Le virtù dell’immigrazione, la scuola americana e Friedman

Siccome mia figlia ha cambiato scuola, da un po’ di tempo vado a fare colazione all’American School, nel quartiere diplomatico di Chanyakiapuri. Ho abbandonato il Barista-Lavazza di Khan Market e purtroppo anche il Lodhi Garden. Dico purtroppo perché adesso vado a fare jogging a Nehru Park che ha un percorso più lungo che mi spacca le gambe.
Il campus della scuola americana è il sogno di ogni studente. Sembra quasi finta per me che ho fatto la terza media in una scuola di periferia, di quelle costruite in fretta e furia per contenere la spinta d’urto dei baby boomers e dove ogni giorno alla ricreazione c’era un pestaggio. Gli studenti mi sembrano comparse di un telefilm americano. Vedo i ragazzi, di tutte le razze, colori e lingue, camminare con il laptop sottobraccio. In biblioteca sono seduti a leggere sui divani. In piscina sono a fare vasche con davanti il cronometro. I professori che ti sorridono. Insomma, un mondo perfetto. Mi sale la depressione a pensare a come ho fatto io le medie in Italia. Per non parlare dell’Università a Torino. Va anche detto che tutto cio’ si paga salato e che i ragazzi appartengono a una fortunata elite. Ma non sembrano montarsi la testa e soprattutto sono determinati a sfruttare l’opportunità unica di studiare in un ambiente internazionale. Questo succede in India, ma penso capiti anche nei college degli Usa.
L’altro giorno mentre ero persa in queste considerazioni davanti a un caffelatte, mi è capitato sottocchio proprio a fagiolo un editoriale di Thomas L. Friedman sul New Yok Times in cui si esaltano le virtù dell’immigrazione e del melting pot. Friedman è uno dei miei preferiti. E’ anni luce in avanti quello che si scrive sui giornali italiani (che leggo ormai solo raramente). Questo pezzo in particolare, ne farei una lettura obbligatoria in Italia, dove gli immigrati sono ancora i “vu cumpra” e i bambini stranieri a scuola sono visti come un pericolo e non come una risorsa.

Quando le donne indiane evirano i mariti…

Essendo il mio nome nella lista dei giornalisti accreditati in India che è pubblica, mi capita a volte di ricevere lettere di cittadini arrabbiati contro il governo oppure altri che denunciano episodi di corruzione. Il classico “lo farò sapere ai giornali” funziona anche qui. Ogni tanto però mi capita di ricevere lettere strampalate come questa inviata da un certo Sig. Nirav di Vadovara (in Gujarat) che in un inglese un po’ maccheronico propone una legge per la prevenzione delle “offese sessuali maschili” e specificamente contro l’evirazione. Allega anche la bozza di legge da lui scritta da presentare al Parlamento e alcune fotocopie di articoli di cronaca nera con atroci racconti di evirazioni da parte di mogli, sorelle, amanti o zie in diverse parti dell’India. Un articolo è anche corredato da un disegno di una donna in sari che brandisce un coltello in direzione di un uomo seminudo. Molti dei malcapitati ci hanno anche lasciato le penne, oltre che il pene.
Secondo quanto scrive il sig.Nirav, “i reati criminosi di taglio del pene (“penis-cutting of men”) sono in aumento e quindi ci vuole una legge severa per punire questi reati che sono contro natura e che distruggono la sessualità e le capacità sessuali (“against nature to destroyed sexuality and sexual abilities, sic)”.
Per ribadire il concetto sul frontespizio della lettera sono disegnate alcune gocce di sangue che rende il tutto ancora più orrido. Sotto compare la firma anche della moglie che si unisce all’appello. Mah…e io che pensavo che in India fossero le donne le vittime della violenza maschile…

Corbett Park, più sciacalli che tigri

Disavventure del turismo fai da te

Per Holi, la festa dei colori, sono andata al Corbett Park, una delle più popolari riserve per le tigri, a una notte di treno a nord di Delhi, nello stato settentrionale dell’Uttarkhand. A Corbett, dicono ci sono ancora 164 tigri su un totale di 1411 sopravissute al bracconaggio, alla cementificazione e anche alla corruzione degli enti forestali. In occasione della festività, il parco era pieno di vacanzieri indiani, o almeno così mi hanno detto dall’ufficio informazioni di Ramnagar, città a 40 km dall’ingresso della riserva, dove c’è la stazione più vicina.
Dopo oltre 8 anni di viaggi in India, poche volte sono tornata delusa. Ma con Corbett è successo. Probabilmente avrei dovuto prendere un pacchetto tutto compreso per evitare i ricatti e l’arroganza degli addetti del parco e di tutti gli altri maneggioni che ti puntano fin da quando metti piedi giù dal treno e che tentano di mungerti il più possibile. La mia intenzione era di prenotare una camera o un letto in uno delle guesthouse governative e comprare un ingresso al parco più un safari con jeep o elefante. Come sempre, anche a Corbett gli stranieri pagano il doppio degli indiani. Per esempio l’ingresso (due giorni) è 900 rupie per gli stranieri e la metà per coloro che hanno nazionalità indiana. Stessa differenza per i safari con jeep o elefante. Il “listino prezzi” - che mi è stato fornito da un tizio per strada ancora prima che arrivassi all’ufficio - conteneva diverse opzioni, ma quando sono riuscita a parlare con un addetto dell’Information Center (che ha aperto con un’ora di ritardo) sono stata raggelata. Con estrema arroganza da dietro lo sportello mi ha detto che l’unica possibilità era il safari con il bus (6 ore) al costo di 2000 rupie a testa. Non è stato neppure a sentire quando gli ho detto che volevo stare 2 o 3 giorni e se c’erano altre sistemazioni disponibili. Niente, come se avessi parlato a un muro. Non ho ricevuto il minimo aiuto o consiglio. L’unica soluzione era accettare l’offerta degli sciacalli che mi circondavano e che a caro prezzo mi avrebbero trovato una soluzione e - sono sicura - anche un biglietto di ingresso. Ho girato i tacchi e dopo tre ore di bus ero a Nainital, località montana a due mila metri con uno splendido lago color smeraldo. Però - mi chiedo - se è così che in India gestiscono i parchi, povere tigri…

