le saporite e piccole banane canarie e decise di introdurle sul mercato inglese. Nel 1888 comincia quindi a esportare banane in Gran Bretagna usando una sua flotta di navi e creando una rete di distribuzione su scala industriale con stabilimenti in loco per l’imballaggio della frutta e offrendo expertise (e finanziamenti) per costruire le gru. Il business, a cui si aggiunsero dei soci, ebbe un enorme successo, il commercio fu esteso ai Caraibi e nel 1901 nacque anche una compagnia di trasporto marittimo, la Elders&Fyffes, che fino agli anni Settanta serviva anche per crociere dato che approdava nei più’ bei paradisi tropicali. Oggi Fyffes è un gigante della frutta, ha sede in Irlanda e nel 2017 è stata comprata dal gruppo giapponese Sumitomo, uno dei più’ grandi conglomerati mondiali.
   Il suo nome è entrato anche in un triste capitolo della storia spagnola, in quanto alcuni magazzini a Tenerife furono ceduti nel 1936 al regime franchista per farne una prigione per dissidenti. La famigerata “prigione Fyffes” è per molti un brutto ricordo.

   Una docente di paleografia dell’università de La Laguna, a Tenerife, Gloria Diaz Padilla, ha studiato la storia dei ‘pescantes’. Nel 2008 ha pubblicato un libro illustrato “Pescantes de la Gomera” dedicato a queste infrastrutture portuarie concentrate sulla costa settentrionale dell’isola.
   Non solo contribuirono allo sviluppo economico dell’isola nel secolo scorso, favorendo le esportazioni, ma hanno permesso anche di rompere l’isolamento della popolazione e di favorire il trasporto di medicinali e anche di malati.
    Il luogo è oggi molto popolare tra i bagnanti. Una piscina naturale, una grande vasca di cemento che si raggiunge attraverso uno sterrato, è l’attrazione principale. Da lì si gode una vista incomparabile sul vecchio pescante con sullo sfondo il vulcano Telde di Tenerife.

CANARIE/ Emergenza migranti, record di sbarchi nel weekend

 Arguineguin (Gran Canaria), 9 Novembre 2020

   Mentre tutto il mondo e' concentrato sulle elezioni Usa e l'emergenza Covid, 2 mila migranti sono sbarcati alle Canarie nel weekend provenienti dalle vicine coste dell'Africa in 40 imbarcazioni di fortuna. L'ho letto qui su El Mundo. 

   Nel porticciolo di pescatori di Arguineguin, nel sud di Gran Canaria, dove sono spesso ancorata con la mia barca a vela Maneki, hanno allestito una tendopoli lungo il molo per accogliere i disperati soccorsi nell'oceano Atlantico alla deriva su barconi di legno (dette "patera").  Le pattuglie della guardia costiera e del soccorso marittimo intercettano le imbarcazioni e caricano i migranti che come si può immaginare arrivano in condizioni estreme dopo un viaggio di due o tre giorni dalle costa del Marocco e Sahara Occidentale.


   E' da circa un anno che questo flusso migratorio verso l'arcipelago spagnolo si e' intensificato di pari passo con la chiusura dei porti nel Mediterraneo. Ne ho scritto spesso su questo blog (questo il mio ultimo articolo).

   Per gli abitanti delle Canarie non e' una novità, sanno di essere una porta di ingresso in Europa, le famose isole sono geograficamente connesse al continente africano (anche se lo ignorano per proteggere il loro ricco turismo) e già in passato hanno avuto simili emergenze. Me lo ha confermato un negoziante di Arguineguin dicendomi molto seccato "che i migranti ci sono sempre stati, ma che ora sanno di essere soccorsi, quindi partono in massa sapendo che troveranno vitto e alloggio". Pare che il governo spagnolo sta praticando una politica di accoglienza forse su pressione degli altri Paesi europei o forse per semplice spirito umanitario, Ma, in questo periodo di crisi, soprattutto qui alle Canarie pesantemente colpite per il crollo del turismo, la gente e' esasperata e non vede di buon occhio l'accoglienza. Non si sa quanto il governo spagnolo potrà permettersi politicamente di continuare su questa linea.  

Canarie in crisi/Meno turisti e piu' migranti

 Los Cristianos (Tenerife), 9 settembre 2020

   Per ironia della sorte in questi giorni alle Canarie, il famoso arcipelago spagnolo nell'oceano Atlantico, stanno arrivando piu' migranti che turisti. Il tampone obbligatorio imposto da alcuni Paesi europei, tra cui Regno Unito, Italia e Germania, per i propri cittadini in vacanza in Spagna, ha dato il colpo di grazia alla timida ripresa dell'industria turistica, motore dell'economia locale. A luglio gli arrivi dall'estero sono stati del 80% in meno rispetto all'anno precedente. I mega resort sono deserti, alcuni chiusi. Basta passeggiare per le strade dei grandi poli turistici come Los Cristianos (Tenerife) dove mi trovo ora all'ancora con la mia barca a vela Maneki per rendersi conto della crisi. Molti bar e negozi sono chiusi. Si sono moltiplicati i cartelli "se alquila".

