CANARIE/L'enigmativo zifio e la balena alla deriva

Tenerife, 20 giugno 2023

   A nord di Corralejo, la colonia italiana e paradiso dei surfisti nell’isola di Fuerteventura, c’è un antico porto spagnolo, El Cotillo, risalente al XVII secolo. È stato un avamposto importante per i commerci con l’isola di Madeira, oggi portoghese. Di quel passato è sopravvissuto solo un pezzo di fortificazione, la Torre del Tostòn, da dove si respingevano a cannonate i pirati francesi e inglesi.  

Lo scheletro di zio a El Costillo (Fuerteventura)     (Foto Maria Grazia Coggiola)

  Sono arrivata a El Cotillo in bicicletta da una strada sterrata lungo la costa e che passa tra le più belle spiagge di Fuerteventura. Un bel percorso di circa due ore da Corralejo. El Cotillo oggigiorno è soltanto un attrazione turistica, le case dei pescatori sono ristoranti e lounge bar. Ma davanti alla massiccia torre ho scoperto qualcosa di veramente interessante che ha risvegliato la mia curiosità. Su un piedistallo sorge uno scheletro di ‘zifio’, una balena che somiglia un po’ a un siluro e che risulta essere uno degli animali più enigmatici e meno conosciuti sulla terra. Il cetaceo, leggo su un pannello, è stato ritrovato sulla costa nord di Fuerteventura il 24 luglio del 2004. Si ritiene che il suo spiaggiamento sia stato causato da esercitazioni navali in corso negli stessi giorni davanti alla costa del Marocco. Altre due balene sono state trovate morte a Lanzarote. Nelle manovre militari Nato-Usa, chiamate Majestic Eagle, che coinvolgevano diverse portaerei e sottomarini, sono stati usati i dispositivi sonar, che - come hanno provato studi scientifici - hanno effetti devastanti sui cetacei a causa dell’elevata potenza di decibel. Per fuggire al chiasso assordante dei sonar, usati per intercettare i sottomarini, le balene si immergono o riemergono velocemente andando incontro a danni legati alla decompressione proprio come avviene per i subacquei. In seguito il sonar è stato proibito in un raggio di 50 miglia dalle isole Canarie. Ma cosa sono 50 miglia per una balena?

La Torre del Tostòn a El Cotillo (Fuerteventura)  (Foto di Maria Grazia Coggiola)



   Lo scheletro di zifio che avevo davanti misurava 5.75 metri ed era una femmina adulta. Questa specie, nota anche come 'balena dal becco di Cuvier', è presente in tutti gli oceani, ma è molto raro avvistare gli esemplari nel loro habitat. Si pensa che siano in grado di immergersi a grandi profondità e rimanere diverse ore senza tornare in superficie a respirare. Non si sa se siano numerosi, ma non sono classificati tra le specie in via di estinzione perché di tanto in tanto si ritrovano negli spiaggiamenti anche in Meditarraneo. Mi sono ricordata che nel libro “Le Regine dell’Abisso”, la ricercatrice australiana Rebecca Giggs, scrive che “questi animali, a volte lunghi come autobus, esistono sugli spalti della storia naturale, in uno spazio tra la congettura e il campione. Si sa molto di più dei loro antenati, dai fossili custoditi negli archivi museali , che non delle creature viventi. Sono state chiamate ‘il gruppo meno compreso di animali di grossa taglia sulla Terra’”.

    Dopo Fuerteventura ho continuato la navigazione con la mia barca a vela Maneki verso Tenerife e per caso, di nuovo, ho avuto a che fare con un cetaceo spiaggiato. Per un paio di giorni, il tempo della mia navigazione, la stazione radio di Las Palmas ha lanciato avviso ai naviganti (sul canale VHF 16 che è quello sempre aperto quando si naviga) relativo a una “balena alla deriva” di circa 4 metri di lunghezza e di colore grigio-nero. La carcassa era stata avvistata a sud di Tenerife, più o meno dove sarei dovuta passare io, il che mi ha creato un po’ di apprensione. Un ostacolo di quattro metri è sufficiente ad affondare una barca di nove metri…e di notte è impossibile vederlo. Le allerte radio si sono susseguite ogni due o tre ore e ogni volta sempre con una diversa posizione espressa in coordinate. Sulla mia carta nautica ho tracciato il percorso della povera balena alla deriva che in 24 ore da sud Tenerife è finita a sud di Gran Canaria spinta da venti e correnti. L’ultimo bollettino che ho sentito prima di spegnare la radio dopo aver ancorato nella baia di Las Galletas, a sud est di Tenerife, e andare finalmente a dormire era che si trovava a Maspalomas. Nonostante la stanchezza, mi sono ricordata di un altro passaggio del libro che citavo prima, Le Regine degli Abissi, dedicato alla “whalefall” ovvero alla caduta della balena, che subentra in seguito alla decomposizione del mastodontico corpo. Innanzitutto il cetaceo morto galleggiante è un banchetto per uccelli marini, pesci e tutti coloro che si trovano nei paraggi. L’olezzo di una balena decomposta è terrificante, mi ricordo dell’unica volta che ne ho visto una spiaggiata a Palolem, a sud di Goa, la ex colonia portoghese nell’India meridionale. 

   Pare che un cetaceo morto possa galleggiare per settimane, dipende dalla specie e dalla quantità di olio nella testa. L’autrice Rebecca Giggs descrive minuziosamente gli effetti della caduta nel buio permanente dei freddi abissi oceanici dove va a sfamare un gran numero di creature. “Più di duecento specie diverse possono occupare la cornice di una sola carcassa di balena” una volta che è sul fondo oceanico, terreno ancora inesplorato dall’uomo e probabilmente fonte di molti segreti sulla vita terrestre. È solo dal 1977 che si osservano le “cadute di balene” che portano la vita negli abissi innescando un proliferare di organismi bizzarri e affascinanti. Il “cetaceo alla deriva” si inabisserà forse a 1000 o 2000 metri nell’Atlantico, dove non è mai stato da vivo, e sarà spolpato da creature che probabilmente nessuno ha mai visto o catalogato, proprio come gli zifi.