Il cellulare del capo maoista? Eccolo qui

“Il mio telefonino è 9734695789, chiamami se vuoi la tregua”. Il super ricercato maoista Mallojula Koteshwar Rao, nome di battaglia compagno Kishenji, che sta dando del filo da torcere all’esercito indiano, ha proposto al ministro degli interni PK Chidambaram di chiamarlo al cellulare. Siamo decisamente entrati nell’era della comunicazione globale. E’ già tanto che il capo guerrigliero, in clandestinità da ben 23 anni, non abbia proposto a Chidambaram di chattare su Hotmail. Così vanno le cose nella “misteriosa” quanto controversa operazione militare “Green Hunt” lanciata dal battagliero ministro degli interni contro i maoisti che si nascondono nelle foreste del centro e nord est dell’India (da qui il nome green, non certo perché difende l’ambiente). Di questa guerra interna che l’India sta conducendo, si sa ben poco. Alcuni dicono addirittura che l’offensiva non sia mai stata lanciata. Intanto però i maoisti continuano ad attaccare basi e guarnigioni militari. Poco si sa anche dei maoisti, o naxaliti come sono chiamati, e per quale causa combattono. Sono rivoluzionari Robin Hood che lottano per i contadini senza terra e contro le multinazionali delle ricche miniere dell’Orissa e Jharkhand? Oppure sono dei semplici briganti? O ancora sono dei comunisti più radicali che ce l’hanno con i compagni bengalesi che sono al potere? Comunque sia Mao c’entrerebbe ben poco.
Il bello è che prima che Kishenji fornisse il suo numero di telefonino pregando di chiamare alle 17 di mercoledì, il ministro Chidambaram a sua volta aveva dato il suo numero di fax invitando i maoisti ad arrendersi.

Super elicotteri italiani per Sonia Gandhi?


A Defexpo 2010 ancora in suspense la fornitura degli Agusta VVIP
Fa sempre un certo effetto andare alla fiera degli armamenti di Delhi, diventata ormai una dei più importanti appuntamenti dell’Asia per la quantità enorme di soldi che il Paese del Mahatma Gandhi intende spendere nei prossimi dieci anni. Si parla, infatti, di 200 miliardi di dollari. Non oso neppure immaginare che cosa si potrebbe fare per la povera gente con quella somma. Ma l’esercito qui ci vuole, non solo per combattere il Pakistan, ma soprattutto per resistere alla Cina che preme ai confini himalayani. L’India ha uno degli eserciti più grandi del mondo, ma anche il più smandruppato. Le caserme sono delle tendopoli protette da recinzioni di bambù come quell’assaltata mercoledì in Bengala Occidentale dai maoisti che hanno ammazzato 24 soldati praticamente senza incontrare resistenza. I giornali hanno detto che la base era un “picnic spot”. Il dramma è che in realtà sono tutte così.
A Defexpo 2010, quest’anno un po’ disorganizzato per via dei lavori di ristrutturazione della fiera Pragati Maidan, hanno partecipato come sempre tutti i big dell’industria mondiale della difesa per far vedere il fior fiore dell’ultima tecnologia in fatto di cannoni, carri armati, razzi e mitragliatori. C’erano persino i pacifici svizzeri con i loro coltelli Victorinox. Grande protagonista del salone, l’elettronica con tutta una serie di aggeggi per il “soldato del futuro”, tipo i marines in Iraq o Afghanistan. Mi venivano in mente in poveri “jawans” in ciabatte massacrati dai guerriglieri maoisti, anche loro in ciabatte, naturalmente. Certo, qui c’è parecchio da fare e da vendere.
L’Italia era presente in grande spolvero con un mega stand di Finmeccanica e delle sue controllare tra cui gli elicotteri AgustaWestland. I manager italiani avrebbero voluto ufficializzare la vendita di 12 elicotteri AW 101 VVIP, ma a quanto pare il governo indiano non ha voluto. Perché? Nessuno lo sa….Secondo me è perché il super elicottero (gli americani lo volevano per rimpiazzare il Marine One di Obama, ma poi è arrivata la crisi…) serve a trasportare il premier, la presidente e molto probabilmente anche Sonia Gandhi, che è quella che ha più esigenze in materia di sicurezza. La faccenda è quindi sensibile…Madam che viaggia su costosissimi elicotteri italiani….mmm. Meglio aspettare che si spengano i riflettori della stampa su Defexpo 2010…
Intanto per la felicità degli aspiranti top gun, il consorzio italo-francese-spagnolo-austriaco-britannico e saudita di Eurofighter ha portato al salone un simulatore di volo che è una versione semplificata di quello usato per l'addestramento dei piloti. In ballo, si sa c’è la “madre di tutte le commesse”, 126 cacciabombardieri, che da ormai circa 8 anni devono essere aggiudicati. Il caccia europeo Typhoon è ben piazzato. Me l’hanno fatto provare. Non vorrei dire una bestialità, ma sembra di guidare uno scooter talmente è maneggevole. Avrei dovuto centrare con un missile una portaerei al largo delle coste britanniche, ma l’ho mancata per un pelo. L’atterraggio è però difficile, quasi tutti, me compresa, si sono schiantati appena toccata terra…

Quanto inquinano i salatini all’asparago?