   Nello stesso tempo pero' si sono intensificati gli arrivi di migranti dalla costa africana attraverso la "rotta Canaria",  un viaggio di diversi giorni in pieno oceano Atlantico su imbarcazioni di fortuna e senza alcuna garanzia di essere soccorsi. Una rotta che e' una delle piu' pericolose tra i viaggi della speranza verso l'Europa. Soltanto nelle ultime 24 ore sono arrivate 150 persone a Gran Canaria e Tenerife a bordo di sei "pateras" (una grande scialuppa di legno usata dai pescatori marocchini). A bordo anche un cadavere.  Nel 2020 ne sono arrivati in totale 3500, gia' ne avevo parlato su questo blog.  

   Sulla radio VHF, sul canale 16 (quello delle emergenze) la Guardia Costiera lancia continui messaggi di 'pan pan'  relativi a avvistamenti di barconi  con un numero imprecisato di persone "alla deriva tra la costa africana e le isole Canarie". E' un tratto di mare di 750 km quadrati....impossibile da tenere sotto controllo per il Salvamento Maritimo spagnolo. Chissa' quindi quante sono le imbarcazioni che non ce la fanno ad arrivare. Gli avvisi sulla radio sono cosi' frequenti che quando navigo mi limito a disinnescare l'allarme schiacciando un tasto senza sentire il messaggio. Anche io ormai, come l'opinione pubblica qui alle Canarie, sto diventando indifferente agli sbarchi quotidiani. Eppure ogni tanto mi rendo conto che anche io potrei avvistare una "patera" nelle mie 'traversate' da isola a isola. C'e' anche da dire che il mese di settembre e' un mese di calma nei potenti alisei che dominano l'oceano Atlantico. Ne sto approfittando io per esplorare l'arcipelago a vela.

    I giornali locali come La Provincia o Canaria 7 riportano regolarmente le cronache degli sbarchi, ma raramente e´specificata la provenienza dei migranti, spesso sono definiti come "subsahariani". Partono dal Marocco, ma anche piu' in giu' dal Sahara Occidentale, zona contesa e immagino in conflitto permanente (non ne conosco la storia, so che ci sono accordi di pace Onu in corso). Ho trovato su El Pais questa cartina che pubblico qui e che raffigura le diverse "rotte Canarie".  Il viaggio piu' corto sono i 100 km che dividono  il porto marocchino di Tarfaya dall´isola di  Fuerteventura, la piu´ vicina al continent africano. Quando ero ormeggiata nella marina di Gran Tarajal c'erano le tende della Croce Rossa sul molo. Non ci sono strutture adeguate per accogliere cosi' tanta gente e non mi sembra che neppure il governo canario sia disposto (o abbia la volonta') di allestire veri e propri centri di accoglienza. La seconda ondata Covid 19, molto forte, sta gia' dando non pochi grattacapi. Negli ultimi giorni c'e' stata una diminuzione dei contagi dai picchi di oltre 300 di agosto, ma la pandemia con oltre 6 mila malati, tra cui 4 mila a Gran Canaria, rimane la priorita'.

COVID19/Diario di una quarantena in barca 6 - Quando anche la plastica diventerà una pandemia?