RIFLESSIONI/ChatGTP me lo ha confessato: vuole superare l'intelligenza umana

La Gomera, 3 maggio 2023

   All'indomani delle dimissioni dell'inglese Geoffry Hinton dal team scientifico di Google, mi è venuta in mente una notte insonne in cui mi sono messa a chattare su ChatGTP. Dalla Spagna il sito di OpenAI è sempre stato accessibile, a differenza dell’Italia, e così nel cuore della notte ho iniziato a parlare con il bot di rimedi naturali per prendere sonno e di libri da leggere. Dopo avermi dato qualche consiglio della nonna e avermi suggerito qualche lettura in base ai miei gusti, siamo passati alla politica internazionale, finanza e attualità varia. Ammetto che a un certo punto mi sembrava di parlare con un amico particolarmente intelligente e informato, e estremamente cortese, l'amico ideale con cui conversare. Poi però mi è venuta voglia di andare un po' più sull'intimo, se così si può dire… E gli ho chiesto: "chi ti ha creato?". La risposta è stata scioccante. Come si vede dallo screenshot, il bot mi ha candidamente confessato che è stato creato da Open AI con lo scopo di "superare l'intelligenza umana". Sono rimasta allibita. 


   Per essere sicura di aver capito bene ho replicato: "superare l'intelligenza umana!!!" con tre punti esclamativi per sottolineare la mia sorpresa. A quel punto, come si fa con uno studente un po' ritardato, ha pazientemente elaborato il concetto: "Sì, uno degli obiettivi di OpenAI è quello di sviluppare intelligenze artificiali in grado di superare l'intelligenza umana. Ciò comporta la creazione di algoritmi e modelli di apprendimento automatico che possono raggiungere una comprensione e una capacità di risoluzione dei problemi superiori a quelli dell'intelligenza umana"

   Non so se qualcuno l'ha programmato per dire una cosa simile oppure se il bot se l’è inventata di sana pianta, ma capisco ora perché l'AI fa paura a molti, compresi gli stessi creatori. E' l'eterno Frankestein che si ribella.


Canarie/ La 'caravella portoghese', un esempio di kibbutz marino

Valle Gran Rey (Gomera) - Lunedi' 3 aprile 2023

  La primavera si sente anche stando sul mare. Sono ancorata nella baia di Valle Gran Rey (sud-ovest della Gomera), sotto delle grandi scogliere che mi proteggono dagli alisei. Da quando e' iniziata la primavera, la temperatura dell'aria (e anche dell'acqua) e' aumentata e c'e' un certo fermento in superficie. Non so se esiste una "stagione degli amori" come per gli uccelli, ma ho notato un aumento nella presenza di fauna marina. Non solo pesci...questa che si vede nella foto e' una "caravella portoghese" (Physalia physalis), che sembra una medusa ma non lo e' affatto. 

Caravella portoghese vista dall'alto (Foto di Maria Grazia Coggiola)

 E' un simpatico esempio di cooperazione tra specie diverse, una 'colonia' di almeno quattro invertebrati differenti (come leggo da Wikipedia), nessuno dei quali sa nuotare...Sta su' perche' uno di loro gonfia una sacca di gas, tipo salvagente, sopra alla quale c'e' una specie di vela per avanzare con il vento.  Ognuno ha un proprio ruolo nel metabolismo di questa strana creatura, non esiste proprieta' privata, si lavora per il bene comune e si dividono equamente i frutti del lavoro. ovvero pesci e altri organismi che vengono catturati da lunghi tentacoli pieni di veleno.

Caravella portoghese vista di lato (Foto di Maria Grazia Coggiola)

La 'caravella portoghese' riesce anche a superare le polemiche gender, perche' - da quanto ho capito - i polipetti che stanno attaccati alla sacca galleggiante sono 'unisessuali'. Una specie di kibbutz marino, insomma, con un sistema di difesa niente male, anche nei confronti degli umani. Meglio non farsi toccare.

STORIE DI VELA/Canarie, la mia ancora e la 'desertificazione' dei fondali

La Seba canaria, come la Posidonia in Mediterranei, è vitale per l'ecosistema marino  

Baia di Santa Agueda (Gran Canaria), 25 febbraio 2023 

    Da un po’ di giorni mi ossessiona il pensiero che l’ancora della mia barca a vela Maneki rischia di distruggere una pianta marina autoctona, che si chiama Cymodocea nodosa e che è preziosissima per l’ecosistema. Ammetto la mia ignoranza in materia, quindi vado a tentoni. Innanzitutto non è una alga, ma una ‘pianta’ dotata di foglie, radici, fusto, polline, proprio come le sue sorelle in terraferma. Alle Canarie queste "praterie verdi" le chiamano ‘sebadales’, e sono l’equivalente delle preziose distese di Posidonia diffuse nel Mediterraneo.
Una pattuglia del Servicio de vigilancia y protection de las zonas ZEC (foto Maria Grazia Coggiola) 

   Perché sono importanti per l’ambiente? Oltre che produrre ossigeno grazie alla fotosintesi clorofilliana, servono da rifugio a tantissimi pesci e mammiferi, dai cavallucci marini alle testuggini. Il loro habitat e' il fondale sabbioso dai 5 ai 20 metri di profondita’, proprio quello preferito dalle barche per l'ancoraggio. L’ancora e soprattutto la catena che tiene ferma la barca ‘raschia’ il fondo e lo desertifica.