Il Teri ha organizzato il decimo Delhi Sustainable Development Summit

Nei giorni scorsi si e’ tenuto a New Delhi un’importante conferenza internazionale sul clima organizzata dal centro ricerche TERI, che (nessuno sembra ricordarlo) stava per Tata Energy and Resources Institute in quanto creato nel 1974 dal colosso industriale indiano. Da un po’ di anni la “T” e’ diventata solamente “The” nell’acronimo e la prestigiosa organizzazione no-profit ora esclude qualsiasi connessione con il gruppo Tata. A capo del Teri dal 2002 c’e’ Rajendra Pachauri, che e’ anche presidente del Comitato Intergovernativo Onu per il Cambiamento Climatico vincitore del Premio Nobel per la Pace insieme all’ex presidente Al Gore. Pachauri e’ un omone che potrebbe benissino interpretare il cattivo nelle favole per bambini. Dopo anni di popolarita’ quest’anno e’ incappato in una serie di incidenti di percorso e anche in una campagna al vetriolo da parte della stampa britannica che lo ha “accusato” di vivere a Golf Links, ricco quartiere di Delhi e di spendere una fortuna per gli abiti. Per quanto ne capisco di moda – esprimo il giudizio in quanto italiana – io lo vedo sempre vestito malissimo. Sembra Pierrot. La stoffa sara’ pure pregiata, ma il sarto e’ decisamente da cambiare. La sua imagine si e’ decisamente offuscata quando durante il vertice di Copenhagen e’ uscito fuori che i ghiacciai himalayani non si scioglievano nel 2035, ma nel 2235 o giu’ di li. Ci sarebbe stato un errore di stampa nel quarto rapporto del Comitato Intergovernativo da lui presieduto, meglio noto come IPCC. Pachauri ha ammesso l’errore, ha chiesto scusa e ha resistito agli attacchi di chi voleva che si dimettesse. Ha pure incassato la fiducia del primo ministro indiano Manmohan Singh che ha inaugurato il summit di Delhi, chiamato Delhi Sustainable Development Summit e giunto alla decima edizione.
Dato che era la prima occasione di un incontro internazionale, il convegno ha attirato un buon numero di ministri stranieri, tra cui anche la ministra italiana Stefania Prestigiacomo. Dopo il fallimento di Copenhagen e (prima del probabile fallimento di Citta’ del Messico) e’ stata una buona occasione per confrontarsi tra politici e esperti. Ma non so fino a che punto, in quanto i Paesi emergenti, India e Cina, non sembrano abbandonare le loro posizioni. L’Europa e’ senza parole e gli Stati Uniti hanno altri pensieri ora.
Ma negoziati di Kyoto a parte, il vero protagonista di questi convegni e’ ormai l’eco business. Mi sto accorgendo quanto l’ambiente ormai e’ la foglia di fico per coprire enormi interessi in gioco. Sabato pomeriggio ho assistito alla sessione dedicata a finanziare il trasferimento di tecnologia pulita ai paesi poveri. Che, detto cosi’. sembra una cosa buona, diamo i depuratori al Terzo Mondo cosi che non inquinano piu’, ma che nasconde gli stratosferici interessi della grande industria che produce i depuratori, tanto per fare un esempio. In una sala del Taj Palace Hotel, dove e’ stato organizzato il vertice, c’erano appunto le grandi aziende straniere che producono la tecnologia verde e che ovviamente hanno oggi la piu’ potente lobby presso governi, Nazioni Unite e organizzazioni no-profit. Di “verde” ci ho visto poco. Solo per pubblicare il kit dei delegati, su carta patinata, avranno buttato giu’ un pezzo di foresta. Durante il break hanno servito dei salatini all’asparago. Non mi risulta che gli asparagi crescano in India, eccetto forse che a casa di Sonia Gandhi, nel cui orto crescono i finocchi (ho fonti di prima mano, ma non li rivelero’ nemmeno sotto tortura). Quindi sono stati importati, probabilmente in aereo….

Ma quante ceneri del Mahatma esistono ancora?

E' uscito il film The Road to Sangam
La vigilia dell’anniversario dell’uccisione del Mahatma, avvenuta il 30 gennaio, sono andata all’anteprima di un bel film “gandhiano” a metà tra fiction e realtà. Si tratta di “The Road to Sangam” del regista debuttante Amit Rai presentato l’anno scorso a Cannes. La storia è vera: un’urna contenente le ceneri di Bapu era stata “dimenticata” nel caveau di una filiale della State Bank of India nello stato orientale dell’Orissa. Uno dei pronipoti, Tushar Gandhi, che nella pellicola, recita se stesso, riesce dopo una lunga causa giudiziaria a riaverla e la porta ad Allahabad per immergerla alla confluenza del Gange, Yamuna e il mitico Saraswati. Solo che per la cerimonia vuole usare una vecchia Ford, la stessa utilizzata anche nel 1948. Da qui il canovaccio si intreccia con le vicende di un meccanico mussulmano, molto devoto, che deve riparare il vecchio motore e nello stesso tempo lottare contro la propria comunità (e contro un intransigente “maulana” che somiglia un po’ a bin Laden) per avere il diritto ad aprire la propria officina nonostante uno sciopero proclamato dai mussulmani per protestare contro i metodi repressivi della polizia. Un film decisamente patriottico, un po’ caricaturale nel dipingere i mussulmani, ma bello perché reca un forte messaggio di unità e tolleranza, soprattutto in questi tempi in cui l’Islam è spesso associato al terrorismo. Bella la musica e non mancano le battute divertenti. Insomma da vedere.
Alla serata, all’auditorium dell’Indian International Center, c’era anche lo stesso Tushar Gandhi, figlio del giornalista Arun Gandhi che vive negli Stati Uniti, figlio del secondogenito del Mahatma e forse l’unico impegnato a diffondere i principi gandhiani, anche se tra mille polemiche e controversie. I discendenti di Bapu si sono rivelati molto rissosi e purtroppo non all’altezza dell’illustre antenato.
Mi hanno colpito le parole di Tushar, un omone grande e grosso che non ha nulla del bisnonno, che ha raccontato di quando ha aperto la cassa sigillata contenente l’urna. “Di solito sono una persona molto pragmatica – ha detto – ma quando ho toccato l’urna di terracotta ho avuto una forte sensazione e ho capito che quelle ceneri volevano essere liberate. Ho capito che dovevo immergerle subito e così ho fatto”. Era il 1997 e le ceneri sono state immerse ad Allahabad, come si vede nel film.
Mi ricordavo però che due anni fa, per il sessantesimo anniversario della morte, altre ceneri erano state disperse nel Mar Arabico a Mumbai da altri pronipoti e leggo ora che ieri altri resti sono stati immersi in Sudafrica. Dopo la cremazione si dice che le ceneri siano state divise in 20 urne e inviate in ogni stato dell’Unione Indiana. Nel museo davanti al mausoleo del Rajghat a Delhi di fatti sono esposte altrettante urne vuote...ma quante ceneri del Mahatma esistono ancora?