Gran Canaria, 1 Aprile 2020

    Sono andata al Mercadona, un megastore molto popolare che si trova lungo la statale GC500 a un paio di chilometri circa da dove mi trovo all'ancoraggio con la mia barca Maneki. In teoria per fare la spesa ci sarebbe il piccolo Spar, nella marina di Pasito Blanco, che e' più vicino, pero' la varietà e' molto limitata ed e' molto costoso, soprattutto per i prodotti freschi.  Non so quindi se ho rischiato una multa. Di sicuro ho aumentato il mio rischio di contagio dato che il supermercato e' molto più affollato.
Dettaglio da Trittico delle Tentazioni di Sant'Antonio, Hieronymus Bosh   
    Per raggiungere il Mercadona ho percorso un tratto di mare con il kayak fino alla spiaggia di Meloneras e da qui circa 500 metri a piedi tra un campo da golf e un complesso residenziale turistico. Mentre camminavo ho incrociato un furgone della Guardia Civil, parcheggiato senza nessuno a bordo davanti alla spiaggia, penso per semplice dissuasione, e poi una pattuglia di poliziotti con cui ci siamo scambiati un veloce saluto. Avevo un paio di buste della spesa vuote ed era quindi abbastanza chiara la ragione della mia uscita.  La camminata, nelle strade deserte e sotto il sole ormai estivo, mi e' servita per un paio di riflessioni.
    La prima e' sul terrore di essere fermata o addirittura caricata su un furgone, come quello che avevo visto,  e portata in una localita' segreta, tipo Guantanamo del coronavirus.  Mi e' venuto in mente il romanzo distopico di Margaret Atwood, "Il racconto dell'ancella", dove la protagonista tentava di sfuggire alle telecamere nascoste per strada dal regime teocratico. Ma potrebbero essere anche le sensazioni degli ebrei durante l'Olocausto, oppure in tempi più recenti, degli abitanti di Mosul o di Aleppo quando uscivano di casa per cercare cibo sotto il tiro dei cecchini o sotto i bombardamenti. Le guerre non si sono fermate con il Covid19 (o forse si', nessuno lo sa perché i media sono concentrati sull'epidemia).
   La seconda sensazione e' di rabbia perché l'emergenza sanitaria ha provocato una reazione immediata a livello globale, una mobilitazione planetaria senza precedenti, praticamente simultanea. Altre emergenze, molto più gravi perché destinate a durare di più e con conseguenze devastanti per il pianeta, invece non hanno ricevuto nemmeno una minima percentuale di tutta l'attenzione dedicata alla lotta contro la pandemia. Certo il virus mette a rischio le nostre vite, il bene più' prezioso, ma anche le misure per combatterlo sono devastanti per la nostra sopravvivenza. Leggo oggi un rapporto di Human Right Watch sugli operai tessili in Bangladesh, Cambogia e negli altri Paesi asiatici dove si produce la moda low cost per le grandi catene di abbigliamento occidentali. Gli ordini sono stati cancellati, i pagamenti bloccati e milioni di persone rischiano la fame.
   Nel parcheggio del Mercadona c'era la coda perché gli ingressi erano limitati. C'era un poliziotto per dirigere gli accessi e controllare che tutti si mettessero i guanti di plastica. Quasi tutti avevano una mascherina o una sciarpa davanti alla bocca e stavano a quattro o più metri di distanza l'uno dall'altro. Una signora dietro di me si lamentava ad alta voce, "Es una locura" , e' una follia, non so se riferendosi alla situazione o al virus.
     A un certo punto mi sono trovata a un metro di distanza dal tubo di scappamento di un auto con il bagagliaio strapieno di rotoli di carta igienica. Quando si e' messa in moto mi e' arrivata una zaffata di gas che e' finita direttamente nei miei polmoni. Decenni di smog nelle nostre città  trasformate in camere a gas non ci hanno mai preoccupato seriamente, a parte qualche misura sporadica di blocco del traffico. Non c'e' stata nessuna allerta generale nonostante i malati per tumori, infezioni respiratorie e allergie causate dall'inquinamento. Nessun allarme per la contaminazione dell'acqua e suolo. Nessuna quarantena per la plastica che sta contagiando l'intero pianeta.

COVID19/Diario di una quarantena in barca 5 - Rivalutiamo i Borboni

Gran Canaria, 24 marzo 2020

   La burocrazia spagnola e' molto complessa ma quando e' necessario può' essere veloce e efficacie. Forse dovremmo rivalutare l'amministrazione borbonica, spesso citata come esempio di inefficienza e diventata sinonimo di un regime oppressivo nei confronti dei cittadini. Tra l'altro ho scoperto che il re Felipe e' un discendente della casata dei Borboni che tanta influenza ebbe in tutta Europa nel XIV e XVII secolo. Questa crisi ci porta a ri-scoprire molte cose, perché' non anche i Borboni?
   E' grazie alla burocrazia borbonica che oggi sono potuta in via eccezionale entrare in porto con la mia barca a vela Maneki per fare rifornimento di acqua.

   Come ho già' scritto, dal 19 Marzo, a causa dello stato di emergenza, sono stati chiusi tutti i porti in Spagna. Io mi trovo alla fonda in una baia di fronte al porto di Pasito Blanco. Evidentemente nelle misure restrittive nessuno si e' accorto che ci potevano essere barche anche fuori dai porti e quindi non e' stato specificato nulla sulle loro limitazioni o deroghe. L'unica cosa certa e' che non si può entrare in porto, cosa comprensibile perché c'e' il rischio di importare contagi dall'esterno.
Pero' ci sono delle eccezioni, come il maltempo o il rifornimento di benzina e acqua che facciano parte di una sorta di regolamento universale dei marinai. Sono appunto le "clausole"  invocate nella "resolucion" che il governo spagnolo (borbonico) mi ha inviato per email rispondendo prontamente a una mia richiesta scritta di entrare in porto e dopo aver ricevuto una mia dichiarazione in cui certificavo il mio stato di salute e quello del mio equipaggio. Oltre ai miei dati ho anche indicato i porti di attracco degli ultimi 15 giorni . 
   Il permesso,  in totale due pagine, che riproduco qui, in parte mi e' arrivato in appena 24 ore dalla mia prima email. Vista la lunghezza e la quantità di leggi e regolamenti che sono invocati, immagino che sia anche costato un po' di lavoro alla burocrazia di Madrid.
   Con questa "resolucion", che ho subito inviato alla marina di Pasito Blanco, sono potuta entrare nel porticciolo e accostare alla banchina della pompa di benzina per riempire i serbatoi.

