Non solo Indie 5 - Thailandia, i connazionali di Koh Yao Noi

    Mi era capitato nella finale dei Mondiali del 2006 di essere a Leh, in Ladakh, a 3.500 metri di quota e di ritrovarmi a fare festa con gli unici 4 o 5 italiani presenti.       
   Questa volta invece la finale degli Europei l'ho vista nell'isoletta di Koh Yao Noi. A ormai notte fonda, quando tutti i 3 mila isolani dormivano gia'  sonni profondi , l'appuntamento era davanti all'unica televisione accesa in un baretto sulla strada che era anche la camera da letto della coppia di proprietari. Sull'isola c'erano al momento quattro italiani, ma all'1,45 (il fuso orario...) siamo sopravissuti solo in due, io e Grabriele, un esperto viaggiatore solitario come me.  Oltre ai proprietari del locale, c'erano altri due o tre isolani sonnambuli e amanti del calcio.
    Il segnale ogni tanto si indeboliva, ma qualcuno si alzava e andava fuori a toccare qualche cavo. Il telecronista thailandese  metteva l'accento al fondo dei nomi dei giocatori e non pronunciava le erre con effetto comico.
     La partita e' andata come e' andata. Dopo i primi due goal, il piu' anziano se n'e' andato rivolgendoci uno sguardo di compassione. Si sa che per i thailandesi fare brutta figura e' la peggiore cosa che possa capitare.
    Dicevo prima dei quattro italiani su Koh Yao Noi. Gli altri due sono ''residenti''. Una e' Manuela,  la proprietaria del Sebai Corner,  splendido angolo intatto di giungla, che e' sposata con un thailandese e ha messo da tempo le radici (e figli) in questa isola. E' come stare in un ''resort'' al costo di una pensione low cost. I bungalow in legno di tek sono fantastici (io stavo in quello della foto qui sopra), cosi' come lo sono la veranda sulla baietta omonima di Sebai e il ristorantino. Manuela gestisce perfettamente il locale, uno dei superstiti della mia Lonely Planet di annata 1999. In piu' cerca anche di fare qualcosa per l'ambiente, per esempio usare bottiglie di vetro per l'acqua.
E' lei che mi ha parlato dello sfruttamento irresponsabile dei resort che spianano la giungla, la rimpiazzano con verde artificiale e in piu' sfruttano anche la manodopera a basso prezzo birmana. E poi mettono l'etichetta ''eco resort''. Di Manuela parla anche un curioso libro reportage ''Farfalle sul Mekong" del giornalista Corrado Ruggeri (1994), anche questo ormai archeologia turistica. Dice che il Sebai Corner era accessibile soltanto da una strada sterrata! Ora e' circondato da lussuosi resort e ristoranti chic gestiti quasi tutti da stranieri.
L'altro italiano, invece e' piu' giovane sia di eta' che di esperienza. Romano Frosio,  un biondo trentenne, e' arrivato tre anni fa e ha aperto La Luna, trattoria italiana con forno a legna a qualche chilometro dal Sebai Corner, diventata ovviamente la piu' apprezzata e gettonata dell'isola. Capelli lunghi e stile alla Di Caprio (The Beach), si muove perfettamente a suo agio tra i thailandesi. Lascia intendere che ha deciso di mollare tutto e cambiare radicalmente vita. La sua e' una sfida insomma che tanti italiani forse vorrebbero fare e non hanno il coraggio. E lo ha fatto da solo, senza aiuto, forte soltanto della sua esperienza maturata in altri locali in India e Thailandia come dipendente. Quando l'ho incontrato stava mettendo in sesto il locale, chiuso per ferie (adesso e' bassa stagione). Mi ha parlato di come si e' innamorato della Thailandia, quando a 16 anni e' sbarcato a Ao Nang, la spiaggia di Krabi, a un'ora da Koh Yao Noi.
Anche lui come Manuela conservano ricordi nostalgici di posti bucolici in Thailandia che non esistono piu' per l'invasione del turismo di massa, del cemento e dell'industria del divertimento. Per quello forse entrambi hanno scelto Koh Yao Noi, ultimo paradiso tropicale al riparo da bordelli e dagli pseudo eco-resort.