La cultura vista dalla strada

La mostra fotografica Un.it Unescoitalia e quella di uno ex slumdog
Nelle ultime due sere sono andata all’inaugurazione di due mostre fotografiche. Una organizzata dall’Istituto di Cultura Italiana, “Un.It Unescoitalia”, dedicata a 44 monumenti italiani immortalati da 14 famosi fotografi italiani. L’altra organizzata dall’American Center, “WTC: Now”, realizzata da un ex “street children” diventato fotografo grazie a una ong indiana e grazie all’aiuto di una fondazione americana. Entrambe le mostre esaltavano paesaggi, persone e situazioni “nazionali”. Le meraviglie architettoniche dell’Italia in un caso, la costruzione del nuovo grattacielo a Ground Zero e alcuni angoli di Manhattan con un tocco di patriottismo nell’altro caso. A corredo della mostra americana sono stati proiettati anche alcuni cortometraggi sull’11 Settembre realizzati da diversi registi, tra cui Mira Nair, fondatrice di Salaam Balaak. Entrambe le mostre sono state inaugurate dai rispettivi ambasciatori, Roberto Toscano e Timothy Roemer e entrambi gli eventi hanno avuto una buona accoglienza da parte del pubblico.
Bene, dove voglio andare a parare? Che gli americani sono riusciti – come quasi sempre – a emozionare. La storia dell’ex slum dog, Vicky Roy, che fino a pochi anni prima sniffava colla alla stazione e ora espone foto su Manhattan, non può non commuovere. L’appello di Sanjay Roy, produttore cinematografico, anche lui fondatore della Fondazione Salaam Balaak, ad aiutare i suoi 3500 bambini di strada non solo con denaro, ma aiutandoli a realizzare le loro legittime aspirazioni, di sicuro non è caduto del vuoto. Il messaggio è forte. La miseria si vince non con l’elemosina, ma con le idee e aprendo le porte.
Il contrasto con le foto di una mostra italiana itinerante del 2008 su luoghi che solo pochissimi fortunati potranno mai vedere, balza agli occhi. I fotografi italiani, selezionati dal Ministero degli Affari Culturali, non hanno certo bisogno di un’audience indiana. Perché allora non invitare qualche fotografo indiano a fotografare il Belpaese? Forse costava anche di meno.

Sania Mirza, meglio la racchetta che l’altare

La tennista ribelle dice no al matrimonio combinato
Ancora una volta Sania Mirza, la tennista superstar mussulmana, ha mostrato di guadagnarsi il titolo di beniamina delle femministe indiane. Dopo aver annunciato in pompa magna il fidanzamento l’anno scorso con un amico di infanzia di Hyerabad, probabilmente scelto dalle rispettive famiglie, Sania ha cambiato idea. In una conferenza stampa ha detto ieri che ci sono incompatibilità di carattere e poi è partita per le qualificazioni della Fed Cup 2010. Bel colpo, forse il migliore della sua carriera. Ha lasciato a bocca asciutta il fidanzato, rampollo di una famiglia industriale e appartenente alla casta dei Mirza, i genitori che come tutti i genitori, vogliono vedere le figlie piazzate prima che sia troppo tardi e poi tutti i benpensanti mussulmani e non. La ribelle Sania è tornata in azione. E questa volta sarà la fine dei matrimoni combinati in India?