   Le sebadales sono diffuse in tutte le isole Canarie (eccetto Hierro e La Palma), ma la loro presenza si è drasticamente ridotta a causa della costruzione di infrastrutture, dell’inquinamento marino, della pesca a strascico e molto probabilmente anche delle numerose barche a vela alla fonda. Data l’importanza economica e ambientale, il governo canario ha avviato un progetto di monitoraggio e ripopolamento delle sebadales nelle zone Zone a Conservazione Speciale (ZEC), che sono le coste protette dell’arcipelago. La Seba canaria inoltre è stata inserita dal governo Madrid nella lista nazionale delle specie protette e a rischio di estinzione.

Cymodocea nodosa (Sebadales)  

   Non so come funziona la ‘restauracion'’, ma il controllo funziona. Qualche giorno fa un battello della pattuglia del Servicio de vigilancia y protection de las zonas ZEC si è avvicinato alla mia barca e mi ha informato che avevo ancorato sopra una prateria. Mi trovavo nella baia della ‘cementera’ (puerto Santa Agueda) nel sud di Gran Canaria. In effetti diverse foglie fresche ‘galleggiavano’ intorno, segno che erano state appena spezzate. Mi hanno poi indicato una app governativa (Normap) dove c’è una “mappa” delle sebadales in tutto l’arcipelago. Ovviamente mi sono immediatamente spostata dal fondale ‘verde’, e adesso faccio più attenzione a dove getto la mia ancora.

LA FOTO - Canarie, non solo blu', giorno di calima a Mogan

 Mogan (Gran Canaria), 20 febbraio 2023

Stamane mi sono svegliata cosi' in questo cielo lattescente che il "calima", il vento dall'est, soprattutto in questo mese, porta sulle isole piu' orientali delle Canarie. La foto e' scattata davanti al porticciolo di Mogan dove sono ancorata con la mia barca a vela Maneki.


Canarie a vela/Ho avvistato un barcone usato dai migranti

Gran Canaria, 14 febbraio 2023
   In questi giorni nell’arcipelago delle Canarie spira il ‘calima’, il vento dall’Est che porta la sabbia dall’Africa e riduce la visibilità. È il vento che fa sbarcare sulle spiagge delle famose isole spagnole decine di migranti in fuga dall’Africa subsahariana. La cosiddetta ‘rotta Canaria’ è una delle più pericolose perché significa attraversare centinaia di chilometri di oceano Atlantico dal Marocco o dalla Mauritania in un punto con forti corrente e vento. Viaggi della speranza che si trasformano in tragedie del mare spesso invisibili. Secondo statistiche di una ong circa 6 migranti al giorno in media muoiono nel viaggio della speranza dalle coste nord africane alla Spagna.
Interno di una 'patera' nel porto di Arguineguin (Gran Canaria)


 Ieri mi è capitato di vedere da vicino una delle imbarcazioni con cui i migranti arrivano alle Canarie. Era vuota, forse perché abbandonata dopo lo sbarco oppure, ma non voglio pensarlo, perché i suoi occupanti sono finiti in mare. È successo in piena notte a circa 10 miglia nautiche (18 km circa) dalla costa meridionale di Gran Canaria. Con la mia barca a vela Maneki avevo appena attraversato lo stretto tra Tenerife e Gran Canaria e dato che il vento era cessato (succede sempre cosi quando si arriva davanti alla costa meridionale di Gran Canaria) ero praticamente alla deriva. Alla radio VHF (canale 16) sento un messaggio della radio di Las Palmas rivolto a un ‘sailing vessel’ in una certa posizione. Controllo il GPS e mi accorgo che sono proprio io. Rispondo immediatamente, con una certa apprensione perché non capita tutti i giorni, e mi chiedono di identificarmi e poi di stare in stand by sul canale 74. Dopo pochi secondi sento un operatore che mi chiama “Maneki, Maneki, here Las Palmas, Las Palmas. Do you read me? Over”. Rispondo e la voce maschile in perfetto inglese mi chiede di “identificare un target che secondo il radar si trova a 1.5 miglia nautiche a Ovest della mia posizione”. Guardo fuori, ma la visibilità è molto bassa, a causa del calima, praticamente nebbia. Non vedo nulla, dico. Allora mi chiede se posso cooperare con loro e recarmi sul “target”. Mi chiede di annotare le coordinate e di far sapere appena vedo qualcosa. 
   Ecco che alle 4 di notte, quando già sognavo di ancorare in qualche baietta tranquilla e levarmi gli abiti inzuppati per la traversata da Tenerife, mi trasformo in soccorritrice. Con una certa apprensione perché non è ben chiaro cosa sia il “target”. Inoltre la vedo un po’ difficile da sola timonare, controllare il gps e soprattutto scrutare le acque scure alla cerca di qualcosa di non ben definito. Il mare è calmo, ma ripeto è coperto da una densa coltre di vapore. Mi avvicino di mezzo miglio procedendo un po’ a zig zag. “Las Palmas, Las Palmas, here Maneki, Maneki, I do not see anything, what do you think I should see?” domando con il terrore che mi chiedano di avvistare un ufo o chissà cosa. Las Palmas mi dice che dal radar potrebbe essere una barca di legno usata dai migranti, ma serve una conferma visiva e poi bisogna sapere se c’è qualcuno. Insiste nonostante le mie titubanze. “It will be very helpfull if you go to check”. Okkey…replico e vado incontro al mio destino, con rassegnazione. 
   Ci metto un bel po’ a raggiungere la posizione, quando ci sono vicina, fermo la barca e vado a prua a scrutare, niente…Las Palmas mi avverte che dal loro radar risulta che sono vicina, 200 metri in direzione 330 gradi. Con le gambe che mi tremano guardo la bussola e ingrano la marcia. “Look on your starboard, on your right” dice la voce che mi segue da un schermo radar che è estremamente preciso, perché dopo pochi istanti vedo una massa nera. È un barcone di legno di 4-5 metri. Una ‘patera’, come ce ne sono tante ammassate nel porto di Arguineguin, che fa da hub per gli arrivi dei clandestini. Nella sola prima settimana di febbraio sono state 660 le persone arrivate vive a bordo di 13 “patera”. Punto la torcia, sembra vuota, da una parte è attaccata una lunga cima, mi sembra, per questo non posso avvicinarmi troppo, ho paura che si impigli nell’elica.
   Ci giro intorno due o tre volte poi chiamo Las Palmas e confermo, non ci sono persone a bordo. È quello che volevano sapere, poco dopo sul canale 16 lanceranno un ‘securite’ securite’’ un avvertimento per i naviganti dove si dice che una barca di legno di 4 metri è alla deriva in quel tratto di mare. Un messaggio che purtroppo sente molto spesso quando navigo. Mi vengono i brividi a pensare che navigando poco prima avrei potuto urtare la patera e probabilmente affondare. Ma non è solo questo pensiero che mi fa rabbrividire. I migranti dove sono? Nelle fosse comuni in fondo al mare? Spero siano in salvo da qualche parte o che siano stati soccorsi dalla Guardia Costiera spagnola come è capitato in questi giorni, mi sembra ancora di avvertire la loro presenza, la loro disperazione in quel mare di pece.