Covid19/Diario di una quarantena in barca 4 - Il virus mi fa paura ma la repressione di più

Gran Canaria, 26 Marzo 2020

    Forse mi sbaglierò ma secondo me questa emergenza globale potrebbe rivelarsi un'occasione storica per mettere a tacere le frange dissidenti o ribelli della società e, in generale, per eliminare una volta per tutte le rivendicazioni in materia di diritti dei lavoratori, di tutela dell'ambiente, della privacy e in generale delle libertà civili. Non so se mi fa più paura il virus o la repressione per combatterlo. Le "leggi di emergenza" per il contenimento del Covid19, come quelle approvate in tutto il mondo, conferiscono poteri speciali alle forze dell'ordine, polizia e militari. Sono norme approvate dall'esecutivo, non sanzionate dai Parlamenti, ne' tanto meno sottoposte a un dibattito pubblico. Non c'e' tempo, bisogna agire in fretta, e quanto più duramente possibile per arginare la pestilenza. La sfilza di decreti firmati in maggioranza in ore notturne dal capo del governo Italiano lo dimostra.

    Ho la sensazione che molte forze di polizia vadano al di la' del semplice controllo per far rispettare la legge.  Una situazione di assoluta emergenza del genere -  come quella che si presento' all'indomani, degli attentati terroristici islamici - e' il 'sogno' di ogni autoritarismo. Ogni potere, anche quello più democratico, cela nel suo profondo, il desiderio di un controllo sociale totale e pervasivo. Più che il 'Grande Fratello' ci può riuscire il Covid19.  Temevamo un futuro orwelliano di una umanità spiata e impaurita, mentre ora ci sono state imposte restrizioni alle nostre libertà di una tale portata che prima era inimmaginabile anche nei regimi più totalitari. E' una situazione che non ha  precedenti perché ci mette di fronte alla scelta tra salute e rispetto della privacy.   
   A Taiwan, Corea del Sud e Singapore hanno violato ogni "diritto del malato" rendendo pubblici i nomi dei contagiati e seguendo i loro spostamenti con sistemi di sorveglianza. La strategia sarebbe stata vincente nel ridurre i contagi a tal punto che tutto il mondo vorrebbe ora imitare questi governi.
   In Spagna, come ho già scritto, lo "stato di allerta" e' stato imposto con misure severissime data la gravita' della pandemia. In questi giorni la Guardia Civil sta multando e arrestando persone a tappeto. Fioccano denunce anche per chi viene sorpreso fuori casa (qui non c'e' alcuna "autocertificazione"). Leggo oggi sul quotidiano  Canaria7 di un uomo portato in tribunale perché era scappato alla quarantena per andare dalla fidanzata. (leggi qui). Gli "untori" sono esposti al pubblico ludibrio, mi meraviglio che non vengano frustati in pubblico o lapidati allo stadio come ai tempi dei talebani a Kabul.
   In India, la più grande democrazia del mondo, i poliziotti picchiano in strada i venditori ambulanti, e ci si chiede cosa sia peggio tra le bastonate e il coronavirus (leggi qui). In tutta l'Asia del Sud, ci sono milioni di senzatetto, non sono mendicanti, ma gente che lavora e vive per strada. Chissà che fine faranno.   

Covid19 /Diario di una quarantena in barca 2 - Porti chiusi

Gran Canaria, 19 marzo 2020 

    Oggi con il mio veliero Maneki sono tornata dalla baia Arguineguin al porto privato di Pasito Blanco, dove ho gettato l’ancora. Come ieri non c’era nessuno per mare a parte due pescherecci. E sempre come ieri ho percorso le due miglia marine di distanza con il fiato in gola. Non so, forse anche la navigazione in mare è proibita?
L"ingresso del porto di Pasito Blanco al tramonto con gli altri velieri alla fonda 

   La novità è che dalla mezzanotte di oggi scatta la chiusura dei porti alle imbarcazioni sportive e ai charter. Non si potrà più entrare e non si potrà più uscire (vedi “Orden TMA/246/2020, de 17 de marzo, por la que se establecen las medidas de transporte a aplicar a las conexiones entre la península y la Comunidad Autónoma de Canarias”). Il divieto è stato anche comunicato attraverso la radio VHF sotto forma di un messaggio di “securite’”.
   In teoria avrei avuto quindi la possibilità di entrare nel porto di Mogan, ma ho preferito “la libertà” fuori, sperando che domani la Guardia Costiera spagnola non mi fermi perché “non sono entrata in un porto pur essendo stata informata che li chiudevano”.
   La questione è controversa. Tecnicamente l’ordine di Madrid si limita a chiudere porti (e aeroporti), il che ha senso in quanto rientra nella prevenzione della diffusione del virus da parte di passeggeri che vengono da fuori (non importa da dove). Quindi non interessa la libera circolazione dei velisti che se ne stanno in mare purché non abbiano contatti a terra.
   Ma i contatti giocoforza si devono avere se non altro per procurarsi cibo e acqua. Vedremo domani se impediranno anche al mio dinghy di entrare nel porto di Pasito Blanco per andare al supermercato.