Cala la nebbia sul Republic Day

Sarà per la nebbia, fittissima come non mai, oppure per l’allarme attentati, ma la tradizionale parata della Festa della Repubblica è stata un po’ sottotono. Per la prima volta sono riuscita a ottenere degli inviti dal Ministero della Difesa per un posto da Vip proprio davanti alla tribuna d’onore dai vetri blindati dove sedeva la presidente Pratibha Patil e il suo ospite, il premier sudcoreano Lee Myung Lee.
Alle 10, quando è iniziata la sfilata con le cannonate a salve, non riuscivo nemmeno a vedere al di la della strada, di Rajpath. I carrarmati Arjun e il missile terra terra Agni 3, gioielli della tecnologia militare indiana fai-da-te, comparivano come mostri da una fumosa coltre bianca anticipati dalla patriottica descrizione di uno speaker, sempre il solito, che ha un tono da filmato dell’Istituto Luce. Neppure le pacchianissime truppe cammellate sono riuscite a bucare la nebbia che ha fatto saltare l’esibizione degli elicotteri da combattimento LHC, ma non quella della pattuglia acrobatica che ha disegnato in cielo il “trishul”, il tridente simbolo di Shiva. Per fortuna alla fine si è levato un po’ di vento e ho potuto vedere Manmohan Singh e la moglie accompagnare la presidente Patil, in un cappottino bianco, alla sua macchina accompagnata da 46 guardie presidenziali a cavallo.
Mi è sembrato che la parata è stata un po’ accorciata quest’anno. Pochi i palloncini verde-giallo-arancione- lanciati alla fine (ma forse con la nebbia non li ho visti) e meno entusiasmo tra la folla. Per lavoro, ma anche per curiosità infantile, ogni anno cerco di seguire la parata del 26 gennaio. E’un‘esibizione di muscoli di un’India che per me continua a rimanere quella del Mahatma Gandhi, ma anche una delle rare occasioni di celebrare l’unità nazionale con la sfilata dei cosiddetti “tableau”, i carri allegorici viventi, presentati dagli Stati dell’Unione. Mi è piaciuto quello del Maharastra dedicato ai “dabbawalla”, quelli che a Mumbai ogni giorno portano le gamelle del pranzo dalle case agli uffici e sono diventati un “case study” di management perché fanno un errore su sei milioni di consegne. Mi è sembrato anche di vedere meno folla su Rajpath. Gli indiani, quelli ricchi, hanno fatto il ponte, mentre gli altri forse la vedono per televisione.
Dopo 60 anni di Republic Day, caratterizzati da successi, ma anche da fallimenti come hanno evidenziato alcuni come lo storico Ramachandra Guha su Outlook (vedi), forse subentra una certa stanchezza. D’altronde anche in Italia, repubblica quasi coetanea, chi se lo ricorda il 2 giugno?

Republic Day, la Posco e le foreste dell’Orissa


Il presidente sudcoreano Lee Myung-bak sarà l’ospite d’onore della parata militare di domani
Stamattina "The Indian Express" dedicava un articolo in prima pagina agli "ospiti di onore" della parata che si tiene domani, 26 gennaio, Republic Day, che vede il sessantesimo anniversario della Repubblica indiana. La tesi del giornale é che l'India ha sempre invitato i leader a seconda della propria convenienza del momento. Quest'anno tocca al presidente sudcoreano, Lee Myung-bak, soprannominato Mr. Bulldozer per aver modernizzato la capitale Seul. I coreani sono giá ampiamente presenti con le loro auto,televisori, telefonini e elettrodomestici nelle case delle famiglie indiane e se non lo sono, lo sono sicuramente dei sogni dei futuri consumatori. Ma non si tratta solo di vendere i nuovi gadget Samsung o Lg. La partita é piú grossa e appetitosa per Seul e per New Delhi. Ci sono le centrali nucleari da costruire sgomitando con i francesi e americani, e poi l'acciaio. Per accontentare l'illustre ospite il governo indiano ha promesso di accelerare il controverso progetto della Posco nello stato dell’Orissa. Il gigante coreano dell’acciaio, a caccia di miniere di ferro per aumentare la propria produzione e sfamare la vorace industria automobilistica, è da qualche anno bloccato a causa della resistenza dei contadini dell’Orissa contrari all’esproprio delle terre agricole e anche degli ambientalisti. Il mega progetto Posco, 12 miliardi di dollari, il più grande investimento straniero in India, prevede la costruzione di un impianto siderurgico dalla capacità di 12 milioni di tonnellate di acciaio all’anno e anche un nuovo porto a Jathadari, una costa dove nidificano le rare Olive Ridley Turtley. In termini ambientali, significa abbattere una foresta di 300 mila alberi e muovere decine di villaggi popolati da indigeni dell’Orissa, la “mineral belt” indiana ricca di ferro, bauxite e anche uranio.
Lo scorso 8 gennaio, un po’ in sordina, il Ministero dell’Ambiente e delle Foreste indiano ha dato il suo ok all’impianto evidentemente come “cadeau” di benvenuto per Lee e per la sua partecipazione al Republic Day. Pare che l’”environmental clearence” non sia però sufficiente data la forte opposizione della popolazione locale che deve ancora negoziare il pacchetto di rimborsi per la terra e per il la rilocalizzazione. Insomma Posco potrebbe fare la fine della Tata Motors costretta ad abbandonare i piani di fare la fabbrica della Tata nana su dei terreni confiscati vicini a Calcutta. Ma sarebbe una bella figuraccia di fronte a Lee, oggi accolto con tutti gli onori dalle tre associazioni industriali indiani, la Cii, Ficci e Assocham, che raramente organizzano insieme un evento. Ripeto, non sono io a a dirlo, ma è l’Indian Express (Behind the warm Welcome, a cold strategy)…certo che gli indiani sono maestri di pragmatismo soprattutto quando c’è odore di soldi.

Spose bambine e coccodrilli che mangiano i padri

Come ogni anno in occasione del Republic Day, martedì 26 gennaio, avviene la consegna dei National Brawery Awards a dei bambini che si sono segnalati per il loro coraggio o altruismo nel salvare delle vite umane. Piccoli eroi che sembrano usciti dal libro Cuore. Storie che solo in India, paese ancora aggrappato ad un passato quasi fiabesco, riescono a conquistare le prime pagine dei quotidiani nazionali. Da noi la cosa sarebbe immediatamente bollata come fascista. I 21 bambini, under 16, in uniforme rossa, hanno ricevuto una medaglia e una somma di denaro dal primo ministro Manmohan Singh e martedi avranno l’onore di sfilare alla parata. Fino a due anni fa sfilavano – pensate un po’ – su un palanchino a dorso di elefante. Poi a causa di qualche pachiderma imbizzarrito e anche per le proteste degli animalisti come Maneka Gandhi, la cognata ribelle di Sonia, la tradizione è stata abbandonata. Il Times of India ha dedicato una pagina alle loro imprese. Mi ha colpito quella di Narendrasinh Natwarsihn Solanski che in Gujarat ha affrontato un coccodrillo che si stava per mangiare il padre. Gli ha ficcato un bastone negli occhi e la bestia ha mollato la presa. Afsana Khatun, invece, si è rifiutata di sposarsi all’età di 12 anni. In un piccolo villaggio del Bengala Occidentale, dove vive, ha perfino convinto altre due amiche a non cedere alle pressioni delle famiglie ed ha iniziato un movimento contro i matrimoni infantili. Che coraggio.

