Sette Anni in ....Argentina, il Tibet e` sulla Cordigliera delle Ande

Uspallata (Argentina) – 21 maggio 2018
   Mi ricordo ancora quando dopo aver visto Sette Anni in Tibet, il capolavoro di Jean-Jacques Annaud, mi e` venuta voglia di andare a scoprire le immense montagne dell`Himalaya. Une delle mie preferite regioni in India è appunto il Ladakh, il 'piccolo Tibet', la zona a maggioranza buddista inaccessibile per molti mesi all`anno e una vera e propria sfida per chi soffre di altitudine. Pensavo -  ingenuamente - che gli aspri paesaggi del Ladakh fossero davvero unici al mondo.

   Invece assolutamente no. Sulla cordigliera della Ande, esattamente sotto l`Aconcagua, al confine tra Argentina e Cile, c`è una copia esatta del Ladakh, senza ovviamente i `gompa`, le prayer flags colorate e gli yak, particolare non del tutto trascurabile.
   Tant`è che – è stata la mia scioccante scoperta – la maggior parte delle riprese di `Sette Anni in Tibet` sono state girate sulle Ande e in particolare nei dintorni di Uspallata, una cittadina sulla strada per il Cile, famosa in passato per le miniere degli inglesi e ora punto di partenza di diversi trekking sull`Aconcagua. A Uspallata, fino a 30 anni fa, passava anche un trenino, il Ferrocarril Trasandino, che collegava Mendoza a Los Andes in Cile. Parte della ferrovia è ancora visibile lungo il passo di confine, anche se è quasi completamente danneggiata.

    Ho letto che ben il 70% delle scene del film con Brad Pitt sono state girate nelle montagne di calcare e arenaria giallo-viola intorno a Uspallata. Le riprese avvenute alla fine del 1996 sono durate tre mesi e, come si può immaginare, la piccola e sonnacchiosa cittadina è stata completamente invasa dal circo di Hollywood. Per l`occasione sono stati anche portati degli yak dalla California, che poi sono finiti negli zoo dell`Argentina. Il regista Annaud ha detto in una intervista che tuttavia nel film che uno spezzone di Tibet c`è, di qualche minuto, girato in gran segreto alle autorita` cinesi.  .
    Basta uscire dal centro abitato per rendersi conto della somiglianza con il Ladakh. Ho fatto un trekking di un giorno verso una collina chiamata `Cerro de Los Siete Colores`, la cui roccia è multicolore per la presenza di minerali e magma uscito dalle eruzioni di chissà quanti anni fa. Il paesaggio è secco come una tundra, le rocce si sgretolano sotto i piedi e il sole scotta. Qua e la` ci sono cactus e cespugli profumati, di un tipo che sull`Himalaya non c`e`. A differenza del Tibet l`altitudine è qui di appena 2000 metri.. Per trovare un simile paesaggio in Ladakh bisogna salire a 4-5 mila metri, con evidenti difficoltà logistiche se si vuole girare un film.

    Ma penso che la decisione di `creare` il Tibet in Argentina, dall`altra parte del mondo, sia stata dettata anche dalla difficoltà di ottenere i permessi in India (o peggio ancora in Cina). A tutt`oggi il governo di New Delhi è molto restio a dare il visto a documentaristi o registi nelle zone di confine.
   La mia passeggiata in `Ladakh` è terminata nella zona archeologica del cerro di Tunduqueral, dove ci sono delle iscrizioni rupestri di una popolazione indigena risalenti a prima della conquista spagnola.
    A  circa 70 km verso il confine con il Cile ho poi fatto sosta al Parco nazionale dell`Aconcagua, che con quasi 7 mila metri , è la cima più alta delle Ande. Anche qui il paesaggio è desertico e molto simile dal punto di vista geologico all`altipiano tibetano, ma senza i monaci del Dalai Lama, quindi molto meno fascinoso. Devo confessare che questa parte della Cordigliera, quella centrale, è abbastanza deludente, non c`è nulla di andino, manco un lama (intendo l`animale...). 
     Dopo il passo (Paso de Los Libertadores, 3200 metri), e il tunnel del Cristo Redentore, che segna il confine con il Cile, la strada si snoda in una impressionante spirale, con una trentina di tornanti a U. A vederla fa paura, ma a percorrerla non è così difficile, ovviamente in buone condizioni meteorologiche. Se c`è neve il passo viene chiuso.
    Il Cile è così stretto che appena scesi dalla Cordigliera si arriva in un paio di ore sulla costa del Pacifico. Si è gia` nel distretto di Valparaiso, il porto amato da Pablo Neruda. Sarà la mia fertile immaginazione, ma mentre scendevo con la moto sul lato cileno mi sembrava di sentire già l`aria umida e molle dell`oceano.