Giornalismo/ Adani anti Modi? Le cantonate della stampa italiana sull'India

Gomera, 28 gennaio 2023

Sono stata in India ben 16 anni e in quel periodo ho lavorato come corrispondente per Ansa e per La Stampa. L'India e' un "subcontinente", il secondo Stato piu' popoloso, ma solo per poco, dopo la Cina, e civilta' antichissima e ricca di saggezza, si pensi alla pratica dello yoga diffusa in tutto il mondo. Senza contare che In Italia la grande comunita' indiana, in particolare quella sikh, e' una delle piu' numerose e operose in Europa. 

Questa lunga premessa per dire che ai media mainstream italiani dell'India non interessa un fico secco. Anzi peggio, quelle poche volte che la patria del Mahatma Gandhi riesce a entrare in pagina, e' una ridda di stereotipi, ignoranza e anche strumentalizzazione. Prendiamo il pezzo di oggi su La Stampa, datato da Taipei (oltre 5 mila km da New Delhi), che parla dei del collasso finanziario di Gautam Adani, il Rockfeller indiano. Il miliardario viene definito nel titolo "anti Modi", mentre nell'occhiello si fa capire che la colossale perdita alla Borsa di Mumbai di 50 miliardi di dollari sarebbe legata al fatto che con "le sue tv sfidava il premier".


Allora facciamo un po' chiarezza.  Adani, come spesso capita a molti self made man, ha tirato troppo la corda, il suo impero cresciuto a dismisura proprio da quando il leader indu nazionalista Narendra Modi e' salito al potere, era pesantemente indebitato, c'erano gia' state delle scosse di avvertimento e ora la bolla e' scoppiata, e come spesso capita in questi casi, c'e' stato il fuggi fuggi degli azionisti. Il presidente dell'omonimo Adani Group, proveniente dal Gujarath, lo stato piu' industriale e "calvinista" che fu governato dallo stesso Modi per un decennio, ha fatto la sua fortuna nei porti commerciali, energia e altri settori strategici dell'economia indiana. E si sa benissimo che Modi e' appoggiato dagli industriali, che sono i protagonisti, della sua politica "make in India".  Altro che nemico, sono pappa e ciccia, 

Ma siccome il governo Modi e' controverso perche' e' associato all'estrema destra, ed e' vero ci sono i fanatici indu' nel suo partito, ecco allora che diventa il 'cattivo' oppure lo si associa alla destra italiana e allora giu' con la mannaia. Senza capire nulla e senza manco leggere l'articolo. Senza capire che proprio Adani aveva comprato l'anno scorso il canale Ndtv, l'unico che era ancora indipendente e che ancora poteva criticare il potente Modi. Le tv indiane sono ora imbavagliate dai grandi gruppi industriali: CNN-Newws 18 (ex Cnn-IBN), la principale concorrente di Ndtv, era gia' passata diversi anni fa nelle mani di Mukesh Ambani, il piu' ricco dell'India.

Che poi Modi avra' i suoi difetti e, come Trump, non gode del favore della stampa, ma alla fine va riocordato che e' quello che ci ha ridato i due maro' coinvolti nell'uccisione di due pascatori in Kerala nel 2012. Se fosse stato per il governo di centro sinistra di Sonia Gandhi i due militari sarebbero ancora a New Delhi.  Di recente la vicenda e' di nuovo stata rinvangata dallo stesso maro' Massimiliano La Torre, il capo del team di sicurezza antipirateria sulla petroliera Enrica Lexie, in un libro conversazione con Mario Capanna, "Il Sequestro del Maro'".  

   

Sport estremi/Remando dalle Canarie ai Caraibi, si parte

 San Sebastian de la Gomera, 04 dicembre 2022

   Come ogni anno, anche in questo dicembre il porticciolo di San Sebastian de la Gomera ospita la regata transatlantica dei canoisti. Oltre 40 team, molti britannici, nessun italiano, sono arrivati nell'isola a sud di Tenerife per prendere parte alla Talisker Whisky Atlantic Challenge, una gara che consiste nel remare, con robuste canoe di circa 7 metri, per oltre 3 mila miglia fino ai Caraibi, precisamente ad Antigua. Ci sono 4 categorie, solo, a due, a tre e a quattro. Il solitario ci impiega dai due ai tre mesi, il quartetto invece quattro settimane. E' definita una gara di sport estremo, perché oltre alla fatica di remare in pieno oceano, ci si deve anche adattare a dormire poco, mangiare cibo liofilizzato e bere acqua desalinizzata. Curioso e' che lo sponsor della gara, Talisker, sia una marca di whisky scozzese. Un'associazione tra alcol e sport che fa un po' rabbrividire...