Scioglimento dell'Himalaya, genesi di un'eco bufala

L'ecobufala dei ghiacciai dell'Himalaya che svaniscono nel 2035 nasconde almeno due spaventose realtá. La prima é che come da tempo vado dicendo purtroppo non esiste piú senso critico non solo tra i giornalisti, ma anche tra la comunitá scientifica. La tecnica del "copy and paste" é utilizzata anche da superesperti e plurilaureati che si fanno profumatamente pagare per conferenze oltreoceaniche e tonnellate di carta con estremo danno ai cieli e alle foreste. Secondo é che dall'appiattimento delle informazioni - di cui lo strumento internet é il maggiore responsabile - qualcuno forse ci guadagna. Qualcuno ciurla nel manico per usare una vecchia e ormai disueta espressione. Vedi la storia dell'influenza suina e degli inciuci tra Organizzazione Mondiale della Sanitá e industrie farmaceutiche.
La tesi dello scioglimento accelerato dell'Himalaya, che ha alimentato la vecchia acrimonia tra il ministro dell'ambiente Jairam Ramesh e il Premio Nobel per la Pace, Rajendra Pachauri (capo dell'IPCC), é basato su una serie di perle impressionanti. Nel 1999 il glaciologo indiano Said Iqbal Hasnain rilascia una dichiarazione per e-mail alla rivista The New Scientist dove dice che i ghiacciai himalayani sono destinati a sparire nel 2035. Dice di averlo detto solo in quella occasione, non si sa perché, forse perché aveva digerito male. Sei anni dopo, nel 2005, il WWF, probabilmente a corto di idee, riprende la sparata e la mette in un suo rapporto. Passano altri due anni e nel 2007, i super esperti e Premi Nobel del Intergovernamental Panel on Climate Change, anche loro in cerca di "ciccia" per rendere piú sexy ("sex up" direbbero dall'ufficio di Blair) il loro quarto e ultimo rapporto, riprendono lo stesso dato e lo copiano nel paragrafo 10.6.2. Voilá. Primo mi chiedo quanti di loro, come molti altri esperti delle Nazioni Unite, abbiamo mai visto un ghiacciaio himalayano. Consiglierei una traversata del Baltoro Glacer per farsi venire qualche idea. Ma potrebbe andare bene anche una passeggiata fuori dagli hotel o dai loro uffici una mattina di inverno, come quella di oggi a Delhi. Tanto per capire che esiste un mondo reale oltre lo schermo dei loro computer. Secondo, cosí facendo si rischia di screditare la problematica dell'inquinamento (io lo chiamo ancora cosí) che esiste, eccome, e che di sicuro non sono i superesperti di "climate change" a risolverlo...

Quando il Sole entra nel Capricorno…

Cinque milioni di pellegrini al Kumbh Mela di Haridwar

Oggi è Makar Sankranti, parola sanscrita che indica il passaggio del Sole nella costellazione del Capricorno secondo il complesso zodiaco induista. Ho scoperto che è uno dei giorni più importanti del calendario e coincide con diverse attività e celebrazioni. E’ il giorno della mietitura, ma è anche considerato la fine dell’inverno, anche se fa ancora un freddo cane. Qui a Delhi lo chiamano Lohri, accendono dei falò e fanno dei riti propiziatori. In Gujarat oggi inizia la festa degli aquiloni e ad Haridwar, sul Gange, sempre oggi, è iniziato il Kumbh Mela. Da uno ai 5 milioni di pellegrini – le stime variano – hanno o faranno il primo bagno nelle acque del fiume sacro quest’anno eccezionalmente gelide. Il Purna Kumbh Mela 2010 di Haridwar non è quello più grande ma fa poca differenza quando si parla di qualche milione in più o in meno di visitatori. Dicono che il Kumbh Mela sia uno dei più grandi assembramenti religiosi del mondo, forse più della Mecca. Le resse fanno ogni volta decine di morti. Sempre oggi in Bengala Occidentale, in un altro bagno sacro, il Ganga Sagar, diversi pellegrini sono stati uccisi perché schiacciati dalla calca. Mi chiedo spesso se tanto fervore religioso in posti come Haridwar, Benares o ancora di piú Gerusalemme, abbiano il potere di “accumulare” energie positive, quindi benefiche per chi si trova a contatto. Casualmente ieri pomeriggio, all’American Embassy School, c’era una conferenza di un fotografo Martin Gray che da ben 40 anni non fa altro che immortalare posti sacri (www.sacredsites.com). Le sue foto, semplicemente perfette, sono finite anche sul National Geographic. Non senza presunzione, è convinto di ricevere l’aiuto delle divinità quando fotografa i posti sacri. In effetti alcune sembrano solo frutto di buona sorte nel senso di luce ideale e posizione ideale.
Tornando al Makar Sankranti, alla transizione del Sole e ai 5 milioni di pellegrini che in questo momento adorano le acque di un fiume, c’è anche un'altra coincidenza di fenomeni naturali, l’eclisse solare prevista domani…e che dire del devastante terremoto di Haiti?