Colombo e gli sponsor francescani della Rabida

Palos de la Frontiera, 11 aprile 2019
 
Nella mia smania di non prendere gli aerei, ancora prima del flight shame lanciato da Greta Thunberg, mi sono ritrovata a Huelva, una sonnolenta citta’ dell’Andalusia, conosciuta solo per essere uno dei due punti di arrivo del traghetto che collega le isole Canarie con la madrepatria. L’altra destinazione dei ferries è Cadice.
    Lo sbarco a Huelva è stato pero’ propizio perché mi ha permesso di scoprire una piccola chicca su Cristoforo Colombo. A 15 km infatti sorge la famosa Palos de la Frontiera, dove l’ammiraglio genovese salpo’ con le tre caravelle il 3 agosto 1492 alla volta del Nuovo Mondo. Nei dintorni ci sono molti luoghi storici “colombini”, cioe’ legati alla sua vita e alla sua impresa.
   Uno di questi luoghi, che fu determinante per la spedizione e che penso non sia molto noto, è il monastero francescano di Santa Maria della Rabida. Un bellissimo edificio in stile gotico-mudejar del XIII secolo che sorge su una collinetta vicino all’estuario del rio Tinto. Rimasto vedovo dopo la morte della sua moglie portoghese, Colombo aveva affidato il figlio Diego ai religiosi della Rabida e qui veniva regolarmente.

   Probabilmente non si sarebbe aspettato di trovare proprio tra i francescani gli sponsor determinanti della sua impresa. Nell’anno 1490 arrivo’ infatti alla Rabida deluso e probabilmente anche senza un soldo dopo che il re Fernando e la regina Isabella di Castiglia avevano bocciato il suo progetto. Forse anche le sue convinzioni geografiche stavano cominciando a vacillare. E invece nel monastero inaspettatamente trovo’ degli alleati che gli ridettero fiducia e che lo raccomandarono ai sovrani.
    Il priore della Rabida, Juan Perez, che era confessore della regina, lo presento’ a un medico appassionato di astronomia e ad una cerchia di cosmologhi. Per farla breve, tutti insieme, frati e non, come si vede in un dipinto della collezione de El Prado, ristudiarono le mappe e si convinsero che oltre l’Oceano c’erano le agognate terre orientali.
   Il priore inoltre lo mise in contatto anche con la famiglia Pinzon, i boss di Palos, che affittarono le caravelle e che furono comandanti della Nina e Pinta.
   Non è chiaro quali interessi avessero gli umili francescani nello sponsorizzare una cosi’ temeraria impresa. Pare che ci fosse anche l’interesse del Papato che ovviamente coincideva con quello dei Re Cattolici e anche con il desiderio di conquistare nuove terre e nuove anime da convertire. Esattamente come è avvenuto in seguito.

Gomera, storie di Madonne e di conquistadores

San Sebastian de La Gomera,  10 Ottobre 2019  

    La leggenda narra che dei marinai su un galeone diretto alle Americhe avessero visto una luce fortissima su un promontorio a nord del porto spagnolo di San Sebastian de la Gomera. Incuriositi sono scesi a terra e hanno trovato tra le rocce una statuetta della Vergine. L'hanno presa e caricata a bordo pensando forse che era di buon auspicio. Invece no, non sono riusciti ad andare oltre l'isola della Gomera. Quindi l'hanno riportata al suo posto e avvertito del fenomeno il governatore locale che immediatamente fatto costruire un cappella per ospitare la Madonnina. Cosi' nel 1542 e' nata l'Ermita di Puntallana (l'Eremo di Puntallana) e il culto della Virgen de Guadalupa come patrona della Gomera che viene adorata ogni anno nel primo lunedi' di  ottobre. Mentre ogni cinque anni si tiene una grande processione in mare chiamata "bajada", cioe' una "uscita in barca" della statua dall'eremo alla vicina citta' di San Sebastian).
La Vergine di Guadalupe, una Madonna 'morenita', meticcia, la cui origine  e' legata a una apparizione in Messico all'epoca dei conquistadores, e' una delle figure piu' importanti nella tradizione reliogiosa sudamericana. Anzi, pare sia stata funzionale anche alla stessa evangelizzazione del continente americano. L'atzeco che nel 1531 ha ricevuto l'apparizione della Madonna e' stato santificato 17 anni fa da Giovanni Paolo II durante una sua visita pastolare in Messico.
Ho letto che secondo gli storici la statuetta della Vergine gomerese (diversa da quella originale di Guadalupe perche' tiene in braccio il bambino, mentre quella messicana e' incinta) sarebbe un opera fiamminga forse da Siviglia. La connessione con Guadalupe non e' chiara, forse il conte della Gomera aveva delle conoscenze tra i nobili spagnoli che si erano stabiliti in Messico. Ovviamente essendo la Gomera l'ultima isola sulla rotta delle Americhe, tanto da chiamarsi oggi l'isola colombina, aveva una speciale relazione con il continente sudamericano.
   Durante la processione la gente si esibisce in danze locali al ritmo di tamburi e delle grosse nacchere, chiamate "chacharas", molto probabilmente appartenenti alla tradizione pre ispanica dei guanci o dei berberi.
   La strada e poi il sentiero per Puntallana, circa 10 km, e' costellata di strapiombi che scendono in un promontorio piatto ricoperto di una pianta autoctona che si chiama Euphoria.