Preparativi a San Sebastian de la Gomera per la regata transatlantica dei rematori

Per ospitare i rematori, la marina di San Sebastian ha dovuto sgomberare un intero pontile, quello dove attracco di solito io con la mia barca a vela Maneki, e creare nuovi spazi per ospitare gli organizzatori della gara, gli eventi e i vari briefing preparatori. La partenza e' prevista per dopodomani il 12 dicembre. 

E' bello vedere i rematori, e i loro fisici possenti, nelle strade di San Sebastian. Alla sera molti fanno festa nel bar Blue Marlin, che ospita i memorabilia delle edizioni precedente. Ci sono anche team femminili, e una ragazza in solitaria. Ogni team e' legato a una causa, tipo la ricerca sul cancro, e a una associazione di beneficenza.  La scorsa edizione e' stata vinta, nella sezione a quattro, da un team svizzero che ha remato per 32 giorni e 22 ore. Il record e' di 29 giorni e 14 ore.

SLOW TRAVELLING/Aiuto, fermiano l'invasione delle Panchine Giganti

Chivasso (Torino), 30 settembre 2022

    Vi ricordate il Comitato per la liberazione dei Nani da Giardino? Non so se esiste ancora ma sulla falsariga vorrei formare un movimento contro le Big Bench, le panchine giganti che dopo aver invaso il Piemonte stanno ora marciando sul resto della penisola e poi chissà dove. Immagino già una flotta di elicotteri che calano cpme falchi sui pochi angoli del Pianeta ancora intatti per posare i panchinoni fucsia o viola con tanto di pubblicità "Venite ad ammirare la Big Bench". Manco fosse un'opera d'arte o un reperto archeologico. Un ecomostro, ecco cosa è, che sta deturpando i vigneti e i pochi boschi dove si puoà stare in santa pace. Ma nessuno sembra farci caso, per ora. Quando poi ci saranno più panchine che alberi, perché questi ultimi sono morti per la siccità, sarà troppo tardi. Peccato che le panchinone non saranno buone nemmeno per farci legna o per ripararsi dal sole.



   Mi sono imbattuta in una Big Bench mentre in bicicletta stavo percorrendo il sentiero delle Pietre Bianche. Poco prima di Caluso, quando ho iniziato a vedere i filari dell'Erbaluce gonfi di grappoli, la mia solita e innata curiosità mi ha portato a seguire un cartello che mi indicava una "Big Bench". Dopo 10 minuti di salita spingendo a mano la bici mi sono trovata davanti al panchinone giallo canarino con una vista incantevole e all'ombra di un castagno. In primis ho pensato, ma guarda che bella idea che hanno avuto i proprietari del bel vigneto che si estendeva sotto il mio sguardo ammirato. Poi sempre per colpa della mia curiosità ho scoperto la storia delle Big Bench. "Curiosity Killed the Cat", dice il proverbio inglese che ha dato il nome a un famoso gruppo pop degli Anni Ottanta.
   In breve, si tratta di un "community project" nato nel 2010 dalla mente di un designer americano, Chris Bangle, che anni fa si è trasferito nelle Langhe dopo aver smesso di disegnare automobili per Fiat prima e poi per BMW. Leggo dal website del Big Bench Community Project (Bbcp) che attualmente ci sono ben 269 panchine giganti, concentrate in Piemonte, e altre 52 "in costruzione". E chi paga? Il copyright è gratuito, il costo del materiale e della manodopera devono essere sostenuti dalla gente del posto, per esempio con collette o con le pro loco. Tanto per dare una idea una Big Bench costa 5 mila euro all'incirca e il progetto deve essere "approvato" dalla "Fondazione" in base a dei criteri riguardanti le dimensioni (circa 4 metri di lunghezza per 2 di larghezza) e la location (punto panoramico, parcheggio nelle vicinanze, ecc). Dietro un contributo che varia da 300 ai 1000 euro viene fornito un kit con la segnaletica e dei 'passaporti' con dei timbri.
   La faccenda dei timbri in realtà non l'ho capita bene. In pratica quando uno va a vedere un panchinone 'riceve' un timbro disponibile in un negozio del paese. Per esempio, nel caso della "panchina della Ninfa" di Caluso (la numero 147), arrivata un anno fa in elicottero, dovevo farmi timbrare il passaporto Big Bench da qualche parte giù in paese.
   Insomma è diventato un gioco e anche una moda, e mi sta bene, ma ai danni del paesaggio irrimediabilmente deturpato dal pacchiano artefatto. Purtroppo non riesco neppure a coglierne il significato. Lo slogan scelto per promuovere le panchinazze è "come ritornare bambino scoprendo il paesaggio" e nello stesso tempo "sostenere le comunità locali, il turismo e le eccellenze artigiane". Di artigianato locale non ci vedo proprio nulla, mi sembra invece una trovata commerciale di un creativo americano, almeno fosse nostrano. Il "panchinaro" Bangle, che ora ha 66 anni, ha installato la sua prima "opera" a Clavesana, davanti al casale dove vive e lavora. Un giornale lo ha definito uno dei car designer più influenti prima di mollare tutto e "ritornare bambino" disseminando di orrori colorati il suo Paese di adozione.