Con gli emigrati indiani sul Riyadh-Mumbai

Per via di ritardi, coincidenze perse e sfighe varie, mi sono trovata per caso a Riyadh in attesa di un Air India diretto a Mumbai. A differenza degli altri aeroporti del Golfo, quello di Riyadh é semplice e sobrio come una moschea. Da fuori somiglia a un accampamento beduino. Non c'é traccia della ricchezza saudita, anzi l'unica lounge dove mi sono intrufolata per fare internet era decisamente deprimente. Alcuni dei computer non funzionavano e uno sceicco, seduto al mio fianco, si é pure lamentato dicendo ad alta voce che "persino in Bangladesh ci sono lounge migliori". Il volo per Mumbai, un Air India, era in ritardo di alcune ore, ma sul cartellone delle partenze non compariva nemmeno. L'ho individuato per l'assembramento di giovani emigrati indiani davanti all'imbarco con le valige di cartone. Si sa l'economia dei paesi del Golfo dipende dalla manodopera di centinaia di migliaia di asiatici. Evidentemente con quel volo stavano tornando a casa, molti nel nord tra Uttar Pradesh e Bihar, dove c'é piú povertá. A Riyadh non ci passano turisti e meno che mai diretti a Mumbai su un volo della compagnia di bandiera indiana. la mia presenza quindi ha incuriosito. C'erano solo altre due o tre donne, indiane, che viaggiavano insieme. E' stato un viaggio divertente. Era la prima volta che viaggiavo con “emigranti” indiani, quelli poveri e analfabeti, non gli ingegneri della Silicon Valley californiana. Per caso stavo poi leggendo il saggio di Vittorio Zucconi, Il caratteraccio, dove mette a nudo gli Italiani e l'Italianitá, ripercorrendo la storia recente. Non é passato poi tanto tempo quando i 'terroni" (per i lombardi) o i "Napuli" (per i piemontesi) arrivavano con il treno dal Mezzogiorno d’Italia con le valigie piene di olio di oliva e salumi. La stessa famiglia di Zucconi, emigrata a Milano dalla "lontana" Modena, si portava perfino la farina per fare i tortelli.
Il fatto che fossi da sola ha subito fatto scattare un allarme tra le hostess che mi hanno assegnato un posto vicino al finestrino in una fila a tre, vuota. Un malcapitato che doveva sedersi al mio fianco é stato immediatamente spostato, senza fiatare, in un altro posto. Nemmeno avessi la rogna. Mi ricordava il Pakistan quando nessun uomo osava sedersi vicino a me nei bus. Le hostess erano visibilmente irritate. Davano ordini come delle kapó naziste. Quando abbiamo lasciato lo spazio aereo saudita (dove vige il divieto di servire l'alcol) hanno portato la cena. Ho preso dei vino bianco (francese). Poi é iniziata una strana questua. Un passeggero mi ha dato il suo passaporto e mi chiesto a gesti di compilare la sua carta dell'immigrazione che era in Inglese, nome, cognome, residenza, numero del volo, eccetera. Quasi tutti erano mussulmani. Poi facevo una crocetta dove c'era da firmare. Per il resto del viaggio sono stata impegnata a compilare le schede e farle firmare. Mi sono guadagnata la gratitudine di mezzo aereo. All'arrivo a Mumbai molti di loro sono scesi con la coperta della compagnia aerea avvolta intorno alla testa, come fanno a Delhi la notte quando fa molto freddo. Una hostess, indiana, con la carnagione molto chiara, ha tentato di protestare. Uno di loro se l'é levata e lei l'ha raccolta con due dita con una smorfia di vero disgusto dipinta in viso.

Galgibaga, primi nati tra le Olive Ridley Turtles!


Fiocco azzurro (o rosa?) per le testuggini di Galgibaga, piccola spiaggia a sud di Goa, riserva naturale protetta per le Olive Ridley Turtles, la piú piccola specie di testuggine, purtroppo oggi in via di estinzione. Dopo la mezzanotte del 5 gennaio circa 60 uova sepolte sotto la sabbia si sono schiuse e i piccoli di circa 15 centimentri di lunghezza, hanno raggiunto subito il mare grazie al loro istinto naturale. All'evento hanno assistito una trentina di persone tra cui i guardiani che per due mesi hanno sorvegliato giorno e notte il nido (attualmente ci sono una mezza dozzina di nidi). Non tutte le uova deposte nella sabbia si sono schiuse. Sono rimaste 16 "ritardatarie" che hanno rotto il guscio solo dopo un giorno di "incubatrice". Le tartarughine sono state messe prima in una vasca e poi accompagnate in mare. Ma probabilmente erano un po' disorientate e c'é voluto un po' di tempo prima che capissero quale direzione prendere. Una forte onda le ha travolte e sono sparite. Chissá quante di loro saranno sopravissute all'oceano (e alle reti dei pescatori) e tra un anno ritorneranno su quella stessa spiaggia a nidificare.