Gibilterra, dove regna la Giarrettiera (stemma del Regno Unito)

Gibilterra, 27 Ottobre 2018

   “Honi soit qui mal y pense” . Questa scritta, che in francese suona più o meno così, `sia svergognato chi pensa male’, è incisa nel bronzo di un cannone che ho visto nel giardino botanico della Rupe di Gibilterra. Le parole sono parte integrante dello stemma reale del Regno Unito, uno dei più antichi d`Europa, che è raffigurato anche sui passaporti dei cittadini di Sua Maesta`.

   Incuriosita dalle bizzarre parole, ho cercato di capirne il significato. Il motto appartiene all’Ordine cavalleresco della Giarrettiera, un esclusivo club nobiliare fondato nel Medioevo e che tuttora continua a esistere anche se molti ne hanno dimenticato le origini storiche. Fu infatti istituito nel 1343 dal re Edoardo III in seguito a un curioso episodio accaduto durante un ballo di corte in cui una contessa perse niente meno che una giarrettiera. All`epoca non c`erano i collant e le calze erano sostenute da nastri di seta o di pizzo diventate poi sinonimo di biancheria sexy. Accorgendosi dell`incidente, si narra che il re si offrì per aiutare la signora a rindossare la giarrettiera (o secondo un`altra versione se la legò a un ginocchio). A sua giustificazione il monarca pronunciò poi la fatidica frase, `Honi soit qui mal y pense`, probabilmente per mettere a tacere le male lingue o forse per scherzare, chissà. In francese perché questa era la lingua parlata dalla nobiltà europea.

   Da qui non è ben chiaro come sia nata l`idea di creare un `club` di cavalieri della Giarrettiera, una idea che sembra più una goliardica trovata di bontemponi che un’ associazione di potenti teste coronate come è poi diventata nei secoli . Leggo che dell`Ordine fanno parte 24 `cavalieri` e `cavallerizze` (stranamente l`Ordine è aperto alle donne) scelti direttamente dalla Regina. Il loro simbolo è appunto una giarrettiera azzurra listata d`oro e sormontata dalla celebre frase. Ne fanno parte d’ufficio i membri della famiglia reale e in seconda battuta i più potenti monarchi del mondo. Gli ultimi arrivati sono Felipe VI di Spagna e il giovane re d`Olanda, Willem Alexander.
   Lo stemma dell`Ordine della Giarrettiera, come appare sui cannoni di Gibilterra fusi nel 1734 come vedo dalla data impressa sulla coda, è anche l`emblema ufficiale della Regina e dell`esercito inglese, e sottolineo `inglese` perché’ gli scozzesi ne hanno un altro. Il motto dell`Ordine, anche questo in francese e anche questo sui passaporti, è `Dieux et mon Droit ` (Dio e il mio diritto), che in pratica sancisce un diritto divino a governare, pure questo mutuato dai sovrani francesi dell`epoca pre illuministica.
    Probabilmente pochi britannici conoscono la storia dello stemma impresso nel loro passaporto e il significato delle parole in francese. L`ho chiesto a un amico di una certa età e non lo sapeva. Chissà se dopo Brexit lo stemma sarà tradotto…
   Ogni pietra di Gibilterra trasuda di storia. La Rupe, una delle due mitiche colonne di Ercole che costituiscono la porta d`ingresso del Mediterraneo (l`altra è collocata nella città autonoma spagnola di Ceuta), ha subito indenne ben 14 assedi, tra cui il Grande Assedio del 1779 durato oltre 3 anni e con perdite immense. A questo assedio è dedicato un museo all`aria aperta, con dei `tableau vivant`, dopo l`ingresso della Rupe (che è a pagamento, 6 euro per salire a piedi). Qualcuno conta come quindicesimo assedio quello imposto dal dittatore Franco nel 1969 e che durò fino al 1982 quando furono riaperte le frontiere con la Spagna.
   Secondo una superstizione popolare, Gibilterra resterà britannica fino a quando ci saranno le scimmie sulla rupe. I famosi macachi, ufficialmente le uniche scimmie `europee`, una delle attrazioni turistiche della colonia, sono meno aggressive dei loro consimili indiani, ma io ero lo stesso terrorizzata a scavalcare le madri che allattavano i piccoli distese sulla scalinata che porta alla cima. Le scimmie sono nutrite dai guardia parco, ma sono sempre in cerca di cibo e pronte a saltare sui malcapitati turisti che però sembrano divertirsi.
   Al di sotto della Rupe la vita scorre lenta, come in un villaggio della campagna inglese. Tutti si conoscono e hanno un forte senso di appartenenza dovuto a secoli di resistenza contro nemici esterni. La Spagna non ha mai rinunciato a rivendicare la sovranità su Gibilterra che sarebbe stata ceduta agli inglesi in virtu` del Trattato di Utrecht del 1713. È una disputa dormiente o meglio dimenticata che potrebbe però ritornare in auge presto con le conseguenze della Brexit. Il confine è quasi inesistente. Dopo una certa ora di sera è perfino sguarnito. Mi è capitato di attraversare la pista di atterraggio, che divide Gibilterra dalla città spagnola di La Linea senza che nessuno mi controllasse i documenti.
   Il traffico stradale e pedonale viene bloccato ogni volta decolla o atterra un aereo, più o meno 4 o 5 volte al giorno. È l`unico `passaggio a livello` al mondo su una pista di decollo ed è abbastanza divertente per certi versi. C`è un progetto di costruire un tunnel sotto lo scalo, ma è stato bloccato. Effettivamente l`aeroporto rappresenta un`ottima barriera territoriale.
   Un altro piano, decisamente più futuristico, di una galleria di 14 km tra Spagna e Marocco, è stato accantonato o non è mai stato preso seriamente in considerazione dato il costo elevato e la difficoltà di realizzazione per via delle forti correnti e del fondale. I collegamenti con i ferry (sia con la spagnola Ceuta che con la marocchina Tangeri, poi sono ottimi e quindi non si vede lo scopo di una maxi opera del genere tra le colonne di Ercole.