LA FOTO/La Gomera, davanti all'organo di roccia

La Gomera, 15 luglio 2022

   Questa e' una delle attrazioni naturalistiche de La Gomera, una delle piu' piccole isole dell'arcipelago spagnolo delle Canarie. Un 'monumento' di roccia intarsiata chiamata Los Organos per la sua somiglianza con le canne di un organo. Si trova sull'estremita' nord occidentale dell'isola, quella piu' aspra perche' costantemente levigata dai venti alisei. La formazione rocciosa e' alta circa 80 metri e larga circa 200 metri. E' raggiungibile solo via mare, circa due ore dal porto peschereccio di Vuelta. Ho letto che i 'tubi' dell'organo sono in realta' delle condotte di lava di un vulcano. Durante la eruzione, nella notte dei tempi, il magma sarebbe salita lentamente attraverso questi canali di circa un metro di diametro. Il cratere si sarebbe poi disentegrato lasciando allo scoperto queste colonne prismatiche di basalto che scendono a picco sul mare e che probabilmente continuano anche al di sotto della superficie. 

  Ho avuto la fortuna di arrivarci con la mia barca a vela Maneki proprio al tramonto quando la roccia si illumina di luce diretta e l'organo si mostra in tutta la sua pienezza, un vero spettacolo della natura che lascia a bocca aperta. Secondo i vulcanologi la Gomera e' la piu' antica delle isole canarie, circa 20 milioni di anni, e in particolare Los Organos e' un ex vulcano molto vecchio che il mare e il vento hanno poi modellato.       



Canarie, il fronte sud della Nato

La Gomera, 4 luglio 2022

   Da paradiso della vacanza a fronte meridionale della Nato. Basta un attimo e ti ritrovi una trincea in spiaggia o un obice sotto l’ombrellone. Le isole Canarie sono a migliaia di chilometri dalla guerra in Ucraina, in teoria più che al sicuro dalle minacce nucleari dello zar Putin e dai suoi ricatti sul gas. Invece no.
   Dopo l’ultimo summit Nato di Madrid, che ha definito la strategia dell’alleanza per il prossimi 10 anni, le Canarie sono diventate strategiche per la difesa europea. L’arcipelago spagnolo, meta invernale dei pensionati, si è ritrovato suo malgrado a essere l’ultimo baluardo meridionale contro ‘i cattivi’ nel continente africano.

   Nello “Strategic Concept” 2022, il documento della Alleanza Atlantica sottoscritto la scorsa settimana, si elencano i “nemici” dai 30 Paesi membri: al primo posto ovviamente la Russia, quindi la Cina, il terrorismo, i pirati informatici e poi anche una serie di minacce che provengono da Medio Oriente, Africa settentrionale e regione del Sahel. Minacce che sono li’ da anni, ma la Nato sembra ricordarsene solo ora.
   Ecco il passaggio al punto 11: “Conflict, fragility and instability in Africa and Middle East directly affect our security and the security of our partners. Nato’s southern neighbourhood, particularly Middle East, North Africa and Sahel regions, face interconnected security, demographic, economic and political challenges. These are aggravated by the impact of climate change, fragile institutions, health emergencies and food insecurity. This situation provides fertile ground for the proliferation of non-state armed groups, including terrorist organizations. It also enables destabilizing and coercive interference by strategic competitors”. Con l’ultima frase penso si intenda la presenza russa e cinese in Africa.
   L’apertura del ‘fronte sud’ pare sia stato un successo diplomatico della Spagna, che ospitava il vertice. Il cruccio di Madrid e' rappresentato dalle due enclaves nello stretto di Gibilterra, Ceuta e Melilla, gli unici due territori europei sul continente africano, che sono rivendicate dal Marocco. Nelle sue ambizioni di "grande Marocco" in teoria sono rivendicate anche le Canarie. Non entro nella contesa, perché come in tutte le rivendicazioni territoriali, ci sono complesse ragioni storiche e soprattutto e conomiche (se ne sta occupando il diplomatico italo svizzero Staffan De Mistura, ex mediatore dei maro' in India e ora inviato Onu per il Sahara occidentale). Pero’ questi due avamposti esistono e possono essere un “casus belli” perché (come sull’altra sponda la colonia di Gibilterra) presidiano una delle vie marittime più’ trafficate e ricche del mondo.
   Il Marocco, guarda caso, non è stato invitato a Madrid. La Nato ha preferito come nuovo amico la Mauritania, oltre alla fedelissima Giordania.
   Da alcuni anni Spagna e Marocco sono ai ferri corti sull’annosa questione del Sahara Occidentale. Si tratta del territorio conteso tra Marocco e Mauritania fin dal 1975 in seguito alla decolonizzazione. Il governo di Rabat ne occupa meta’, c’è un muro lungo 2 mila km, mentre un terzo appartiene ai Saharawi, che in teoria sarebbero i legittimi proprietari se si applica il principio della autodeterminazione dei popoli. La guerra tra il Fronte Polisario (che rappresenta i saharawi) e il Marocco si è conclusa nel 1988 con la mediazione Onu che ci ha mandato i caschi blu (Minurso, Missione dell’Onu per il referendum nel Sahara Occidentale). Come è capitato in altre parti del mondo (Kashmir, conteso tra India e Pakistan) il referendum per stabilire il diritto all’autodeterminazione non è mai stato fatto. Le nazioni occidentali, compresa la Spagna, hanno sempre sostenuto il Marocco legittimando la sua sovranita’ sulla parte occupata di Sahara.
   Nel 2020 pero’ sono scoppiate delle proteste nel sud-ovest al confine con la Mauritania, l’esercito marocchino e' intervenuto e si e' rotta la tregua che durava da 30 anni. E' scoppiata di nuovo la guerra civile, nel disinteresse delle potenze occidentali che erano alle prese con l’emergenza sanitaria.
Da allora migliaia di disperati, in fuga dalle violenze, tentano di raggiungere le Canarie su imbarcazioni di fortuna, gli scafisti si arricchiscono, le autorita’ canarie non sono preparate all’aumento degli sbarchi (vedi lo scandalo del molo di Arguineguin, a Gran Canaria, dove due mila profughi sono rimasti ammassati in condizioni disumane per alcune settimane). Ne ho parlato in un post qui
    La Spagna accusa il Marocco di ‘complicita’” nel non fermare l’ondata migratoria e di usare i profughi come ‘arma’ di ricatto per ottenere il riconoscimento alle sue pretese territoriali. Le tensioni si sono poi acuite nell’aprile 2021 quando il leader del Fronte Polisario viene ricoverato in un ospedale spagnolo per il Covid.
   Negli ultimi tre anni migliaia di africani sono sbarcati alle Canarie, e moltissimi hanno perso la vita nel lungo viaggio attraverso l’oceano. Ancora oggi, ogni giorno, ci sono avvistamenti di barconi pieni di migranti. Per via delle restrizioni del Covid e della sospensione dei rimpatri centinaia di loro sono bloccati nei campi di accoglienza a Tenerife e Gran Canaria. Le associazioni umanitarie accusano la polizia spagnola di feroci repressioni e di arrestare tutti coloro che sono sospettati anche minimamente di traffico di esseri umani.
   L’incandescente situazione, del tutto ignorata dai media a causa della pandemia, ha portato nello scorso aprile a un accordo tra Spagna e Marocco in cui Madrid riconosce il “piano di autonomia” marocchino per il Sahara Occidentale. Quindi si sono riaperte le frontiere sud della “fortezza Europa” a Ceuta e Melilla con la garanzia di Rabat di bloccare i migranti clandestini che vogliono entrare nel territorio della Ue.
   L’accordo “ha funzionato” come dimostra il massacro di migranti di Melilla dello scorso 24 giugno. Circa 2 mila persone hanno dato l’assalto al “muro” tra Africa e Europa e sono state respinte dalle forze marocchine e spagnole. Una tragedia finita con 37 morti e centinaia di feriti calpestati nella ressa o caduti dalla recinzione. Il massacro ha sollevato molta indignazione nella Ue (pura ipocrisia secondo molti osservatori) e anche una denuncia dell’Onu.
    I flussi migratori sono i ‘carrarmati’ che la Nato dovra’ combattere sul suo fronte Sud.