Quando il Giornale abolisce la redazione degli esteri

Da qualche tempo ho cominciato a pentirmi di avere scelto il mestiere di giornalista. Dopo quasi tre decenni - ho iniziato che ero ancora minorenne - mi vengono dei dubbi. Ma davvero voglio continuare da grande a fare la pennivendola? “Sempre meglio che lavorare” come disse Luigi Barzini junior, il quale però mi risulta avesse un buon stipendio. Ero appena arrivata in India, quando una sera a casa dell’allora rappresentante della Piaggio, sono stata presentata a Tiziano Terzani, già versione mistica con kurta pijama bianca e barba da profeta. Era venuto giù dalla sua baita di Almore. “Ah, anche tu fai la pennivendola!” mi disse a mo’ di sfottò. Mi ricordo ci rimasi male e lo bollai come un arrogante pallone gonfiato. Ma ora capito il vero significato delle sue parole.
La crisi ha picchiato duro sui free lance che l’internet aveva già reso inutili. Sto parlando della carta stampata, ovviamente. Chiunque da qualsiasi posto può scrivere di qualsiasi cosa senza bisogno di un editore. Qualsiasi tipo di informazione è fruibile gratuitamente o con la sola fatica di tradurre dalla lingua d’origine. Chi è ancora disponibile a pagare per un pezzo a meno che non sei un premio Pulitzer o non hai un’intervista con Osama Bin Laden (meglio se scampato ad un overdose di cocaina in compagnia di un harem di viados)? Non c’è da stupirsi se ricevo ogni tanto proposte di collaborazione non pagate o compensate in maniera irrisoria. Un po’ di tempo fa una testata on line che si occupa di giovani imprenditori fai-da-te mi ha proposto 20 euro ad articolo in inglese “comprensivo delle spese per telefonate”. Ho risposto che questo è il mio mestiere e non un hobby, poi li ho mandati cortesemente a quel paese. Ma forse sono fuori tempo e fuori luogo. Il giornalista si è trasformato in un robot che smista migliaia di notizie al giorno, pesca quelle più sensazionali e le traduce in italiano. Ieri mi hanno comunicato che Il Giornale ha abolito la redazione degli esteri. Povero Montanelli. “E’ confluita nelle cronache italiane” mi ha scritto Angelo Allegri, il mio (ex) caporedattore degli esteri. Non so se anche altri quotidiani abbiano fatto già la stessa cosa. Non so neppure se lo si sa che al Giornale non c’è più una redazione esteri. Regalo lo scoop agli amici del Barbiere della Sera.
Mentre le cronache dalla provincia hanno ancora senso perché nessuno trova su internet il resoconto del consiglio comunale di Biandrate, le corrispondenze dall’estero sono in via di estinzione soprattutto per Paesi “lontani” dall’Italia, come lo è appunto l’India, scomparsa da tempo dal periscopio della Farnesina. Un po’ di anni fa un altro mio ex caporedattore, Marcello Foa, oggi famoso bloggista, mi disse che il quotidiano così come l’abbiamo conosciuto ha fatto il suo tempo. Si trasformerà in qualcos’altro, non più un foglio di informazione. In effetti non ha più senso e di fatto le vendite dei quotidiani nazionali sono a picco. Mi sento obsoleta, come una macchina da scrivere accanto a un computer.

Uno spettro si aggira per il Ramada Hotel



Questo post è stato ripreso da www.reportonline.it


La scorsa settimana i giornali indiani si sono divertiti a punzecchiare i comunisti che hanno organizzato una riunione internazionale all’hotel Ramada Plaza, ultima aggiunta alla pacchianeria a 5 stelle della capitale. Il soffitto della hall è dipinta come la Cappella Sistina a cui sono appesi enormi lampadari di cristallo. Anche se non è proprio buon gusto, è comunque sempre lusso. I “compagni” di una trentina di Paesi si sono riuniti qui tre giorni a porte chiuse a discutere della crisi del capitalismo mondiale. A fare gli onori di casa c’erano i due principali partiti comunisti indiani, il CPI e il CPI (M), dove “M” sta per marxista (non chiedetemi la differenza). Entrambi hanno subito una batosta elettorale a maggio che ha dimezzato la loro presenza in Parlamento e che li ha privati del potere ricattatorio sul Congresso che ora ha mano libera sull’agenda liberalista. E’ da 11 anni che si tiene questo meeting dove si può vedere seduti fianco a fianco comunisti israeliani e palestinesi. E che rappresenta, secondo me, l’unico forum internazionale per il “Lao People’s Revolutionary Party” del Laos oppure per il “Workers Party of Korea” della Corea del Nord. Non ci sono molti posti al mondo dove i nordcoreani possono salire su un podio…
Ovviamente sono andata a curiosare se c’erano italiani. Erano in tre e rappresentavano Rifondazione Comunista e il Partito dei Comunisti Italiani, i superstiti dei falce e martello italiani. “Non è che dobbiamo sempre stare con le pezze al culo…” mi ha detto Andrea Genovali, responsabile per le relazioni internazionali del PDCI quando gli ho fatto notare della scelta not-politically-correct dell’hotel di lusso fatta dai compagni indiani. Forse ha ragione, io sono rimasta ai tempi di Cipputi. Ma lo sfottò sui giornali è continuato. The Indian Express sulle colonne settimanali di “Delhi Confidential”, pettegolezzi dal mondo politico, fa sapere del “tour turistico” dei delegati comunisti al Forte Rosso organizzato dai padroni di casa. “Per i compagni che hanno vissuto nel regno del Comunismo e assistito al collasso dell’Unione Sovietica e dell’Europa dell’Est – scrive - è stata una opportunità unica di vedere da vicino la gloria dei Mughal e della loro caduta. Ogni parallelismo è casuale”.

Baronessa Ashton, ero già sulla notizia....


Preveggenza o fiuto giornalistico? Un paio di settimane fa avevo messo come "scatto del giorno" una foto dell'ex commissaria europea al commercio Catherine Ashton che era venuta a New Delhi per il summit economico Ue-India. Mi aveva colpito che durante la conferenza stampa un collega indiano si fosse riferito a lei chiamandola "baronessa" come c'era scritto anche sul segnaposto del tavolo dove siedeva insieme al suo omologo indiano Anand Sharma, un gentiluomo anche se non di origini nobiliari, grande anfitrione che spesso incontro al mattino presto durante il mio jogging al Lodhi Garden. Non sapevo neppure che la Ashton, laburista, aveva del sangue blu. Pochi giorni dopo la visita a Delhi, la baronessa è stata scelta a guidare la diplomazia di Bruxelles.