Non solo Indie 4 - Thailandia, il paradiso di Koh Yao Noi

Se non vi interessano i famigerati bordelli tailandesi, Koh Yao Noi e' l'isola che fa per voi. Ci sono arrivata per caso, perche' sono diretta a Krabi, il paradiso dell'arrampicata sul mar delle Andamane (costa ovest) e se ci vai via mare, e' esattamente a meta' strada.
Prendendo una long tail boat (le tipiche barche dalla ''lunga coda'' e con una elica del motore esterna quasi orizzontale) si arrivava a Koh Yao Noi in un'ora dal Phuket (Bang Roh Pier) e dopo una breve sosta alla gemella Koh Yao Yai.
Siccome ho caricato in barca anche lo scooter e' stato facile esplorare subito l'isola. Il giro completo, una ventina di chilometri, non e' possibile perche' l'estremita' settentrionale e' un promontorio roccioso tipico della baia di Phang Nga. In pratica qui le isole sono degli spuntoni di roccia con un pezzetto di jungla, una spiaggetta e spesso una laguna al centro. Dei micro paradisi tropicali insomma, come l'isolotto di Koh Du Yai nella foto.  Uno di questi ''faraglioni'' e' famoso come ''James Bond Island" per un film del 1974, l'Uomo dalla Pistola d'Oro, della famosa serie dell'agente segreto di Sua Maesta'. Un'altra isola Phi Phi, e' invece arcinota per ''The Beach'' con Di Caprio, oltre che per le vittime del disastroso tsunami del dicembre 2006.
Entrambe le destinazioni sono diventate troppo di moda per i miei gusti e quindi le ho evitate.
Koh Yao Noi, invece, e' rimasta abbastanza integra, nel senso che il turismo e' rimasta un'attivita' marginale rispetto all'economia dell'isola fatta di alberi di caucciu' (gomma) e di pesca dei granchi. Ci sono resort, ma molto discreti. L'isola e' mussulmana, 3 mila abitanti, e quindi non c'e' una vita notturna tipica di Phuket. In questo periodo di ''bassa stagione'', con monsone di sud est che rende il cielo meno blu' e il mare meno limpido, non c'e' quasi nessun turista. Pace e tranquillita' assoluta.
Cose da fare? Camminate nella giungla tra le piantagioni di caucciu' e l'odore forte del lattice che viene pressato in specie di tappetini. Nuotate al largo, meduse permettendo, in un mare quasi sempre piatto (niente snorkelling pero'). E escursioni in kayak nelle isolette vicino alla scoperta di spiagge bianche e anfratti rocciosi nascosti dove riposare osservando martin pescatori e pesci volanti....

