Tata Nano, l'auto dei poveri diventa ''glamour''

New Delhi, 27 agosto 2013

Mi ricordo ancora di quando Ratan Tata, quattro anni, era uscito da un palcoscenico come una rock star presentando la Tata Nano, l'auto da 100 mila rupie, che oggi sarebbero poco piu' di mille euro, per via della rupia ai minimi storici. Doveva essere la ''Topolino'' delle famiglie indiane. Il vecchio Tata, l'Agnelli indiano andato in pensione a dicembre, regalava il ''sogno americano'' a milioni di indiani che non avevano un'auto.  La Nano non era neppure ancora uscita dalle catene di montaggio, ma gia' c'erano le code davanti ai concessionari. Molti, me compresa, avevano previsto che la Nano avrebbe invaso le strade indiane con tragiche conseguenze per l'ambiente.
Invece no, l'India si conferma ancora una volta come un Paese delle contraddizioni, dove il mercato funziona con delle dinamiche che non si studiano nelle scuole di management ed e' quindi  estremamente insidioso, non solo per gli investitori stranieri, ma anche per gli stessi industriali indiani.
Ratan Tata, che non e' certo uno sprovveduto ha riconosciuto il flop. Dopo l'entusiasmo iniziale, amplificato dai media che per mesi hanno celebrato l'arrivo dell'auto piu' economica del mondo,  le prenotazioni si sono bloccate. E' vero che ci sono stati un po' di incidenti di percorso quando delle Nano nuove di zecca hanno preso fuoco sembra per un difetto all'impianto di raffreddamento.  Forse era un presagio del fallimento. La fabbrica poi si e' spostata in Gujarat a causa delle rivolte dei ''comunisti'' in West Bengala (altro presagio negativo) e da allora non si sono mai riprese.
Tra  aprile e luglio sono precipitate del 78% a 6.017 unita' vendute contro le 27.625 dello stesso periodo (dati Society of Indian Automobile Manufacturers).
Che e' successo? Gli esperti dicono che la Nano dicono che e' percepita come ''auto dei poveri' e quindi la classe media preferisce spendere di piu' e comprarsi un auto piu' grande in modo da far bella figura con i vicini che magari hanno il Suv.  Mentre per quel 60% di popolazione che vive con due dollari al giorno la Nano e' ancora troppo cara.
Adesso il successore di Tata ai vertici del piu' grande conglomerato indiano,  Cyrus Mistry, ha deciso di cambiare target. Non piu' i poveri, ma i giovani indiani che vogliono un auto ''cool'' . La Nano quindi diventa ''glamour'' con colori alla moda e accessoriata per avere piu' ''sex appeal''. 
Il maquillage e' gia' iniziato con una nuova pubblicita' che ha come slogan : ''Celebrate Awesomeness'' (vedi qui)  che fa leva su un ''fantastico'' mondo di una gioventu'  bella e felice che si diverte e si gode la vita andando in giro su coloratissime Nano. Altro che ''poveri'' di Ratan Tata che per ora continueranno a viaggiare in moto con moglie e pargoli.

Il rinoceronte Shiva e' arrivato allo zoo di New Delhi

New Delhi, 23 agosto 2013

Shiva, l'unico rinoceronte dello zoo di Mumbai, e' arrivato a New Delhi dopo un viaggio di due giorni sicuramente allucinante per il povero animale. Pare che durante il trasporto si sia ferito e - leggo oggi dai giornali - e' stato messo in una gabbia al buio per recuperare la fatica.

La vicenda e' divertente e nello stesso tempo molto triste perche' mostra la crudelta' a cui sono sottoposti gli animali degli zoo. Purtroppo in India, e nel resto dell'Asia, i giardini zoologici sono molto popolari e nessuno si sogna di chiuderli. Mi ricordo quando da piccola andavo allo zoo di Torino, lungo il Po, dove le condizioni erano forse peggio di quelle del parco zoologico di Delhi che per fortuna sorge in una vasta area verde vicino a Humayum Tomb.

La curiosa vicenda dell'aziano Shiva, che ha 38 anni, ''spedito'' a New Delhi per il suo primo accoppiamento ha catturato l'attenzione dei media indiani . L'esemplare e' stato portato nel lontano 1985 nel recinto zoologico del quartiere di Byculla, ma per oscure ragioni da allora e' sempre rimasto ''celibe''. Per fortuna, di recente, i responsabili dello zoo di New Delhi hanno proposto di ospitarlo insieme a due giovani femmine, le uniche due superstiti nello zoo della capitale, nella speranza che possa avvenire la riproduzione. Secondo l'accordo, i piccoli che nasceranno andranno a ripopolare lo zoo di Mumbai.

Ma i veterinari non sono cosi' sicuri dell'affare perche' ''Shiva ha trascorso la sua gioventu' allo stato brado e ha delle abitudini diverse dalle giovani femmine di Delhi di 18 e 8 anni che invece sono nate e cresciute in cattivita'' racconta il Times of India.

''Sara' tenuto nella gabbia per un mese e poi lo lasceremo libero insieme alle femmine'' dice Paneer Selvam responsabili dei veterinari del Parco zoologico nazionale, che sorge nel sud della capitale, aggiungendo che ''gli animali sono molto differenti nelle loro abitudine e ci vorra' tempo perche' si adattano''.

Vedremo che succedera', intanto andro' presto allo zoo a trovare Shiva.

Spie sull'Himalaya, che fine ha fatto la ricetrasmittente al plutonio della Cia sul Nanda Devi?

