Kashmir, la grande industria dietro la decisione di Modi di revocare l'autonomia?

Gran Canaria, 9 agosto 2019
   Il 5 agosto il Parlamento indiano ha sospeso la legge che garantiva uno speciale statuto autonomo alla regione del Kashmir, il territorio che per il diritto internazionale è ‘conteso’ tra India e Pakistan (e Cina se vogliamo essere precisi) e dove si sono combattute quattro guerre. Per New Delhi la regione faceva parte amministrativamente dello Stato di Jammu e Kashmir, che comprendeva la valle di Jammu (a maggioranza indù), il Kashmir (musulmano) e più a nord est il Ladakh (buddista). Nello stesso tempo con una nuova legge sono state create due nuove entità (‘Union Territories’), Jammu e Kashmir e il Ladakh. Si tratta di un “downgrade” da Stato a Union Territory che non ha precedenti nella storia moderna indiana.
   La decisione, presa dal governo indù nazionalista del Bjp, era nell’aria da parecchio tempo. Lo stesso premier Narendra Modi, rieletto lo scorso maggio con largo consenso popolare, lo aveva promesso nella sua agenda elettorale. Perfino in certi ambienti dell’opposizione del Congresso, il partito della famiglia dei Gandhi, erano d’accordo, tanto che alcuni parlamentari hanno votato a favore creando una nuova frattura, forse mortale, nello storico partito dell’italo indiana Sonia e di suo figlio Rahul.
   L’articolo della Costituzione indiana che è stato abolito è il 370 e appartiene alle ‘norme temporanee e provvisorie’ della carta costituzionale del 1947. All'epoca doveva essere sostituito da qualcosa altro, che non c’è mai stato. È quindi diventato lo status quo. Come lo è la cosiddetta Linea di Controllo (Loc), il fronte su cui sono schierati gli eserciti, che serve di fatto come frontiera. Sono quelle situazioni così ingarbugliate e così sensibili in cui per il quieto vivere nessuno osa toccare nulla.
   Ma il leader Modi, che passa per un decisionista, ha voluto alterare questo equilibrio precario. Che succederà ora? Come quando si getta un sasso nello stagno le conseguenze possono essere a catena.

- Il Pakistan è andato su tutte le furie, ma a livello internazionale gode di scarsissimo appoggio soprattutto con l’amministrazione Trump e con l’alleato cinese interessato piuttosto a stabilizzare la regione a vantaggio della sua nuova via della Seta. Non so fino a che punto la Cina puo’ spendere energia per sostenere la causa del Kashmir.
- I kashmiri, che sono i diretti interessati, non sono stati interpellati. Anzi New Delhi ha bloccato telefoni e internet e schierato l’esercito in strada. Cosa che l’India è abituata a fare da decenni quando intende riportare l’ordine o fermare le rivolte nella regione. Sono stata molte volte a Srinagar e ogni volta ho avuto la netta sensazione che la gente era ostaggio del conflitto con l’India alimentato dai vari movimenti separatisti. Ho avuto il sospetto che la gente comune non desiderasse altro che vivere una vita normale senza blocchi stradali e senza continui scioperi, spesso ‘imposti’ dagli attivisti kashmiri. I musulmani del Kashmir, forse, non sono molto diversi dalla minoranza mussulmana (20 per cento della popolazione indiana ovvero 250 milioni di persone) che vive pacificamente nel resto del subcontinente. Senza contare che i kashmiri nel resto dell’India e all’estero hanno dei ricchi business grazie alle loro doti di commercianti.
- Cosa significa per l’India? Su molta stampa internazionale, la revoca dell’articolo 370 è stata spiegata come l’intenzione di ‘colonizzare’ il Kashmir e creare uno stato basato sulla religione indu’ e non piu’ laico come voluto dal padre della nazione Mahatma Gandhi. Puo’ essere vero, ma penso che nelle intenzioni del governo c’è piuttosto la volonta’ di mettere le mani sopra un territorio ancora ‘vergine’ con grosse potenzialita’ turistiche. Una delle piu’ importanti norme che derivavano dall’articolo 370 era quello di impedire la compravendita di immobili a non kashmiri. Da ora in poi un investitore di New Delhi o di Mumbai potra’ comprare terreni o alloggi nella valle. Il che significa quindi dare il via alla cementificazione del Kashmir, il “paradiso terrestre’ come lo chiamo’ nel XV secolo l’imperatore mugal Jahangir. Molti sponsor del premier Modi sono industriali del Gujarat, e molti altri si sono aggiunti nella sua crociata per ammodernare l’India. Non so quindi fino a che punto ci siano motivazioni religiose o ideologiche dietro questa mossa. Ci vedo piuttosto la rapacità del grande capitale.

- Il Ladakh, il ‘piccolo Tibet indiano” è per me uno dei posti più affascinanti dell’India e mi sembrava ingiusto che non avesse alcuna rappresentazione politica. Lo stato di Jammu e Kashmir ha da sempre ignorato l’esistenza della regione, vuoi perché è isolata vuoi perché è popolata da appena 270 mila persone, per di più buddiste. Il Ladakh quindi guadagna la propria autonomia e di fatti a Leh, la capitale, hanno esultato, in quanto era da tempo che lo chiedevano. Va precisato che diventare Union Territory (senza parlamento locale) significa essere amministrato direttamente dal Centro. A maggior ragione in Ladakh si apriranno le porte per i grandi investimenti in particolare nel turismo, che è già una delle risorse principali. Lo stesso Modi, nel discorso alla nazione ieri sera, lo ha detto chiaramente: “ Ladakh has the potential to become the biggest center of Spiritual Tourism, Adventure Tourism and Ecotourism”. 
Voila’ il Kashmir è servito su un piatto d'argento.

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