Non solo Indie 3 - Thailandia, velisti per caso alla YachtPro

    Ho fatto un corso di vela nella scuola piu' ''vicina'' all'India tra quelle affiliate al circuito Issa (International Sailing School Association, un'associazione internazionale no profit che dovrebbe garantire un minimo di professionalita'). La scuola di chiama YachtPro ed e' situata in una insenatura di Phuket dove c'e' un porticciolo turistico chiamato Yacht Haven Marina, vicino all'aeroporto. E' stata fondata parecchi anni fa da un australiano, Rob Williams, ora un po' fuori forma fisicamente, e oltre a offrire corsi organizza charter con barche francesi di medio taglio Beneteau tra le isole.
    Il corso di base per principianti di tre giorni costa circa 500 euro. Nel tariffario e' previsto per due studenti, ma siccome non c'e' nessuno ora, mi e' stato fatto lo stesso prezzo anche se ero da sola.
La scuola e' considerata buona, anche se cara. Ma per quanto mi riguarda non hanno fatto per nulla una buona impressione. Ci sono pero' almeno tre premesse:
    1 La vela e' considerata come uno sport d'elite e quindi e' purtroppo circondata da un ambiente di buzzurri arricchiti. Invece dovrebbe essere accessibile a tutti e diffusa soprattutto nei posti di mare, a partire dai bambini
    2 Come altri sport che richiedono un alto grado di capacita' tecniche e attrezzatura specifica, tipo l'alpinismo, e' monopolizzata da ''addetti al mestiere'' di solito poco comunicativi che difficilmente scendono dal loro piedistallo per far partecipi i ''comuni mortali'' delle loro presunte (o reali) conoscenze.
    3 La supponenza e l'arroganza di questi ''stregoni'' di fiocchi, rande e scotte si unisce al ''celodurismo'' maschile. Il mondo degli skipper e' ancora molto ''macho'', come quello dei motori o forse anche di piu'. Decisamente una donna al timone e' piu' sospettosa che una donna al volante.
    I tre punti elencati sopra hanno fatto si' che i super skipper della Yackt Pro, di sicuro gente frustrata perche' gli tocca veleggiare a Phi Phi Island invece che doppiare capo Horn, mi abbiamo trattato come una povera pazza in menopausa che voleva apprendere la vela invece di starsene sul lettino a sdraio di un resort.
    Quindi mi hanno dato uno ''pseudo istruttore'' americano appena arrivato, che ne sapeva meno di me, e che non conosceva affatto la barca e neppure la baietta dove fare lezione. Risultato: durante la bassa marea del mattino ci siamo incagliati per ben due volte in due giorni in una zona di secche non segnalata, perdendo un sacco di tempo. Mentre la prima volta ci siamo disincagliati perche' la marea saliva, la seconda volta e' intervenuto lo skipper ''vero'', un inglese, che all'inizio del corso mi aveva affidato al suo aiutante non volendo perdere ovviamente il suo tempo prezioso con me nonostante la ''barca di soldi'' che gli ho dato. Mostrando la sicurezza tipica del ''celodurista'' ha ammainato le vele e poi ha cercato di inclinare la barca salendo sul boma di traverso. Ma non e' servito a nulla e quindi ha poi chiamato un canotto dal porticciolo che ci ha agevolmente portato fuori dalle secche.
    Dopo questa disavventura, forse preso da vergogna per tanta incompetenza, il terzo e ultimo giorno del corso si e' presentato lui stesso, lo skipper numero uno. Tutto e' filato liscio e io finalmente ho imparato qualcosa. Anche se, va aggiunto, ha tenuto le vele accorciate con  due mani di terzarolo, nonostante la brezza leggera, per non faticare troppo. E forse anche perche' la barca, una Swarbrich S-80 vecchia di una ventina di anni se va bene e veramente maltenuta, forse non avrebbe retto. Mentre le altre barche ormeggiate con la scritta YachPro, usate per i charter, erano in condizioni perfette e - con con cime morbide che non ti spellavano le mani - l'S80 che hanno usato per me, era in condizioni scandalose anche ai miei occhi di novizia del mare. Nel secondo giorno del corso lo pseudo istruttore ha tagliato con un coltello un garroccio della randa perche' rimaneva ''bloccato'', gli strozzascotte erano rigidissimi e le cime ormai consumate.
    Insomma, la sensazione e' che YachtPro sia una buona scuola, ma di sicuro a me hanno riservato un trattamento pessimo. Perche'? Forse ero da sola, forse ero donna o semplicemente non ero da prendere in considerazione visto che neppure sapevo cosa era il jib (fiocco) o il tacking (virare) dato che ero all'oscuro dei termini nautici in inglese. Ma mi e' bastata una sera per memorizzare le parti della barca, vela, manovre e andature. Purtroppo per loro.

Non solo Indie 2 - Thailandia, tesori nascosti di Phuket

Ho scoperto un nuovo passatempo che volendo puo' diventare anche un ramo dell'antropologia culturale. E' l'archeologia turistica. Si prende una Lonely Planet vecchia di 10 o 20 anni e poi si va a vedere quello che e' rimasto. Alla scoperta delle civilta' perdute nel cemento, confini chiusi da guerre, autostrade al posto di sentieri di campagna e ex jungle trasformate in resort.
La mia Lonely della Thailandia e' del 1999, fine millennio, e' utile per gli storici. Ma - e qui e' il bello - qualcosa rimane. E in quel caso allora e' davvero una scoperta della Shangri-La' perduta. Devo ammettere che in India, dove tutto va piu' piano, non c'e' poi una grande differenza a viaggiare con guide vecchie di decenni, spesso neppure i prezzi cambiano. Ma per Phuket il 99% e' storia.
Cercando con il lumicino, ho trovato pero' la chicca. E'  Ao-Sane, una manciata di vecchi bungalow su una spiaggetta minuscola, molto ''vintage'' si direbbe. I bungalow sono pieni di termiti, con tubature che perdono e le pareti scrostate (foto).
Ma il posto e' magico. E' al fondo della spiaggia di Nai Harn (o Nai Han), quella dove c'e' un grande monastero buddista, la piu' bella di Phuket. Non e' facile arrivarci. La strada entra dentro un lussuoso resort, Le Royal Meridien Phuket Yacht Club, ci  passa letteralmente sotto dalla parte delle cucine e poi dopo 100 metri sbuca fuori con i portieri in livrea che ti salutono. Ancora 300 metri di stradina in salita e poi si arriva nella baietta di Ao-Sane.
Ovviamente nessuno ci penserebbe mai ad attraversare il resort (anche se la Lonely lo dice) e quindi e' una perla nascosta. Adesso e' bassa stagione e io ero da sola. Dopo la spiaggetta ci sono altri bungalow piu' nuovi e un sacco di rocce pieni di coralli. Un acquario davanti a casa, insomma, dove ogni mattina in apnea e con la maschera mi divertivo a inseguire pesci palla e pesci pappagallo.

