CANARIE/ Hierro, la "fine del mondo" è diventata l'America per migliaia di migranti africani

    L'isola di Hierro, la più piccola delle Canarie, è rossa come una miniera di ferro, da cui deriva il suo nome spagnolo. È il confine occidentale dell'Europa e prima delle conquiste coloniali era la "fine del mondo", almeno quello conosciuto dall'Occidente. Punta de la Orchilla (qui sotto nella foto) è l'ultimo lembo di terra che i naviganti vedevano e ancora oggi vedono prima di attraversare l'Atlantico. Da li nell'antichità passava anche il Meridiano Zero prima che gli inglesi lo spostassero sulla collina di Greenwich a Londra. 
El Hierro/Punta de la Orchilla - Il monumento al Meridiano Zero. @mariagraziacoggiola

   Hierro è un'isola bizzarra. I ginepri sabina sono piegati fino a toccare terra per gli alisei. L'aria è impregnata dell'aroma di artemisia e di altre piante medicinali.  E' stato un inverno particolarmente piovoso e ora i sentieri sono ricoperti di papaveri, fiordalisi, margheritine, tarassaco e altri fiori selvatici di cui non conosco il nome. Una esplosione di colori e di profumi che si levano dal suolo ora di nuovo arso e in parte ricoperto di lava vulcanica, a cui fa da contrasto l'azzurro scuro dell'oceano Atlantico. Era da tempo che non vedevo i papaveri. Si intonano perfettamente con la terra rossastra. Forse sono cosí belli perché si nutrono del ferro di cui é fatta questa isola.

   E' la meno conosciuta dell'arcipelago spagnolo e come ho gia scritto è la più piccola per estensione dopo l'isolotto de La graciosa dove non ci sono strade asfaltate. Ma di recente è salita alla ribalta della cronaca perché è diventata la porta di ingresso in Europa di migliaia di migranti dalla Mauritania e Africa subsahariana. Nel 2024 oltre 23 mila disperati sono arrivati nell'isola, un numero che è tre volte la sua popolazione. Il porto meridionale de La Restinga è stato trasformato in un centro di accoglienza. Mentre i barconi rimangono accastati uno sull'altro, i migranti adulti sono trasferiti in Spagna. I minori invece sono ricollocati in centri di accoglienza su altre isole. 

   Come spiegavo prima in passato era l'ultima terra spagnola che i naviganti lasciavano in cerca di fortuna e ricchezze, adesso è la 'America' per le masse di disperati che vengono da quello stesso 'nuovo mondo' depredato dall'Occidente. Che ironia riserva la Storia. O meglio che contrappasso. Prima volevamo aprire i nostri confini per arricchirci, ora li vogliamo chiudere per proteggere quella ricchezza che abbiamo accumulato grazie alle conquiste coloniali.

ARTE E DEGRADO/Sicilia, il garage per dirigibili di Augusta

 Augusta (Siracusa), 22 dicembre 2024

   Andando a zonzo sulla costa sud orientale della Sicilia, mi sono ritrovata davanti a un incredibile retaggio storico-militare: un hangar per dirigibili. Si trova nella rada di Augusta, città strategica della marina militare e uno dei porti di sbarco degli Alleati nel luglio 1949.

L'hangar visto dal retro (Foto di Maria Grazia Coggiola)

   In realtà ero andata a visitare il borgo marinaro di Brucoli, meta iper turistica, poi sono stata attirata dal profilo della raffineria, che domina il paesaggio di Augusta. L'impianto, ex Esso ora algerino, è un pezzo importante dell'economia siciliana e anche potenzialmente una bomba ecologica. Penso che bisognerebbe praticare un turismo dell'economia reale, oltre che quello delle bellezze del Balpaese, tanto per far capire alla gente da dove arriva la benzina oppure la bistecca che compra al supermercato. Ma non voglio divagare. 