La notizia della cooperazione segreta tra India e la Cia in piena Guerra Fredda per spiare Cina e Russia e’ stata un brutto colpo per molti esperti indiani che hanno sempre creduto nella politica di non allineamento di New Delhi. E invece Jawaharlal Nehru, poco prima di morire nel 1964, aveva detto si’ agli aerei spia U-2 mettendo a disposizione una base aerea in Orissa. Ovviamente l’India era interessata a spiare i movimenti cinesi oltre l’Himalaya ed era anche molto preoccupata dal riarmo di Pechino che aveva appena vinto una guerra sul confini nel 1962. C’era un preciso interesse comune tra Nehru e l’allora ambasciatore Usa John Galbraith Kennedy, il celebre economista keynesiano e grande ‘’amico’’ dell’India.
La rivelazione, basata su dossier declassificati della Cia, mi ha ricordato un altro episodio, ben piu’ scioccante che ha raccontato il capitano Mohan Singh Kohli, un famoso alpinista e primo scalatore indiano dell’Everest, lo scorso anno al festival della montagna di Massouri. E’ la storia, veramente da film, del tentativo di piazzare su una cima dell’Himalaya un apparecchio di ‘’ascolto’’ della Cia alimentato a plutonio. La vicenda e’ stata raccontata dallo stesso Kohli nel suo libro nel 2003 ‘’Spies on the Himalayas’’ .
Nella sua presentazione (nella foto) il capitano sikh ha raccontato delle diverse spedizioni che ha guidato dal 1965 al 1967 per sistemare ‘’l’orecchio’’ in cima alla montagna Nanda Devi (7.816), la seconda piu’ alta in India dopo il Kanchenjunga e situata in Uttarakhand. L’obiettivo era di spiare i missili nella base di Shuangchengzi.
Per piazzare il congegno, la Cia ha chiesto l’aiuto ai piu' bravi alpinisti indiani e il capitano Kohli all’epoca era l’uomo giusto. Nel giugno del 1965 il capitano mette insieme un team e poi viene mandato in Alasca per incontrare gli alpinisti americani e iniziare dei ‘’trial run’’. Nell’ottobre ritorna in India e parte per il campo base con la sua squadra e un ‘’sensore’’ munito di quattro ‘’capsule di plutonio’’. ‘’Nessuno ci aveva detto quanto pericoloso era quel materiale – racconta - noi sapevano soltanto che dovevamo portarlo sulla cima del Nanda Devi’’. Purtroppo pero’ la spedizione fallisce a causa del maltempo e le capsule di plutonio sono state abbandonate in quota.
Durante il 1966 e il 1968 gli indiani e gli americani tentano disperatamente di recuperare il materiale radioattivo, ma senza successo. Le capsule sono sparite molto probabilmente sotto una valanga. Non contenti pero’ nel giugno del 1967 portano sul Nanda Kot (6.681) a una quindicina di km dall’altra vetta. Questa volta la missione segreta ha successo e l’apparecchio inizia a captare messaggi radio dei cinesi, ma dopo pochi giorni smette di funzionare.
Il segreto dura dieci anni fino a quando nel 1978 non viene rivelato dalla stampa americana creando una crisi diplomatica tra India e Usa.
Ma a parte le conseguenze politiche, rimane da chiedersi che fine ha fatto il plutonio e ovviamente quali sono i rischi se si rompono le capsule. Kohli dice che si sono interessati degli esperti di un Centro di ricerca atomica e che qualcuno ha avvistato negli anni Novanta delle ‘’casse’’. Poi l’incidente e’ finito nel dimenticatoio. Fino all’altro ieri quando alcuni tra i decani dei giornalisti indiani non ha tirato in ballo la ‘’bomba nucleare’’ che si cela sotto le nevi del Nanda Devi e Nanda Kot, due mete molto frequentate da turisti e pellegrini indu'.

India o Indie? Telangana e gli altri secessionisti

New Delhi, 15 Agosto 2013
La decisione del Congress di dare il via libera a Telangana, nell'Andhra Pradesh, ha sollevato un verminaio di rivendicazioni separatiste di cui non avevo mai sentito parlare. Da quanto ho capito, il partito di Sonia Gandhi ha deciso di dire si' agli autonomisti di Hyderabad per calcolo politico in vista delle elezioni del 2014. E cosi' - come intitolava un quotidiano - a 66 anni la ''madre India'' ha partorito il 29esimo stato. Se sara' approvato dal Parlamento quelli che parlano ''telugu'' avranno una loro nazione di 30,2 milioni di abitanti e 17 deputati. Quello che non era previsto e' l'effetto domino che si e' scatenato ai quattro angoli del subcontinente. Questa e' un'altra riflessione da fare sulle contraddizioni dell'India nel giorno in cui festeggia l'anniversario dell'Indipendenza. Quante Indie ci sono? Un rapporto del 24 luglio del ministero degli Interni riferisce che ci sono ben 21 domande di nuovi Stati. Ci sono i dossier bollenti di Gorkhaland (Darjeeling) e di Bodoland (Assam) che da anni si agitano per far riconoscere la loro identita'. C'e' perfino il timore che i due movimenti secessionisti uniscano le loro forze. Sono pero' piccole realta' di appena 3 milioni ciascuno. E' invece una regione da 60 milioni, quindi come l'Italia, il Purvanchal, costola orientale dell'immenso Uttar Pradesh. Poi c'e' il Bundelkhand, che sono i distretti tribali del Madhya Pradesh abitati da 50 milioni di persone e con la stessa popolazione l'Harit Pradesh, altro pezzo dell'Uttar Pradesh occidentale. Delle altre rivendicazione non ne sapevo nulla: Vidarbha, la povera regione del Maharashtra, ''famosa'' per i contadini indebitati che si suicidano, il Mithilanchal, a cavallo tra Bihar e Jharkhand e perfino il buddista Ladakh, che (giustamente) non si riconosce nel Jammu e Kashmir.

FILM: The Ship of Theseus, la svolta intellettuale di Bollywood

New Delhi, 22 luglio 2013

Dal ''masala'' a Platone. Il cinema indiano di Bollywood ha svoltato e ha abbracciato una Nouvelle Vague ? Per la prima volta ho visto un film indiano con  masturbazioni cerebrali tipiche di certa cinematografia europea. E' ''The Ship of Theseus''  scritto e girato da Anand Gandhi, regista alternative noto piu' nei festival internazionali che in India. E' composto da tre episodi con tre protagonisti legati da una storia di trapianto di organi: una fotografa cieca che quando riacquista la vista grazie a un trapianto di cornee perde l'ispirazione, un monaco giainista  che rifiuta un trapianto perche' non vuole prendere medicine sperimentate su animali ma poi sul letto di morte cambia idea e, infine, un giovane a cui e' trapiantato un rene e che per caso finisce in una storia (vera) di traffico di organi rubati a poveracci. 
   Il titolo stesso e' emblematico: la nave di Teseo, che e' un paradosso di Plutarco in cui si chiede se una volta cambiati tutti i pezzi di un insieme, questo rimane uguale nel tempo. C'e' da discuterne per ore.  Una ricerca metafisica sull'identita' insomma, su cosa e' vero e cosa ci appare con un finale ancora piu' intrigante, di un uomo che vaga per una caverna con una torcia accesa e ogni tanto illumina delle gemme (caverna di Platone?) mentre la sua ombra si proietta sulle rocce. Inquietante, secondo me, perché non c'e' luce in fondo al tunnel, come per dire che siamo imprigionati dall'apparenza incapaci di vedere oltre la proiezione nel nostro ego.      

Ma lo sapevate che a Chennai si producono piu' auto che a Detroit?

New Delhi, 21 luglio 2013
Quando e' circolata la notizia del clamoroso fallimento di Detroit, il Times of India (leggi qui) e' uscito fuori ricordando una cosa che forse pochi sanno: che a Chennai, la capitale del Tamil Nadu, si producono piu' auto che nella celebre Motor City americana.
Quello che forse pochi hanno raccontato dietro il declino di Detroit, gia' nell'aria da parecchio tempo, e' lo spostamento della produzione automobilistica in Cina e soprattutto in India dove la manodopera costa di meno e non ci sono sindacati rompiballe. E' la solita storia della delocalizzazione, un processo nato parecchi anni fa e che ha causato la chiusura delle fabbriche in Usa e in Europa. Come al solito, la politica miope dei nostri governi ha fatto si' che il fenomeno - che forse si poteva correggere in tempo - ora sia irreversibile.
   Chennai sta diventando la nuova Detroit anche se la citta' e' ancora a livelli da Terzo Mondo per il degrado urbano. Produce il 40% delle auto in India e il 60% di quelle esportate.  La Ford, la Hyundai, la Bmw, la Daimler e Mitsubishi hanno fabbriche nell'hinterland dell'antica Madras, favorite dalla presenza del porto e da una forza lavoro qualificata e che parla inglese. Oltre a Chennai, in India ci sono il polo industriale di Pune (dove c'e' la Fiat-Chrysler), Manesar-Gurgaon, vicino a New Delhi, e poi l'emergente Gujarat dove producono le mitiche Tata Nano.
Pensare che la civilta' dei motori sia al tramonto per via della crisi e per via della nuova coscienza ecologica e' una pura illusione purtroppo. L'Asia non e' solo un mercato di delocalizzazione, ma anche di sbocco per i grandi colossi dell'auto che continueranno a fare profitti come prima, ma in un altro angolo di pianeta ancora tutto da motorizzare.
 