Non solo Indie 1 - Thailandia, ma ce l'hanno con gli indiani?


     Sono sempre un po' restia ad andare nel Sud Est asiatico per via del massiccio sviluppo di quelle che un po' di tempo fa erano definito le ''Tigri asiatiche'' e anche - lo ammetto - perche' conosco poco o nulla di quelle civilta'. Spinta dall'insano desiderio di darmi alla vela, sono venuta in Thailandia. 
    Vedere Bangkok e' per me immaginare New Delhi come lo sara' tra una decina d'anni o forse piu' (dipende dalla politica di Sonia Gandhi) meno i bordelli naturalmente. Non penso infatti che l'India diventera'  mai una destinazione per il turismo sessuale.

In attesa di un bus per le isole meridionali, ho alloggiato nel ''ghetto'' dei turisti fai-da-te di Khao San, nella parte storica e anche la piu' divertente, oltre che comoda. Orde di ragazzi stranieri, soprattutto anglosassoni, qualche francese e italiano. A un certo punto ho visto anche un gruppo di giovani indiani e qui ho assistito a una scena sorprendente di intolleranza, abbastanza rara per gli standard asiatici.          
   Avevo appena ordinato un involtino primavera in una bancarella quando si e' avvicinato un gruppo di indiani. ''It is veg? '' ha chiesto una ragazza indicando un vassoio con gli involtini. ''Yes'' ha detto il venditore. La ragazza lo ha guardato sospettosa e poi ha di nuovo indicato l'involtino. ''No meat inside, are you sure?'' ha chiesto con un tono spocchioso che ha visibilmente irritato l'ambulante. Il quale le ha risposto secco con il poco che sapeva d'inglese: ''There is beef...''. Come se avesse visto il diavolo in persona, la ragazza ha fatto un passo indietro ed e' corsa via spaventata. Ho guardato il negoziante che mi ha fatto un sorriso birichino e poi mi ha detto: ''dont worry, only veg...''.
     Mi sono quindi chiesta quale reputazione godano gli indiani in Asia. Per esempio qui i cinesi sono perfettamente integrati, almeno sembra, a tal punto che hanno colonizzato parte del Paese. Forse perche' gli indiani non hanno occhi a mandorla? Non sono buddisti? Ho la netta sensazione che siano meno tollerati degli stranieri....


''Dada'' Pranab sale al Rashtrapati Bhawan, grazie a Sonia

Se c'era ancora bisogno di una prova che Sonia Gandhi, la leader del partito indiano del Congresso e' ancora saldamente in sella, ebbene questa e' arrivata dalla scelta di Pranab Mukherjee come prossimo presidente della Repubblica indiana. La carica e' altamente simbolica, ancora di piu' di quanto non lo sia nell'ordinamento italiano. In cinque anni di mandato, l'attuale presidente Pratibha Patil, prima donna a capo dello Stato indiano, raramente si e' fatta sentire dal suo domicilio dorato del Rashtrapati Bhawan, il maestoso ''campidoglio'' circondato da un immenso parco che domina il quartiere ex britannico di New Delhi. Forse e' anche per questo basso profilo che la Gandhi non l'ha riproposta.
   Ha invece tirato fuori dal cilindro il nome del 76enne Mukheerjee, ministro delle Finanze e fino al 2008 ministro degli Esteri, suo braccio destro, ''pompiere'' nelle crisi politiche e anche dato - a un certo punto - come candidato premier nelle elezioni del 2014. Ma il destino ha riservato a ''Dada'' (zio paterno in hindi) come lo chiamano i colleghi di partito un posto meno impegnativo in cui potra' godersi la fine della sua lunghissima carriera, iniziata a fianco di Indira Gandhi.
   Per imporre il suo nome, Sonia si e' battuta come una leonessa e alla fine l'ha spuntata sugli alleati ribelli. Non e' riuscita a piegare soltanto la solita ''bastian contraria'' di Mamata Banerjee, la leader dei contadini di Calcutta e fustigatrice dei comunisti bengalesi. Didi (sorella maggiore)  ha puntato i piedi e ha detto di no a Dada.
   Ma sembra che Pranab abbia comunque i voti (parlamentari nazionali piu' quelli degli Stati) per essere eletto il 19 luglio.
   Dopo una giornata di consultazioni, con ''macchine blu''' che andavano avanti e indietro da una sede di un partito all'altra,  una Sonia visibilmente soddisfatta ha annunciato il candidato Mukherjee che si vedeva che era al settimo cielo. A fianco il solito inespressivo Manmohan Singh, che domani parte al lavoro per l'America Latina (G20 e Rio+20) e  a cui adesso tocca anche il compito di occuparsi del ministero delle Finanze - poltrona bollente di questi tempi -  in attesa di trovare un sostituto.