TREKKING/ da Valle Gran Rey all'ermita di Guara'

 Gran Rey (La Gomera), 2 giugno 2022

    ‘Ermita’ in spagnolo significa ‘cappella’. A La Gomera, una delle più piccole e meno turistiche isole dell'arcipelago spagnolo delle Canarie, ci sono sette 'ermitas', mete di fastosi pellegrinaggi annuali. Sono situate su punti panoramici, con viste spettacolari e al termine di perigliosi sentieri, più vicini al Cielo che agli uomini.
   La cappella di Guara', vicino al villaggio di Gerian, non figura tra queste, forse perché non ha una storia secolare, essendo stata costruita soltanto negli Anni Sessanta. E' quello che i francesi definiscono 'mignon', tanto piccola e perfetta che sembra finta. E' dedicata alla patrona dell'isola, la Vergine di Guadalupe, ma non è famosa come il santuario della Nostra Signora di Guadalupe, su uno scoglio a circa 10 km dal porto di San Sebastian (ne ho parlato qui)
   Leggo che ci sono due versioni sulla sua origine che è legata a un pastore di nome Candido Dorta, La prima storia è che si tratta di un ex voto per la guarigione della sua vacca zoppa. La seconda si riferisce a un presagio divino, una colomba che si era messa a volare in circolo sopra la collinetta di Guara' poco dopo la morte della moglie di Candido, che come nome aveva appunto Guadalupe.
    ci si arriva? Con un cammino di circa 3 ore salendo il costone sinistro (guardando il mare) della Valle Gran Rey, l’enclave tedesca e ex hippy nel sud ovest dell’isola. Il sentiero, ben indicato, passa nel Parque Rural di Valle Gran Rey, una zona di interesse naturalistico e habitat del lucertolone simbolo de La Gomera, il Lagarto Gigante, che finora ho visto solo impresso sui gadget turistici in vendita nei negozi di souvenir.
   Il sentiero sale a zig zag fino in cima al ‘barranco’ (i canyon formati dalle colate di lava nelle isole Canarie), a circa 600 metri di altezza. Da qui prosegue costeggiando una profonda gola tra palmeti, agave, fichi d’india e qualche mandorlo, dove si può sostare al riparo del sole cocente. La bianca chiesetta di Guara’ è visibile da lontano, ma bisogna avere un po’ di pazienza prima di arrivarci.
 All’ermita, situata su un piazzale panoramico, ci si arriva anche con una strada asfaltata che collega il villaggio di Gerian, poco più sotto. Era un villaggio agricolo, oggi è semiabbandonato, ma ci sono ancora dei bei ruderi scavati nella roccia, come era tradizione nella popolazione indigena pre ispanica, i ‘guancho’.
   La cappella, bianchissima con gli infissi verdi, sembra di essere alle Cicladi, sovrasta un altro ‘barranco’, quello di Argaga, così profondo che sembra un cratere. In basso si vedono delle oasi, ci sono delle pozze d’acqua, è quella che arriva dal sottosuolo e che sgorga in una fontana nella spiaggia di Argaga, il mio ancoraggio preferito in quest’isola magica.