FILM/Bhaag Milkha Bhaag, il ''sikh volante'' corrotto da una bionda


New Delhi, 14 luglio 2013

   Sono andata a vedere Bhaag Milkha Bhaag, la storia del ‘’sikh volante’’ Milkha Singh, uno dei rari campioni di atletica indiano. Il film e’ stato definito un capolavoro di Bollywood e di fatti lo e’ con le sue tre ore di saga dedicata all’eroe nazionale che ha una straordinaria storia personale. Il regista e’ uno di quelli bravi, Rajesh Omprakash Mehra, che aveva fatto Rang De Basanti (2006) dove denunciava gia’ allora la corruzione dei politici.
  Questo suo nuovo film, che dopo due giorni e’ gia’ campione di incassi, e’ basato sulla storia vera di Milkha Singh, intrecciata con quella del Pakistan dove e’ nato. La famiglia e’ stata sterminata durante la Spartizione tra i due Paesi, ma lui che era ancora bambino scappa in India. Si arruola poi nell’esercito e li’ entra nel team olimpionico nazionale dopo aver battuto il record nazionale sui 400. E’ una storia patriottica, che esalta i valori della disciplina e dedizione, con balletti e tutto il melodramma bollywoodiano. Ma lo si sa. O prendere o lasciare, sono fatti cosi.
    Pero’ va dato atto che la fotografia e’ bellissima, in particolare le scene in Ladakh dove si allena. Straordinario poi l’attore Farhan Akhtar, che e’ riuscito a creare una somiglianza impressionante con il reale personaggio che interpreta.
   Ma c’e’ una cosa che mi ha disturbato, la bionda australiana che a Melbourne si infila nel letto dell’atleta indiano prima della gara (che poi perde). Mah...sara’ vero? Non me lo vedo un militare sikh alla sua prima trasferta all’estero (si vede prima la goffaggine di quando e’ a bordo dell’Indian Airlines con la squadra olimpica) trasformarsi in un seduttore alla Mickey Rourke con scene di sesso bollente. Ma queste sono cose che sa soltanto il 77enne Singh...bisogna chiedere a lui se il regista ha esagerato...Fatto sta che pero’ che la bionda viene vista come ‘’corruttrice’’ e dopo essersi schiaffeggiato davanti allo specchio del bagno dopo la sconfitta, Milkha non avra’ piu’ donne. Una seconda ‘sirena’ che vuole ammaliare il nostro eroe, una nuotatrice, viene respinta senza troppe cerimonie. Il vecchio cliche’ della incompatibilita’ tra sesso e sport?

Dedicato a chi ogni giorno rovista nella mia spazzatura (e tra i miei assorbenti)

Ogni piccolo pezzo che butto nel cestino della spazzatura in casa e' raccolto, esaminato e selezionato da una signora e dai suoi bambini che abitano nel mio quartiere di Safdarjung Enclave.  Da un po' di anni, il comune di Delhi ha messo i cassonetti, ma solo nei quartieri benestanti, e li ha 'oscurati' dalla vista con dei pannelli .  Ma se si passa a piedi o in bicicletta e' ben visibile l'operazione di riciclaggio e selezione dei rifiuti che avviene dietro il ''sipario''. C'e' sempre una signora, appunto, che a mani nude rovista pazientemente ogni volta qualcuno butta qualcosa. Abita li' in strada con la sua famiglia. E' normale per i ragpickers vivere sul posto di lavoro.
L'ho vista all'opera.  In pratica divide tutto il riciclabile, plastica, metallo, vetro, dal resto dell'immondizia ''umida''.  Pezzettino dopo pezzettino, aprendo ogni sacchetto o ogni scatola. Dai preservativi ai tamponi, dalle bucce dell'anguria fino ai capelli della spazzola o il pesce andato a male. Non ci sono segreti per lei.  
La spazzatura che arriva ha gia' subito un primo screening da parte del ''raccoglitore'' che fa il porta a porta e che prende ovviamente i pezzi migliori. Ogni raccoglitore si occupa di alcuni isolati, passa tra le sette e le otto del mattina con un carretto e avverte con un campanello sulla bici. Ogni tanto chiede qualche soldo ai residenti, ma non e' una tariffa stabilita, e' una sorta di mancia.
In India la raccolta dei rifiuti non e' un servizio pubblico, ma un business, sembra anche lucroso,  dai cui dipendono centinaia di migliaia di persone. E' pazzesco pensare quante persone vivono con i prodotti che una minuscola parte della popolazione consuma e elimina.  Di recente poi, i cassonetti si sono fatti piu' grassi con ll nuova classe media.  Si compra di piu' e si butta di piu'.
 Sapendo di queste pratiche, e' una sofferenza ogni volta getto qualcosa nel cestino. Ho iniziato a dividere il compost da altri rifiuti, tipo i barattoli, che lavo prima di buttare, cosi' almeno non puzzano. La carta dei giornali la vendo. Evito di comprare bottiglie di plastica, non butto mai via cibo e cerco di minimizzare gli scarti.
Sono contenta pero' che qualcuno ne parli. Una ong, che si chiama Chintan, si occupa dei ragpickers e della loro dignita'. Di recente ha fatto circolare questa petizione per la Procter and Gamble, chiedendo che inserisca nelle confezioni degli assorbenti dei sacchetti per quelli usati, come mi sembra si faccia in Europa. L'iniziativa e' lodevole, ma non mi trova del tutto convinta. E se invece provassimo a usare gli assorbenti di stoffa riciclabili, che sono ancora quelli che (per fortuna) usa la maggior parte delle donne indiane?   

DIARIO DI VIAGGIO/ Da Manali a Srinagar via Leh in 10 giorni

   Mentre in Uttarakhand, alle sorgenti del sacro Gange, c’erano migliaia di persone intrappolate dalle alluvioni e c’era un fuggi fuggi generale dalle vallate himalayane, sono partita per il Ladakh. Sono stata fortunata, perché’ come sempre dopo (e prima) la tempesta c’è sempre la quiete. Ho visto l’Himalaya in tutto il suo splendore e anche candore, giacché quest’anno è nevicato fino ad aprile e quindi erano ancora tutte incappucciate di bianco.
   Io e mia figlia abbiamo deciso di andare a Manali e poi da li’ decidere in base alla situazione meteo e i disastri creati dallo ‘tsunami himalayano’ come lo hanno soprannominato i media. E così siamo finite a Srinagar, in Kashmir ...dieci giorni dopo con una cavalcata ‘’on the road’’ fantastica di mille chilometri sulle strade – per me – più belle del mondo.
   Non mi piace andare in fretta, sono una adepta dello ‘’slow travelling’’ ma dovevamo tornare a Delhi per una certa data. Poiché tutto sommato è andata bene, siamo sopravvissute al tour de force, ci siamo divertite e abbiamo fatto una grande quantità di cose con un budget limitato, ho pensato di raccontarlo a mo’ di guida di viaggio: dal Ladakh al Kashmir – Manali-Leh-Srinagar – 900 chilometri in dieci giorni attraverso un paio di valichi di oltre 5 mila metri e altri due di oltre 4 mila metri .