Tesori nascosti di Delhi, la moschea Khirki

   New Delhi continua a stupirmi anche dopo tanto tempo. La zona di Saket, a sud, e' diventata popolare soprattutto per il primo shopping mall, Citywalk, a cui se ne sono aggiunti altri tutti attaccati con cinema, ristoranti, alberghi e disco bar. Insomma un quartiere del divertimento affollato dalla middle class. Al sabato e domenica c'e' un vero e proprio assalto.
   Ecco, proprio davanti a Citywalk c'e' un villaggio che si chiama Khirki e che faceva parte della citta' di Jahanpanah, quarta citta' di Delhi (ce ne sono sette) fondata nel XIVsecolo dalla nevrotica e combattiva dinastia persiana dei Tughlaq che poi hanno costruito anche la ''quinta citta''' di Tughlaqabad per poi abbandonare anche questa in pochi anni.

   Mentre di Tughlaqabad rimane ancora un imponente forte (sulla strada verso Badarpur), di Jahanpanah (''rifugio del mondo'' in persiano) non c'e' piu' nulla. O quasi. Ci sono delle mura che si vedono andando allo shopping mall e appunto nel villaggio di Kirki una straordinaria moschea che sembra un fortino. E la moschea di Khirki appunto (khirki e' finestra). Per fortuna e' in buono stato anche se e' completamente circondata da costruzioni. Si respira una forte aria mediovale all'interno, con lunghi colonnati e archi gotici (VEDI FOTO)  che sorreggono una serie di cupole. C'e' un cortile interno aperto, molto strano per un luogo di preghiera. Se si sale sul tetto, l'effetto e' ancora piu' intrigante tra le ''bolle'' delle cupole.
La mia scoperta non e' casuale. Sono debitrice di un libro di Swapna Liddle, studiosa che organizza le camminate alla scoperta dei monumenti per conto dell'associazione Intach che si occupa di recupero del patrimonio storico.
Il libro che si intitola semplicemente ''Delhi, 14 Historic Walks'' mi ha fatto pensare che sarebbe bello avere una guida di Delhi che unisca queste informazioni storiche e tutti gli altri 'tesori nascosti'' della citta' ad uso dei turisti che vedono Delhi sono come un punto di arrivo e partenza per i viaggi in India. Ci pensero' e il blog potrebbe aiutarmi.

India, forse e' ora di mettere Standard & Poor's nella spazzatura

Guarda caso mentre ieri stavo scrivendo di ''elefante'' caduto, l'agenzia di rating Standard & Poor's pubblicava un rapporto allarmante sull'India ''primo angelo caduto del BRICS'' con beneficio di punto interrogativo. In gergo della finanza americana, gli angeli caduti sono coloro che finiscono nel rating ''spazzatura''.  Il che equivale agli intoccabili per fare un paragone indiano.
Ad appena due mesi dall'ultimo declassamento, i soloni di S&P minacciano l'India di ridurre i suoi titoli di stato a junk bonds con motivazioni piu' politiche che economiche. Accusano infatti il governo indiano di essere guidato da un ''tecnico'', Manmohan Singh, che ha pochi margini di  manovra a causa dell'influenza di Sonia Gandhi, leader della coalizione di maggioranza. La barca indiana non e' solo nel mezzo di una tempesta, quella  causata dall'Eurozona, ma e' anche senza timoniere. Questo il succo dei cervelloni di S&P.
Il giudizio ha scatenato oggi un vespaio di polemiche su televisioni e giornali, e anche ringalluzzito l'opposizione del Bjp che guarda sempre con piu' ottimismo alle elezioni del 2014 anche se la destra indiana non ha ancora un leader sicuro.
Io sono dell'avviso che si sta esagerando. Il governo ha smentito l'allarme di caduta dal ''paradiso'' e ha accusato l'agenzia di ''poca trasparenza''.
Su questo forse ha ragione. Ci siamo forse dimenticati della crisi dei ''subprime'' del 2008 e dei rating AAA di Standard & Poor ai titoli spazzatura? Forse non dovrebbero avere neppure piu' diritto di esistere dopo quello che hanno combinato. Il fatto che stiano ancora a lanciare sentenze (e che qualcuno dia retta) la dice lunga su come il mondo della finanza non sia per nulla cambiato dopo lo shock premonitore di tre anni fa.