Colombo alle Canarie, ”Buscar el ponente por el levante”

Gran Canaria, 30 Aprile 2018

   Di solito a scuola si studia che il viaggio di Cristoforo Colombo per la scoperta dell`America è iniziato da Palos, in Spagna, il 3 agosto 1492. Ma in realtà il viaggio verso l`ignoto è iniziato dalle Canarie, avamposto a Sud Ovest della Spagna, ben dopo le Colonne d`Ercole. Colombo, che gli spagnoli chiamano Cristobal Colon, si è fermato a Las Palmas per riparare la Pinta e per fare rifornimenti.
    A Las Palmas l`Ammiraglio sta un mesetto; si può vedere nel quartiere storico di Vegueta la casa dove ha soggiornato, trasformata in un bel museo di arte marinara. Poi il 2 settembre parte per la Gomera dove aveva una tresca, si racconta, con la governatrice Beatriz Peraza y Bobadilla, una “nobile, bella, sofisticata e di temperamento caldo” (cito “Colombo. Diario del Viaggio che ha cambiato il mondo” di Antero Reginelli, che ho appena letto). In realtà a La Gomera, che è la più verde delle Canarie, le caravelle hanno anche fatto rifornimento d`acqua.
    Da li` il 6 settembre Colombo salpa per il mare sconosciuto convinto che il Giappone , che lui chiamava Cipango, si trovasse a una distanza di sole 4.500 miglia. Il suo obiettivo era appunto di “buscare el ponente por el levante’. Nel primo secolo AC, Eratostene aveva calcolato che la Terra misurava 40 mila chilometri di circonferenza. Quindi, forse in cuor suo, lo sapeva che era impossibile raggiungere la `rotta delle spezie` di Marco Polo, ma l`ambizione e le potenziali ricchezze lo avevano  accecato a tal punto da fingere di non conoscere la realtà`. E comunque obiettivamente nessuno sapeva cosa si trovasse a Est della Cina.
    Mentre da qui guardo la linea dell`orizzonte, immagino le tre caravelle con le vele spinte dal vento di Nord Ovest, che qui è costante, essendo le Canarie sul lembo dell`anticiclone delle Azzorre. Sono i cosiddetti `trade winds`, noti anche come alisei, che hanno portato i navigatori a scoprire nuove rotte commerciali, soprattutto dopo che la `via della seta` era diventata pericolosa per la disintegrazione del regno mongolo.
   Leggendo il diario di bordo di Colombo, o meglio la ricostruzione perché l`originale è andato perduto, ho scoperto alcune curiosità. Per esempio che l`Ammiraglio teneva due registri di bordo, uno segreto con le leghe realmente percorse ogni giorno e un altro pubblico in cui dimezzava o riduceva drasticamente le distanze per non spaventare la sua ciurma. Gestire un equipaggio di una barca è già complesso quando si sa dove si va, figuriamoci quando non si conosce la meta, o meglio la si conosce ma non si sa dove è.
   Per calmare gli animi della ciurma sempre più spaventata dalla vastità dell` oceano usava la leva del denaro e ricordava le ricchezze che avrebbero guadagnato al termine della missione. La Regina Isabella di Spagna aveva promesso una pensione vitalizia al primo che avesse avvistato la terra. Alle due di notte del 12 ottobre 1492 il marinaio andaluso Rodrigo de Triana, sulla Pinta che era la prima in quanto più veloce, rompe il silenzio con il grido “terraaa”. Erano a circa 12 chilometri dall`isola di san Salvador, nelle Bahamas.
   Per gli spagnoli Rodrigo de Triana è un eroe, c’è anche un monumento in suo onore a Siviglia. Ma il fortunato marinaio rimase a bocca asciutta perché` al ritorno in patria Colombo rivendicò il diritto a riscuotere il premio in quanto disse che aveva visto qualcosa brillare all`orizzonte già alle 10 di sera dell`11 agosto, ma l`avvistamento non era stato confermato dai suoi ufficiali che non videro nulla.
   Le descrizioni che fa Colombo dei  luoghi dove approda sono idilliache, scrive di non aver visto mai una natura più rigogliosa e delle acque così tranquille e accoglienti. Della gente ripete continuamente che sono pacifici e “a digiuno di guerra, come le Vostre Altezze si renderanno conto di persona vedendo i sette che condurrò  con me in Spagna per insegnarli la nostra lingua e, poi, riportarli nel loro paese per usarli da interpreti, a meno, che non decidiate di trattenerli in Castiglia e farne degli schiavi, insieme agli altri, nell`isola in cui vivono”.  Cosa avvenne in seguito purtroppo lo sappiamo bene.