Giorno 1 - Delhi - Manali    Il bus parte da Majnu Katila, la comunità tibetana a nord di Delhi. Ci siamo presentate già con scarponi, giaccone e zaino. La partenza era prevista alle 17, ma il bus è arrivato un ‘ora e mezza dopo. Giusto il tempo per un piatto di momo, tanto per familiarizzare un po’ con il cibo che si mangerà nei prossimi giorni e una girata alle ruote delle preghiere, che porta sempre bene.

Giorno 2 - Manali
    Il bus, uno ‘’semi sleeper’’ (vuol dire che si abbassano le poltrone) era comodo, e come sempre gli stranieri sono privilegiati, li mettono ai primi posti dove si può allungare le gambe. In piu’ avevo anche il diritto a caricare il telefonino nel cruscotto dell’autista. Siamo arrivate alle sette e ci ha subito aggredito la calca di Manali, che purtroppo a questa stagione di ferie indiane è piu’ trafficata (e inquinata) di Delhi. Manali deve il suo nome a Manu, il ‘’Noè indiano’’ che sarebbe sbarcato proprio qui durante il Diluvio Universale.
A piedi abbiamo fatto, dribblando il traffico, quattro chilometri, fino a salire al villaggio di Vashisth, un gioiellino che per fortuna e’ rimasto (quasi) intatto allo sviluppo edilizio.

Giorno 3 Vashisth
   Uno delle chicche di Vashisht sono le acque termali che sgorgano dentro un vecchio tempio. I residenti, in due separati locali, li usano per lavarsi. Ma l’acqua è così calda che non ci si può immergersi!  La vita qui scorre calma, tra mucche al pascolo e i contadini che sono impegnati con la mietitura, in questa stagione. Le stoppie poi le devono schiacciare per sistemarle nel fienile. Alcuni li mettono sull’asfalto, dove lasciano alle macchine e camion il lavoro. A qualche chilometro c’è anche una cascata, con un sentiero in mezzo a una pineta, posti carini, dove prendere un chai. E’ perfetto insomma. Alloggiamo in una bella guest house, View Valley, a 600 rupie.
Facciamo anche un fuori programma, in moto, a Naggar, a circa trenta chilometri, dove visse il famoso pittore russo Nicholas Roerich.
Alla sera si va a trovare Rosalba che ha un ristorante all’ingresso del Paese e che è la madre di un campione di bob. Una storia incredibile che avevo scritto per l’ANSA (vedi qui)

Giorno 4 - Manali- Leh    L’idea iniziale era di andarci in Royal Enfield, una cosa molto ‘’macho’’, ma poi non sono riuscita a trovare delle moto. Sembra che quest’anno tutti vadano con la Enfield in Ladakh. Ovviamente per me che sono da sola, donna (quindi inaffidabile secondo la maggior parte degli affittamoto) e per di più con una figlia appresso, non c’era nulla a parte qualche ferrovecchio, La risposta piu’ gentile è stata ‘’perché non affitti uno ‘’scooty’’ per andare a fare in giro qui intorno’’. Quindi non rimaneva che il pulmino. I prezzi sono alle stelle quest’anno, 2000 rupie a testa, ma sono 500 chilometri di una delle strade più avventurose del mondo. Si parte alle due di notte e all’alba si scende dal Rohtang Pass (3.980 metri), poi c’è il Baracha-La a 5.300 metri e 18 chilometri di serpentina. Un altipiano deserto di 40 chilometri che sembra di essere sulla luna e poi il Tanglang-La (5.328 metri). Raccattiamo anche due ragazzi che hanno rotto la moto e che si siedono per terra tra i sedili. Al tramonto, dopo sedici ore, un’infinita serie di soste e un forte mal di testa, si intravedono i primi segni di presenza umana alla fine di un canyon che sbuca nella valle dell’Indo. Leh e’ vicina. E’ fatta. La tensione si scioglie e a bordo tutti applaudono.

Giorno 5 – Leh    Purtroppo Leh sta diventando una metropoli e non ci si può fare nulla. Io me la ricordo la prima volta che ci sono stata nel 2006. Stiamo a Changspa, che e’ il ghetto turistico, affollato, ma pieno di comodità. Stiamo in una delle tante guesthouse a conduzione familiare in una casa con il giardino, nella camera più bella, tutta vetri, piena di tappeti e l’arredo tibetano. Si visita Shani Stupa, il palazzo reale e più in alto il mitico Tzemo, il vecchio castello sul cucuzzolo. C’è un ingresso di 40 rupie per entrare e fare il giro nella balconata piena di bandierine colorate tibetane. Ci arriviamo in modo anomalo dal retro trascinando le bici che abbiamo affittato. Da lì si scende a rotta di collo fino al vecchio bazar dove – per fortuna – ancora è tutto intatto comprese le trattorie dove mangiare momo o tupka, zuppa di noodles.

Giorno 6 - Leh- Spituk
    Affitto una Pulsar e vado un po’ a zonzo lungo l’Indo per impratichirmi un po’ e poi perché è tutto in piano. Passando per una stradina lungo risaie e totem di sabbia arrivo alla gompa di Spituk che è quella più vicina a Leh.

Giorno 7 - Leh – Lamayuru    Si parte in moto con l’idea di fare tutti i 500 chilometri della Leh-Srinagar, ma i ladakhi non accettano che io lasci la moto in Kashmir, e quindi la dovrò lasciare a Lamayuru, che secondo me è uno dei più belli tra i monasteri del Ladakh. Ci si arriva seguendo l’Indo che è di un azzurro pastello e dove ogni tanto, si vedono dei gommoni da rafting. Ci fermiamo in un’insenatura, vorrei fare il bagno, ma è ghiacciato...
A metà strada c’è Alchi, che e’ l’unico monastero in basso e anche quello più antico e con più affreschi. Sembra ormai un museo più che un monastero.