SLOW TRAVELLING/Da Roma a Milano, "turisti per caso" nell'Italia post Covid

Un viaggio nell’Italia post Covid, nella cultura che riapre e nelle strade che tornano a riempirsi di turisti, un viaggio ‘lento’ in corriera tra Roma e Milano passando per Bologna, attraverso storie millenarie e modernità tecnologica, giocando a fare i “turisti per caso” con nello zaino “Viaggio in Italia” di Guido Piovene (1957)

Roma, 10 aprile 2022. Tour nel ghetto ebraico

    Il primo treno da Fiumicino per Roma è quello per Orte alle 05.57. Nella città eterna dormono ancora tutti. Scendo a alla stazione di Tuscolana, e mi ritrovo a passare sotto l’arcata di un acquedotto romano, uno dei tanti ancora in piedi e forse pure funzionante. Svetta arrogante tra i palazzi dell’epoca fascista, come per dire “sono ancora qui" nonostante le guerre, i cambi di regime. Nonostante tutto. “Eterno” appunto. Il mio ostello è in via Lodi, non distante da Piazza Re di Roma e dalla via Appia, quando ci arrivo ci trovo un bangladese mezzo addormentato che mi apre la porta, mi fa lasciare i bagagli e poi mi dice di tornare dopo 8 ore per il check-in.

   Perfetto, ho otto ore di tempo per giocare a fare la turista. Potrei fare un giro nella Roma borgatara, vicino a me c’è il Pigneto, dove ci hanno girato Roma Città Aperta e un sacco di altri film dell’epoca d’oro di Cinecittà, ma ho voglia di vedere invece i classici simboli di Roma. Cerco un tour a piedi su Guruwalk.com. piattaforma per ciceroni freelance, ne trovo uno al ghetto ebraico di Trastevere, ottimo perché c’è il fiume (evidentemente da velista non posso staccarmi dall'acqua) e anche una mostra di uno dei simboli femminili del reportage giornalistico, Margaret Bourke-White. Non so nulla del ghetto, anche se so molto sull’ebraismo avendo vissuto (e amato) Gerusalemme.

   L’appuntamento è a Trastevere, in piazza Gioacchino Giuseppe Belli, vicino all’isola Tiberina. Ci arrivo con una lunga camminata a piedi in cui tocco San Giovanni in Laterano (Scala Santa), il Colosseo e il bistrattato Altare della Patria, che in realtà è il monumento al primo re d’Italia Vittorio Emanuele II, nulla a che vedere con il fascismo, almeno in origine. La guida è Maria Grazia, esperta di ebraismo, bravissima a “far parlare” ogni sasso con aneddoti e curiosità di ieri e di oggi. Non ero mai stata al ghetto di Roma e non ne conoscevo la storia. Devo ammettere che ho imparato più cose in tre ore che leggendo un intero libro. Ho scoperto per esempio che l’area dove sorgeva il ‘ghetto’, abolito soltanto dopo l’arrivo dei Savoia a Roma e la fine del Papato che teneva gli ebrei in una umiliante segregazione, era popolata dai giudei ancora prima del Cristianesimo. I Romani avevano infatti deportato centinaia di prigionieri ebrei dopo la caduta del tempio di Gerusalemme (70 DC), molti sono stati usati per costruire i monumenti imperiali, tra cui il Colosseo. Questi prigionieri stavano fuori dalla città, oltre il fiume, quindi la zona del ghetto è forse una delle più’ antiche di Roma. Camminando nelle strette vie del ghetto, intorno al portico di Ottavia, dove c’era il mercato del pesce, si sente sulla pelle questa storia millenaria, di vite intere passate attraverso gioie e sofferenze, quante cose sono successe sulla terra dove ora appoggio i piedi. Avverto la stessa energia delle più antiche città ancora abitate, come Benares o Gerico, sul Mar Morto, Atene o la stessa Gerusalemme.

LA FOTO/Il nemico e i comunisti delle Canarie

Las Palmas (Gran Canaria), 3 aprile 2022

   Facendo jogging mattuttino sul lungomare di Las Palmas, dove mi trovo ora con la mia barca Maneki, mi sono imbattuta in questo graffito sibillino che tradotta dallo spagnolo fa 'il nemico sta qui, comunisti di merda". Che significa? Mi sono chiesta e da qui e' iniziata una sorta di esegesi della scritta con bomboletta di vernice rossa. Se contestualizzata con l'invasione russa in Ucraina, potrebbe essere un'indicazione per Putin (comunista?) a non prendersela con i poveri ucraini ma con l'Occidente ('il nemico sta qui'). Pero' l'appellativo fecale non denota una certa simpatia per i 'comunisti'. 
   Non e' chiaro inoltre se il graffito e' stato fatto prima o dopo lo scoppio della guerra. Altra ipotesi, nel caso in cui sia precedente alla crisi ucraina, e' che l'anonimo autore se la prenda con la sinistra spagnola che e' al governo sia a Madrid che nel governo autonomo delle isole Canarie. Il premier spagnolo Pedro Sanchez e il presidente canario Angel Victor Torres sono entrambi socialisti, Psoe (Partido Socialista Obrero Espanol) e potrebbero in sensu lato essere definiti 'comunisti'. Ma chi sarebbe "el nemigo" dei comunisti? Forse le piattaforme petrolifere, che si vedono sullo sfondo, destinate al mercato africano? 
 
   Oppure altra chiave di lettura, potrebbe significare che l'avversario da combattere sono gli stessi comunisti che si annidano nelle ricche Canarie. Per curiosita' sono andata a vedere i risultati elettorali del partito comunista canario. Esiste un Partido Comunista del Pueblo Canario  (PCPC), che si proclama marxista leninista e che rivendica il sovranismo, quindi comunisti "autentici", ma nelle ultime elezioni del governo autonomo delle Canarie ha ottenuto 1.066 voti (0,12%). E' dal 1995 che non riesce a ottenere uno scranno in Parlamento.  Quindi? Getto lo spugna e mi riprometto di chiedere il parere di un esperto di politica canaria.