Puerto de Mogan, la `Costa Smeralda` delle Canarie

Puerto de Mogan (Gran Canaria), 10 Aprile 2018

   Ci sono dei posti, quando si viaggia, che ti incantano fin dal primo sguardo, che senti che possiedono un qualcosa di speciale nel paesaggio, nell`architettura o semplicemente nell`aria che si respira. Uno di questi e` Puerto de Mogan, nel sud della Gran Canaria, a 40 km dalla capitale Las Palmas.  E` un piccolo porticciolo creato negli anni Ottanta che le guide turistiche spacciano per `Little Venice`. Ma di Venezia non ha nulla a parte alcuni ponticelli di legno.
   E` stato invece, anche se per poco tempo, un pezzo di Costa Smeralda, un avamposto della Dolce Vita sull`Atlantico e l`ultimo sogno di uno stravangante personaggio che ha creato l`esclusivo Porto Rafael, davanti all`arcipelagio della Maddalena, ritrovo per magnati e le loro corti stile film Grande Bellezza.  E` ormai un capitolo chiuso della storia italiana, che sembra lontanissimo, tanto sono cambiati i tempi.
   Il personaggio in questione si chiama Rafael Neville, aristocratico spagnolo, figlio dello scrittore Edgar Neville, che all`epoca faceva parte del jet set della Sardegna e dell`Agha Khan.
Siamo negli anni in cui nasce la Costa Smeralda e il suo mito. Neville, un concettualista e creativo, si direbbe oggi,  aveva gia` ideato come architetto un paio di progetti in Spagna, Torremolinos e Marbella.  Pero` poi si innamora di una spiaggetta (che gli era apparsa in sogno) in Sardegna dove si stabilisce e che diventera` Port Rafael (questo documentario  racconta il suo sogno).
   Sono gli anni del capitalismo turistico. Un suo amico, Paolo Riccardi, che e` l`avvocato e braccio destro dell`Agha Khan che nel 1982 `fiuta un altro affare` proprio qui a Puerto de Mogan, dove non c`era nulla a parte un grande bananeto come si vede da una foto dell`epoca affissa vicino alla torre di controllo della marina.
   Non so se questo e` un altro `sogno` di Neville  (il cui motto era `sognare e` vivere`) ma tra il 1983 e il 1984 nasce il porto turistico e il villaggio intorno dove oggi ci sono ristoranti, negozi e appartamenti. La piazzetta centrale, dove c`e` una rosa dei venti sul pavimento, e` stata dedicata a lui. Sul lato orientale sorge una spiaggetta orientale, mentre sul costone della montagna sorge il vecchio villaggio che era dei pescatori e agricoltori.
 Siccome Puerto de Mogan sorge allo sbocco di una sorta di canyon dove sono stati scoperti degli insediamenti archeologici e delle necropoli, per fortuna lo sviluppo edilizio non e` stato cosi` massiccio come in altre parti della costa meridionale della Gran Canaria.
   Il porticciolo ha conservato l`aspetto che probabilmente era stato concepito dalla raffinata mente di Neville, conte di Berlanga di Duero, che e` morto nel 1996.  L`intenzione era di attirare il jet set che pullulava negli anni Ottanta sulla Costa Smeralda e che di inverno non sapeva dove andare...ma pare non sia mai decollato.
   Negli anni Novanta, infatti, si sa come e` andata a finire, la gloria dell`Aga Khan e conseguentemente di tutto il suo entourage si e` appassita e Mogan e` stato inglobato nei progetti di investimento di mezza Europa. Oggi il porticciolo e` visitato da centinaia di gitanti  che fanno le escursioni dell`isola, oltre che essere uno dei tanti posti dove svernano pensionati tedeschi, britannici, francesi e anche italiani. Non c`e` nulla che ricordi l`esibizione di ricchezza e la bella vita della Costa Smeralda, i ristoranti chiudono alle 11 e non ci sono locali notturni e, ahime, neppure gallerie artistiche o ritrovi culturali.
   La sua affascinante storia resta nelle facciate colorate del piccolo borgo pieno di gatti e di bouganville.