Giorno 8 – Lamayuru
    Purtroppo i segni dell’alluvione dell’agosto 2010 sono ancora molto visibili. Parte del villaggio sembra essere stato spazzato via da frane. Hanno piantato alcuni alberi per trattenere il terreno. Intorno a Lamayuru c’e’ un deserto dai colori ocra e le rocce appuntite che si chiama ‘’Moonland’’ e che era probabilmente un lago.
    E’ appena terminato un festival e tutto il Paese è pieno di bandierine. C’è una lotteria su un campetto sportivo, sembra che tuttala vallata si sia radunata qui. Ho l’occasione di vedere i vestiti tradizionali, le palandrane lunghe con degli scialli di pelo di yak e gli ornamenti di turchesi e corallo. Stiamo in una gest-house, Temple View, che è ormai a pezzi. Me la ricordavo meglio, ma non ci sono molti posti dove dormire. C’è internet, anche, in una specie di sgabuzzino dove c’è un gigantesco server e ogni tipo di cianfrusaglie. Tutti gli stranieri di Lamayuru sono qui con I-pad e telefonini

Giorno 9 – Lamayuru-Srinagar    Il bus per Srinagar (12 ore) passa alle 17,ma non lo prendiamo perché’ costa troppo. Prendiamo un passaggio da un pulmino fino a Kargil attraverso il Fotu-La ( 4.108 metri) che poi mi fa pagare e quindi tanto valeva. Viaggiamo di notte in una strada, forse peggiore della Manali-Leh che attraverso il Zoji-La (3.528) . Nel dormiveglia su un bus scassatissimo che salta come un cavallo imbizzarrito, vedo che ci sono due costoni di ghiaccio. Drass è il posto più freddo dell’India. All’alba siamo ormai in Kashmir, è di nuovo verde e compaiono delle case. Srinagar è blindata dall’ennesimo sciopero dei separatisti e poi perché’ arriva il premier Manmohan Singh e la leader del Congresso Sonia Gandhi.

Giorno 10 – Srinagar
   Alloggiamo in una catapecchia allucinante, a Dal Gate, dove ci sono le houseboat, che sembra che venga giù da un momento all’altro. Il prezzo, 200 rupie è allettante e poi i fratelli che la gestiscono sono simpaticissimi. il ‘’roof top’’ è indescrivibile praticamente un sottotetto e ci si arriva su delle assi pericolanti. Il tetto del bagno è sfondato.
Incontro un giovane antropologo, Simone Mestroni, che ha passato qui due anni e che ha appena scritto una interessantissima tesi di dottorato all’università di Messina che si intitola ‘’Separatismo kashmiri: genealogie, pratiche, immaginari’’.
La guesthouse ci affitta una barchetta, anche questa malandata, con cui raggiungiamo il centro del lago, dove ci sono i barconi fissi usati per fare ‘’sci d’acqua’’. E’ divertente perché è sempre come lo avevo visto una decina di anni fa quando ci sono venuta per la prima volta, su una tavola di legno...Faccio il bagno, ma ci sono moltissime alghe, è vero che il Dal Lake si sta atrofizzando.
Visita d’obbligo, nella vecchia Srinagar, alla ‘’tomba di Gesù’’, venerata fin dall’antichità dai mussulmani come tomba del profeta Gesu’. Riesco a rubare una foto di nascosto prima che il guardiano mi sorprenda. Cena nello storico Mughal Darbar dove si mangia i ‘’gustaba’’, specie di polpettoni alla carne di agnello con un sugo allo zenzero.

Maro', si naviga ancora in alto mare

New Delhi, 14 giugno 2013

In coincidenza con la visita dell'inviato speciale del governo Staffan de Mistura, la quinta dopo il drammatico ritorno dei maro', si e' tornato a parlare del caso che da 16 mesi monopolizza le relazioni fra India e Italia. In effetti sulla vicenda non si sa piu' nulla e non e' ben chiaro quale sia l'azione del nuovo governo Letta. L'unica decisione significativa e' stata quella di affidare la negoziazione a De Mistura, che da viceministro e' diventato ''inviato speciale''.  Tra lui e il ministro degli Esteri Salman Khurshid c'e' una buona ''chemistry'', come si dice in inglese, e di fatti si vede dalle dichiarazioni distese di entrambi.
Il che non vuol dire che ci sara' pero' una soluzione breve per Latorre e Girone che si preparano a passare il loro secondo monsone in India. Come al solito c'e' molta ignoranza e disinformazione del caso nonostante i fiumi di inchiostro che si scrivono in Italia, compresi anche i libri-rivelazione del tipo ''tutto-quello-che-non-vi-hanno-detto''. Per quanto ne ho capito, vedendola da qui, la situazione e' la seguente :

1) Respingendo il ricorso italiano, il 26 aprile la Corte Suprema di New Delhi ha confermato l'incarico alla polizia anti terrorismo Nia (National Investigation Agency) come suggerito dal governo indiano. Perche' e' stata scelta la Nia? Non a caso. Perche' puo' invocare una legge contro la pirateria internazionale che permette all'India di processare sospetti terroristi o pirati anche in acque internazionali. Si chiama Sua Act ed ed e' una convenzione internazionale del 1988 all'epoca del sequestro dell'Achille Lauro. Per quanto assurdo possa sembrare, se si applica questo trattato, i due maro' sono da considerare come terroristi (e per il reato di omicidio e' prevista la pena di morte).
Dopo molti tira e molla e anche molta confusione nel governo indiano, il 14 maggio De Mistura annuncia che ''non si usera' la legge anti terrorismo indiana''. Ma secondo gli stessi legali dei maro' non sarebbe possibile perche' nell'atto costitutivo della Nia c'e' scritto che puo' operare solo per casi di terrorismo. Come e' stata risolta l'impasse? Non si sa. O almeno nessuno finora lo ha spiegato (e nessuno osa chiedere). Sul website della Nia (vedi qui) il caso continua a essere registrato con la menzione del Sua (e con un errore relativo alla data del FIR della guardia costiera di Neendakara, che contiene la denuncia del pescatore Freddy).

2) Ancor prima della sentenza della Corte Suprema del 26 aprile, la Nia aveva iniziato le indagini. Da quanto mi risulta e' stato portato tutto il materiale a New Delhi, e cioe' le tutte le prove, come i fucili e i proiettili, che prima erano in custodia della polizia del Kerala. Tra le carte c'e' ovviamente la perizia balistica dove si dice che i proiettili trovati nei corpi di Jelastine e Ajesh Pinky sono stati sparati da due fucili seuquestrati sulla Lexie. E' indicato il numero di matricola, ma non viene detto a chi appartengono. Nelle casse arrivate a Delhi ci sono poi le altre cose prelevate a bordo della Lexie, tra cui il GPS (che non funzionava) e il registro di bordo. 
I poliziotti della Nia hanno gia' esaminato il peschereccio S. Antony che nel frattempo e' stato tirato fuori dall'acqua nel porto di Neendakara, vicino a Kollam. E poi hanno interrogato Freddy Bosco e i nove pescatori che erano a bordo. Non e' trapelato nulla. Anche perche' e' un po' difficile per la stampa locale avere indiscrezioni dagli investigatori dell'anti terrorismo, che probabilmente agiscono da soli, senza aiuto della polizia locale.
 