FAKE NEWS/Quando i giornalisti diventano `fact checker`

Gran Canaria, 5 maggio 2018

    Ho appena concluso un corso on line gratuito sulle `fake news` messo a disposizione dal Knight Center for Journalism in the Americas (Universita` del Texas), una fondazione statunitense che si occupa di promuovere eccellenze nel giornalismo, in particolare digitale. Il corso si intitola "Trust and Verification in the Age of Misinformation" (questo il link) ed e` tenuto da un `cacciatore` di fake news che si chiama Craig Silverman, che lavora per BuzzFeed News, sito di informazione americano che vende contenuti alle piattaforme. E` l`uomo del momento in  materia di `fact checking` e `debunking`, due attivita` che stanno andando per la maggiore negli ultimi tempi, soprattutto negli Stati Uniti.
    Le `fake news`, salite alla ribalta dell`attenzione con la presidenza Trump, sono al centro del dibattito sui media negli Usa oltre a essere una reale minaccia alla democrazia, come si e` visto nella campagna elettorale e anche recentemente con lo scandalo di Cambridge Analityca/Facebook.
    Quindi negli Stati Uniti se ne fa un gran parlare e si cerca anche di correre ai ripari creando nuove figure professionali, i `fact checkers` come Silverman, che passa le proprie giornate al desk a spulciare foto, video e website e a cercare i falsi account sui Facebook e Twitter.
    L`oggetto del corso era infatti di dare ai giornalisti degli strumenti (open source e perfettamente legali)  per controllare l`autenticita` di tutta la marea di informazioni che passano sullo schermo. Sono tools usati anche per fare investigazioni private. Si tratta di verificare l`identita` di nomi o indirizzi mail sul web, soprattutto Facebook o Twitter, vedere cosa e come postano, smascherare bot e algoritmi.  Tra i suggerimenti ci sono Inteltecnique.com, Peekyou, Webmii e altri dedicati a Twitter o Linkedin. Li ho provati, ma ho riscontrato grossi limiti, primo bisogna essere iscritti a Facebook e secondo sono efficaci per lo piu` per ricerche di gente che vive negli Usa.  Molti poi sono a pagamento, quindi e` gia` nato un businss intiorno alla fake news.
    Altri strumenti sono invece dedicati a controllare se foto o video sono stati truccati o manipolati. Per esempio una extension di Google Chrome, InVid, offre tutti i tools su una piattaforma per risalire all`originale di una foto o vedere dove o quando e` stata pubblicata .
   Una altra extension di Chrome, CrowdTangle, permette invece di vedere da chi e quante volte una pagina e` stata condivisa su Facebook.
    Insomma il corso e` stato utilissimo perche` mi ha aperto gli occhi su una realta` che finora avevo solo osservato da lontano, come se non mi appartenesse.  In Italia poi non ci si pone manco il problema, i media italiani sono sempre piu` ripiegati su se stessi a causa della crisi e delle redazioni che sono sottodimensionate. Allo  Spiegel hanno una redazione di 70 `fact checkers` (leggi qui), noi non abbiamo manco piu` i correttori di bozze.
   Se e` stato utile per aggiornarmi su cosa succede nel mondo del giornalismo, d`altro canto mi sono speventata a pensare alle conseguenze di questo nuovo ruolo della stampa. Nel caos generale dei social media, fake news, propaganda politica, bot, hacker russi, ecc, c`e` piu` che mai bisogno di recuperare i `sani` valori del giornalismo e di riallacciare un rapporto di fiducia con i lettori che oggi vanno su Facebook a informarsi.
   Questo percorso di recupero della `funzione` giornalistica passa sostanzialmente attraverso il `fact cheking`.  Il giornalista e` oggi chiamato a `rovistare` dentro la melma del web e cercare di capire cosa e` vero e cosa e` `fake`.  Ecco un esempio di lavoro che Craig Silverman fa nella sua redazione (leggi qui)
   Un giornalista oggigiorno e` quindi colui che mette i bollini rossi o verde, falso o vero, su notizie che circolano sul web. Un lavoro immane tra l`altro data la vastita`di pagine c he ogni secondo vengono caricate in rete. Certo ci vuole qualcuno che mette ordine al caos e che - in teoria - sia qualificato a farlo (un giornalista appunto che ossrve un codice deontologico) , pero` se questo e` il futuro della professione sono molto perplessa e soprattutto non sono pronta a trasformarmi in una `fact checker`.