Foto tratta dal libro Più leggero dell’aria - Breve storia del Dirigibile di Raffaele Migneco Omodei

   Tra le ciminiere della raffineria e le petroliere abbandonate nella rada spicca un edificio curioso, il cui uso è veramente difficile da immaginare nella nostra era. E' appunto un garage per dirigibili costruito nel 1917 quando si pensava che questi "palloni volanti" potessero essere dei validi mezzi di trasporto aereo. E' uno dei pochi in Italia sopravissuto ai bombardamenti e, nella sua specificità, è anche un'opera architettonica di valore. Da lontano somiglia a un tempio greco e sfido molti a capire a che cosa serviva. Oggi l'hangar e l'intero parco che lo circonda sono abbandonati, una scandalosa incuria, imputabile al fatto che l'area nel 2012 è diventata zona militare. Prima di allora, leggo nelle cronache locali, la zona era stato bonificata e trasformata in un parco pubblico.

   La storia dell'hangar è ben documentata da ricerche storiche (L'Hangar per dirigibili di Augusta di Ilario Saccomanno) e anche un documentario (La Casa dei Dirigibili, regia di Lorenzo Daniele con la regione Sicilia). La costruzione in cemento armato fu affidato all'architetto Antonio Garboli di Brindisi ed è in linea con lo stile del tempo che ha in nello svizzero-francese Le Corbusier il suo massimo esponente.

   Fu voluto dalla Marina Regia per contrastare i sommergibili tedeschi che imperversavano lungo le coste orientali siciliane. I dirigibili erano più efficaci degli idrovolanti a individuare e colpire gli U-boot tedeschi, per la loro autonomia di volo e per essere in grado di volare a bassa velocità sull'obiettivo. La posizione di Augusta è strategica per il controllo dello stretto di Messina. L'hangar fu progettato per ospitare dirigibili di 12 mila metri cubici, di media grandezza, che dovevano appunto pattugliare le rotte a sud della Sicilia. 

   Realizzato dalla Società Anonima Cementi Armati e Costruzioni Ing Antonio Garboli in cemento armato, materiale "innovativo", l'hangar era una assoluta novità per l'epoca. Però, come spesso accade, i lavori si trascinarono più del previsto, nonostante l'impiego di prigionieri austriaci, e fu ultimato solo nel 1920 quando la guerra era terminata. Quindi l'hangar di Augusta non svolse mai la sua funzione originale. Poi dopo il famoso incidente dello Zeppellin Hinderburg nel 1937, il più grande oggetto volante mai costruito, i dirigibili caddero in disuso. Erano in effetti delle bombe volanti e l'atterraggio era decisamente complicato. Però hanno fatto un pezzo di storia delle esplorazioni soprattutto durante il Ventennio, con le famosa trasvolate di Umberto Nobile sul Polo Nord, l'ultima finita in tragedia.

   Ho fotografato l'hangar dal malandato cancello di ingresso. Peccato vedere così tanta incuria e indifferenza. Non solo perché la storia di un luogo, per quanto controversa, merita un po' di rispetto, ma anche per le potenzialità di uso di un edificio che è sopravissuto a due guerre e a un terremoto. E che è anche un mirabile esempio di architettura.


MEDIA/Guerra, quando la pubblicità è indecente

Sappiamo tutti che senza pubblicità i giornali non possono sopravvivere. E' già un miracolo se la carta stampata riesca a campare con paginate di inserzioni. Però ci dovrebbe essere un limite, non al contenuto, ma al posizionamento.Per esempio, trovo indecente che sotto un articolo di cronaca sui bombardamenti a Beirut compaia una pubblicità che celebra il confort domestico. E' quello che ieri succedeva sul Corriere della Sera. Titolo: Raid nel cuore di Beirut: nove morti. Israele espande le operazioni a Sud. Sotto l'articolo campeggia lo slogan Joyful Living (Vivere felici, sarebbe più o meno) e una gioiosa ragazza in minigonna tranquillamente seduta in salotto.


Un accostamento decisamente di cattivo gusto che la dice lunga di quanto siamo assuefatti alle notizie di massacri, bombardamenti, morti, ecc.  Sono convinta che nel "cuore" di Beirut, non siamo a Gaza, probabilmente esistono salotti simili con prodotti disegnati dalla marca italiana in questione. E anche gli occupanti di questi salotti potevano forse praticare il joyful living prima delle "operazioni" di Israele (da notare il linguaggio rispettoso del Corsera).