3) Davanti alla Corte Suprema, con il giudice capo Altamas Kabir (che va in pensione a luglio) che si lamentava perche' il governo non aveva eseguito il suo ordine del 18 gennaio, il procuratore dello Stato indiano aveva detto che la Nia avrebbe completato le indagini in 60 giorni. Che sarebbe piu' o meno a fine giugno. Anche se gli interrogatori in Kerala sono andati veloci, questo termine non sara' rispettato. E si poteva anche immaginare che la promessa era da marinaio. Ci sono da sentire 60 testi, in teoria dovevano sentirne uno al giorno! Impossibile. A complicare le cose poi c'e' anche la richiesta di sentire gli altri quattro maro' come testimoni dell'accaduto. I colleghi di Latorre e Girone in servizio sulla Enrica Lexie non avrebbero pero' assistito all'incidente, almeno cosi' hanno detto alla Procura di Roma. Ma e' ovvio che la polizia indiana (e poi anche il giudice del processo ad hoc) vorra' sentirli per formulare i nuovi capi di imputazione. E qui sembra ci sia un nuovo braccio di ferro. Gli italiani non vogliono mandare in India gli altri quattro maro' (hanno paura che li arrestino?) e suggeriscono una videoconferenza. Non si capisce se tutto e' bloccato su questo ora. In realta' c'e' un obbligo che deriva da un ''impegno'' dell'armatore sottoscritto come condizione per il dissequestro della nave salpata da Kochi il 5 maggio dello scorso anno. All'epoca, due giudici della Corte Suprema (non Kabir) avevano dato l'ok alla partenza della Lexie ma aveva chiesto una fideiussione di 30 milioni di rupie (440 mila euro, forse oggi di meno grazie al cambio favorevole) consegnata all'Alta Corte del Kerala. In pratica l'armatore si impegnava a ''portare'' l'equipaggio in India se richiesto dai giudici con un preavviso di cinque settimane. Non solo gli uomini, ma anche la nave! (quest'ultima con un preavviso di sette settimane). Questo non e' un accordo segreto ma sono lettere firmate (e garanzie bancarie) come quella sottoscritta dall'ambasciatore Daniele Mancini dopo il permesso per le elezioni. (vedi qui).
Quindi in teoria, ci sarebbe un obbligo che pero' non e chiaro come possa essere esteso anche ai quattro maro' dal momento che non dipendono dall'armatore, la ''Dolphin Tanker'' filiale indiana della Fratelli Luigi d'Amato.

4) Insomma i tempi - nonostante gli sforzi di Roma - si allungano. Anche se ora, grazie alla buona volonta di Khurshid (che va sottolineato e' agli Esteri non all'Interno) accelerano le indagini Nia, poi c'e' il processo e li' dipende dai giudici...Quando iniziera' il procedimento nel tribunale ad hoc? Forse in autunno, forse il prossimo anno. Boh. Nessuno fa previsioni ormai.

5) Un'ultima incognita  riguarda la faccenda della giurisdizione. Per un anno l'Italia si e' battuta su questo principio arrivando a rallentare il processo in Kerala. Perche' adesso lo hanno abbandonato? Perche' non continuare a presentare ricorsi alla Corte Suprema oppure al tribunale ad hoc? Sembra che abbiano ormai accettato di buon grado il processo e quindi la competenza indiana. Perche' non continuare a battersi per un principio di diritto internazionale marittimo che e' condiviso anche da molti partner dell'India?
 
 

L'Italia al tempo della crisi/8 - Il margaro della valle di Viu'

Frazione Tornetti di Viu' (Torino), 8 giugno 2013


Una delle mie zie ha ristrutturato una baita della famiglia di sua madre nella valle di Viu', che ai tempi antichi era una localita' di villeggiatura per ricchi torinesi. Queste valli piemontesi sono oggi in semiabbandono, sono cosi' desolate che l'Himalaya al confronto e' un parco di divertimenti. Posti da eremitaggio insomma. Pero' qualcuno c'e' ancora. Della serie antichi mestieri, che chissa' con la crisi forse ritorneranno di moda, ci ho trovato un margaro! Pensavo davvero non esistessero piu', fagocitati dalle aziende casearie moderne. Invece no, e' uno scapolo (ci ho fatto perfino un pensiero) che fa le tome come una volta, con le vacche che vanno al pascolo dove c'e' l'erba buona e la baita di pietra.  Insomma sapori da Mulino Bianco,  ma autentici! Non e' che era una promozione della regione Piemonte? 
 

L'Italia ai tempi della crisi/7 - Pedalando a Milano

Milano, 7 giugno 2013

Dopo Torino, e’ logico che Milano appare come Las Vegas. Il servizio di affittabici qui si chiama BikeMi e costa 2,5 euro ed e’ decisamente piu’ popolare. Non ero mai andata in bici a Milano e mi sono accorta che il centro alla fine e’ piccolo. Ho fatto da Centrale a Duomo in appena dieci minuti, l’unico problema sono i binari del tram, che ci puoi finire dentro. Ma venendo dall’India e’ un vero piacere pedalare tra macchine che ti danno la precedenza e che non ti fanno spostare a clacsonate. Non ero piu’ abituata a tanto rispetto!

Dal Duomo sono andata a zonzo fino a raggiungere Porta Genova e i navigli. Qui mi sono fermata a vedere una bella mostra dell’americano Gordon Parks ('Una storia Americana'), dove c’erano anche degli scatti di Genesis, la monumentale opera di Salgado, in vendita a 8 mila euro a copia, ma li merita.  Poi ripresa la bici dal posteggio sono andata a Castello Sforzesco, dove c’erano dei ragazzi che facevano il bagno nella fontana antistante, stile Dolce Vita, e da qui sono entrata nel Parco Sempione, il ''central park'' meneghino.

Anche qui come in Piemonte, ho avuto la sensazione di vivere in un ambiente straordinariamente pulito. Perfino profumato per via dei gelsomini in fiore. Lo so che sto parlando di Milano, ma forse e’ per via delle piogge continue di maggio che hanno ripulito a fondo il cielo e l’aria. O forse e’ il contrasto con le puzze dell’Indie. Oppure il mese di giugno, erano da anni che non venivo in Italia in questo periodo. Tempo fa avevo letto una cosa interessante sull’inquinamento in Europa che si era drasticamente ridotto a causa della crisi. (ps, vedo qui una conferma). Beh almeno un vantaggio c’e’.

 

L'Italia ai tempi della crisi/6 - Pedalando a Torino

Torino, 5 giugno 2013
Armata di guida Mondadori (la Lonely Planet non esiste) sono sbarcata a Torino con mia figlia per un tour turistico. Fa parte dei miei sforzi di riconciliarmi con Torino che – tutti dicono – e’ radialmente cambiata da quando la frequentavo ai tempi dell’universita’. Abbiamo deciso di affittare una bici del servizio Tobike. Per prendere la tessera bisogna andare in un negozietto nascosto in via Sant’Anna, una viuzza vicino alla Consolata, sborsare la bellezza di 8 euro per 4 ore piu’ dare come deposito la carta di credito. Non sono accettati i minori di 16 anni. Le bici sono senza lucchetto, e’ meglio sempre attaccarle a una stazione che sono disseminate un po’ ovunque in prossimita’ di musei e monumenti. L’idea e’ buona, ma e’ un po’ macchinosa.

Eravamo le uniche due ‘turiste’ in bici quel giorno, secondo me. Il tour e’ stato simpatico, dalla Consolata, Porta Palazzo, Piazza Castello, il Duomo con la Sindone, via Garibaldi, la Porta palatina, via Po e la Mole compreso il Museo del Cinema e poi tutto il Valentino. Li’ e’ stata una sorpresa perche’ ho visto con piacere un certo attivismo sportivo da parte dei ‘’bugia nen’’. Lungo il sentiero che costeggia il Po e che va fino a Italia 61 abbiamo incrociato un sacco di cicilisti agguerriti e joggers di tutte le eta’. Nel fiume poi, limpido come un ruscello di montagna, si davano da fare canoisti di tutti i tipi, compreso quelli del canottaggio a otto che andavano come schegge. A parte il lato sportivo, Torino mi e’ sembrata una citta’ deserta, perfino senza traffico e con gente un po’ immusonita, anche se chiedi solo delle indicazioni. Per completare la giornata siamo andati al cinema, un locale penso restaurato di recente vicino a Porta Nuova, a vedere la Grande Bellezza, il lungo film di Paolo Sorrentino, che traccia un ritratto impietoso di una certa Roma cafona e godereccia. Ci saranno stati si’ e no una decina di spettatori....



 

L'Italia ai tempi della crisi/5 - I miei genitori festeggiano mezzo secolo di matrimonio

Chivasso, 2 giugno 2013
Mezzo secolo di resistenza coniugale. E’ l’ammirevole raggiunto dai miei genitori (nella foto) che per l’occasione hanno celebrato con tanto di Messa, mega pranzo e torta. In realta' la ricorrenza era il 19 marzo, ma e' stata spostata per permettere la rimpatriata familiare. Al giorno d’oggi dovrebbero dare un premio queste coppie.




L'Italia al tempo della crisi/3 - Recupero crediti a Torino

Torino, Primo giugno 2013
Lo scorso anno ho scritto per un website semiclandestino che si chiama L’Indro (eccolo qui) e che vantava per direttore niente-popo-di-meno che Giampiero Gramaglia, illustre ex direttore dell’Ansa.  Lui pero' ha lasciato questo posto qualche mese fa alla chetichella dopo aver partecipato a un trionfale lancio del sito.  Non sono sicura, ma penso che sia finanziato dalle Camere di Commercio Piemontesi. Mi hanno fatto firmare un contratto in cui mi dicevano che sarei stata pagata 50 euro per un pezzo di 6-7 mila battute, che e’ tanto, piu’ le foto, queste gratis.
Ho lavorato per tre mesi accumulando un credito di oltre mille euro, poi quando ho visto che non mi pagavano, ho smesso. Negli ultimi mesi e’ calato il silenzio, non rispondevano piu’ alle mie sollecitazioni. Allora mi sono presentata a Torino all’indirizzo della sede legale che era segnata sul mio contratto, ovvero via De Sonnaz 19. C’era anche indicato come riferimento un certo dottor Gasco. Fatta la premessa, ecco la cronistoria del mio recupero credito.
Ripassando le mosse, piu’ volte studiate nelle nottati insonni ai 45 gradi di Delhi, entro nell’ufficio con un pretesto e mi siedo pronta a un’azione di resistenza passiva alla Gandhi. Quando arriva il dott.Gasco, un semplice commercialista, mi accorgo pero’ di essere in uno di quegli uffici fantasma che in pratica affittano un ‘’domicilio legale’’, come alle isole Cayman insomma. Mi dice che L’Indro paga 500 euro al mese (solo?) per usare il suo indirizzo come sede legale e che non sa nulla dei suoi affari. Non gli credo. Mi impunto, gli mostro il contratto e gli dico che non intendo muovermi finche' non mi paga.  Probabilmente abituato a trattare con creditori infuriati, chiama la Volante. Benissimo, dico io, non ho nulla da temere.
Dopo una mezzoretta  arrivano due poliziotti che, dopo aver ascoltato le mie ragioni, obbligano la segretaria a chiamare la responsabile dell’Indro, una certa Margherita Peracchino, che e’ la fondatrice ed e' anche quella che mi aveva assunto.
E qui commetto un grave errore. Mi faccio convincere che che il ‘vero’ commercialista mi avrebbe chiamata l’indomani e lascio il sit-in. Ovviamente non e’ mai successo. Mi ha chiamato invece questa signora dicendomi che non ha soldi per pagarmi perche' ''sono in ritardo con gli incassi''. Cornuta e mazziata. Lezione: mai fidarsi dei piemontesi che mi hanno gia' fregato una volta con la bancarotta della vecchia Gazzetta del Piemonte.

L'Italia al tempo della crisi/4 - Lugano, e' Corpus Domini

Lugano, 30 maggio 2013
Sono andata a Lugano a trovare i colleghi della Radio Svizzera Italiana con cui collaboro da oltre un decennio ormai. Ci sono capitata di Corpus Domini, che curiosamente e’ giorno festivo in Svizzera. Non capisco perche’ e’ cosi’ importante, non ho visto processioni con la sacra Ostia oppure chiese affollate.

Tutti i negozi chiusi, aria gelida che spirava dalle cime innevate e unica attrazione sul lungo lago, il trenino rosso per i turisti. Chissa’ perche’ mi immaginavo Lugano come un luogo di peccatori e di evasori italiani. Nulla di tutto cio’.

L'Italia ai tempi della crisi/2 - Quanto e' verde la mia valle

Chivasso, 28 maggio
Dopo mesi di pioggia trovo in Piemonte un’aria cosi’ ricca di ossigeno che mi gira la testa. Forse arrivando dall'inquinamento di Delhi non sono piu’ abituata a questa atmosfera. Tutto e’ verde e pulitissimo. Il cielo e’ nitido e lucido, sembra un dipinto.  Sembra di essere in montagna oppure su una scogliera sull’Atlantico, non nel principale polo industriale italiano e centro di agricoltura intensiva.  Cambiamento climatico o semplicemente l'effetto shock di chi arriva dal forno dei 45 gradi della capital Indiana?

L’Italia al tempo della crisi/1 - Finanzieri a Malpensa

Malpensa, 27 maggio 2013
 Il benvenuto in Italia me lo danno i finanzieri. Insospettiti probabilmente dal mio aspetto transandato (da spacciatrice?) mi bloccano all’uscita dall’aeroporto. ‘’Qualcosa da dichiarare?’’ mi chiedono guardando il mio vecchio zaino. ‘’No’’ dico io. ‘’Apra i bagagli’’ e’ la risposta. Tirano fuori tre chili di manghi che si rigirano tra le mani come fossero bombe a mano, una ventina di vecchie cassette di cartoni animati di mia figlia e un sacchettino pieno di 10 e 20 centesimi di euro’’. ‘’Apro anche l’altra?’’ chiedo. ‘’No va bene cosi’’’mi dicono evidentemente delusi.
Non contenti pero’ si girano tra le mani il passaporto sospettosi. ‘’Manca il bollo’’ mi dicono. Io – lo giuro - cado dalle nuvole perche’ pensavo che gli italiani residenti all’estero fossero esentati, dato che non usano il passaporto per viaggiare, ma sono sempre all’estero. ‘’Lo compro subito...e’ da un anno che non torno in Italia e non potevo comprarlo... ’’ butto li’ cercando di giustificare la mia mancanza. ‘’Si richiede al consolato’’ e’ la secca risposta. ‘’Devo farle il verbale’’. Risultato 100 euro di penale per ogni anno piu’ i 40 euro di bollo. Per fortuna il passaporto e’ del 2011.




NON SOLO INDIA/ Dacca, istruzioni per l'uso

Dacca, 24 Maggio 2103
Sono da una decina di giorni a Dacca. C’e’ voluta la sciagura del Rana Plaza con il suo record di 1127 morti a convincermi a venire in Bangladesh, un Paese nato nel 1971 da un’atroce guerra dimenticata dalla storia. Dopo 10 anni nelle ‘’Indie’’ non mi sono mai incuriosita per quest’altra meta’ della regione del Bengala separata da una riga tracciata su una cartina geografica dagli inglesi ai tempi della spartizione tra India e Pakistan.
Penso che Dacca sia una delle capitali asiatiche piu’ ignorate. Per esempio sono stata l’unica giornalista italiana ad andare dopo il crollo del palazzo. Non ha la miseria e lo splendore di Calcutta, ex capitale dell’India britannica, culla intellettuale dell’India e resa famosa dai lebbrosi di Madre Teresa. Non ha le immense baraccopoli di Mumbai celebrate da film come Slumdog Millionaire e raccontate in libri di successo come Shantaram. E’ una metropoli mussulmana, ma senza le tensioni e le faide di Karachi. Era parte dell’impero Mughal ma nessun sultano ci ha costruito dei forti quelli di Delhi, di Agra o di Lahore. O almeno delle tombe. Un forte c’e’ in realta’, e’ il Lalbagh Killa, voluto da un figlio di Aurangzeb, il piu’ sanguinario dei re mughal. Ma pare che non fu mai terminato per la morte di una principessa, Pari Bibi, a cui e’ dedicata la tomba a fianco. Insomma il ‘’forte’’ e’ una piccola costruzione con un bagno turco e un miserissimo museo, ma nulla a che vedere con gli altri monumenti mughal.
La citta’ e’ grosso modo divisa in tre, una parte nuova e ricca a nord che si trova intorno ai due poli commerciali di Gulshan 1 e Gulshan 2. Poi un ‘’centro’’ dove c’e’ l’universita’ di Dacca e un paio di parchi, le uniche aree verdi. Li’ c’e’ anche Shabagh Square, che un po’ di mesi fa e’ stata la piazza Tahrir del Bangladesh. Infine a sud, verso il Buriganga (il Gange) la ‘’citta’ vecchia’’ con stradine e bazar ‘tematici’ simile alla old Delhi. 


A parte l’inquinamento del fiume, forse pari a quello della Yamuna, il principale problema di Dacca e’ il traffico. Gli ingorghi sono indescrivibili. E’ qualcosa di disumano. Eppure sembra ci sia una sorta di rassegnazione. I ricchi se ne stanno chiusi nei loro suv con l’aria condizionata. I ‘tuc tuc’ che qui chiamano ‘’Cng’’ perche’ vanno per fortuna a metano come quelli di Delhi occupano ogni spazio possibile tra bus e auto. A differenza del resto dell’Asia, sono chiusi da spesse grate di ferro. Sembra di essere in gabbia. Mi hanno detto che e’ per via degli scippi, ma suona strano perche’ pensa davvero che Dacca sia una delle citta’ piu’ sicure del mondo. In questo panorama, i riscio’ a pedali, uno dei simboli di Dacca e onnipresenti con le loro decorazioni, sono l’unica via di scampo al traffico perche’ sono piu’ piccoli e manovrabili. Tra l’altro i ‘’riscio’-vala’’ del Bangladesh sono dei bolidi rispetto ai loro cugini indiani. Vanno velocissimi e sono instancabili. E’ normale prendere un riscio’ a pedali per fare cinque o sei chilometri. Lo so che e’ il loro lavoro, ma a me fanno sempre compassione e cosi’ nei tratti di strada lunghi ne cambiavo due o tre…come si facevano come i cavalli un tempo….
Oltre ai riscio’, sono poi abbastanza affidabili i bus. Quelli a due piani, stile londinese, sono decisamente comodi oltre che panoramici. Gli altri sono sgangheratissimi e quando si sorpassano, il bigliettaio picchia come un forsennato sulla fiancata. Il clacson infatti non basta, non si sente neppure nel cori di tutte le clacsonate e rombo dei motori.
L’altro aspetto che balza subito agli occhi e’ la densita’ che la piu’ alta del pianeta. In pratica non si sta mai senza avere un proprio simile nel raggio di un metro circa. Un gigantesco formicaio, eccetto nelle prime ore del mattino e al venerdi’ quando e’ festa.
Il cibo e’ un altro tasto delicato. Nella parte ricca ci sono solo fast food e ristoranti alla moda. Al di fuori di questi posti selezionati, dove si spende per una cena lo stipendio di un operaio tessile, il livello scende vertiginosamente. La Lonely Planet, che come sempre mi e’ stata utile per un primo ‘approccio’, consigliava Haji Biriani, un piccolo locale vicino a una moschea nella old Dacca, dove si mangia solo mutton biriani. L’ho provato una volta e poi ci sono tornata. Diciamo che non e’ il massimo per il rispetto dell’igiene, ma il riso e l’agnello sono davvero squisiti. 

 

Jahanpanah, la foresta segreta di New Delhi

New Delhi, 12 Maggio 2013

Non si finisce mai di scoprire posti nuovi a New Delhi. Per caso ho letto un giorno della foresta di Jahanpanah, che confina con Greater Kailash e che e' un vero e proprio polmone verde per il sud di Delhi. La definizione 'foresta' e' davvero reale. Non avrei mai creduto di perdermi nella savana, nel mezzo di una metropolis di 15 milioni di abitanti,  tra sentieri pieni di uccelli di ogni tipo e con una sensazione di avventura alla Indiana Jones. Sara' che ci sono andata alle due quando non c'era nessuno. La 'foresta' apre all'alba, dove dicono che sia molto frequentata,  e chiude alle 10 per poi riaprire alle 16 seguendo le abitudini degli  indiani. Io sono arrivata, ignara, alle due del pomeriggio e ho insistito un po' perche' mi facessero entrare. Ero anche in bici che penso vietata, ma data l'estensione del parco, non avevo davvero voglia a quell'ora di massima calura di avventurarmi a piedi.
Dentro c'e' un percorso jogging di sette chilometri, che sono tre volte quello del Lodi Garden o di Deer Park. Cose da duri insomma. Di fatti si allenano per la maratona.

Sono entrata da un cancello di GK, piu' o meno vicino alla Don Bosco School. Dopo un po' sono spariti i rumori della citta' e mi sono immerse nella natura del bosco, con un po' di apprensione, soprattutto pensando a tutti gli stupri di cui mi sono occupata nei recenti mesi a Delhi. Ma gli unici segni di vita erano scimmie o pavoni...e ovviamente chissa' quanti serpenti....
La foresta prende il nome dalla quarta citta' di Delhi costruita dal sultano Tuglaq nel 1326, leggo su Wikipedia. Jahapanah significa 'rifugio del mondo'' in persiano. La citta', enorme, era fortificata e ci sono ancora le mura visibili  in alcune parti.  Ma e' difficile capire dove era, perche' ora e' inghiottita dal tessuto urbano. Penso che esistano anche poche informazioni e ricerche su questa citta' che e' stata misteriosamente abbandonata quasi subito dal sultano.