India, la caduta dell'elefante? Non esageriamo

Sembra che negli ultimi mesi l'elefante indiano non solo si sia stancato di correre, ma sia sprofondato in una palude dove nessuno e' in grado di tirarlo fuori. Il pil indiano e' finito sotto il 7% nell'anno fiscale finito a marzo 2012 che secondo gli standard di un'economia da 1,2 miliardi di persone, di cui un terzo in miseria, significa recessione. La produzione industriale e' scesa al 3% rispetto al 9% del 2010-2011. L'inflazione rimane alta e quindi pesa sui consumi. Per via dell'indebolimento della rupia che rende piu' care le importazioni in dollari, la benzina e' stata aumentata dell'11% con ulteriore aggravio sul caro vita. Gli investimenti stranieri stagnano, anzi sono in declino. L'aeroporto di Francoforte, che ha costruito il nuovo terminal di Delhi, chiudera' di uffici come ho letto qui.  In questo caso pero' e' la politica indiana, tra burocrazia e ritardi, a far scappare le aziende e a ''suicidare'' anche i colossi indiani (vedi India Today, ''The lost Tycoons'')
Imsomma, un po' per colpa della crisi mondiale, un po' della paralisi di questo governo del Congresso, ostaggio di rissosi alleati, il miracolo indiano si e' inceppato. Tonnellate di libri e saggi sulla futura superpotenza indiana da buttare? L'ultimo numero del settimanale Frontline ha in copertina una sentenza di morte: ''End of the Growth Story''.
Insomma che succede? Come nel 2004 quando e' iniziata l'euforia sull'elefante che danzava o volava, sui miracolo di 'Cindia' e sui sorpassi dell'India che avanzava come un martello compressore, la stampa esagera. Purtroppo i titoli dei giornali non ammettono incertezze. E' una locomotiva oppure una lumaca. Non c'e' posto per una via di mezzo. Per esempio una mite creatura come quelle mucche smunte e ossute, che sono sparite da New Delhi all'epoca dell'ottimismo sul futuro da superpotenza, che si vedevano andare piano (ma lontano) e digerire tutto quanto trovavano sulla loro strada.  

Yoga, il mio esordio alla scuola Sivananda

Non so se e' l'eta' oppure il richiamo della ''misteriosa'' India dopo dieci anni di permanenza , ma la scorsa settimana ho iniziato un corso di yoga in uno dei piu' famosi e tradizionali centri. E' il Sivananda Ashram, che ho scoperto ha sede in Canada e una grossa base a Rishikesh. A New Delhi ha uan palazzina nel quartiere di Greater Kailash frequentato quasi esclusivamente da stranieri. Il corso, prevede 8 lezioni di 90 minuti per una ''donazione'' di 3 mila rupie (circa 50 euro). Alla spesa va aggiunta quella del tappetino da yoga che io non avevo.


L'ashram e' basato su insegnamenti e tecniche diffuse dal santone Sivananda, un medico tamil fondatore di un' associazione religiosa chiamata ''Divine Life Society'', morto nel 1936 e da un altro suo ''collega''. Entrambi sono venerati e ricordati nelle preghiere all'inizio e alla fine delle lezioni. Sivananda ha scritto 200 libri su yoga ed e' un autorita' nel settore.

Mi hanno spiegato che si tratta di ''hatha yoga'', che e' la forma classica e che alterna le classiche posizioni (asana, che sono ben 84 mila) con la meditazione e respirazione (pranayama e kapalabhati). Sono quando si respira con le narici e con il diaframma che va su' e giu' a scatti. Cose che vedo fare al parco al mattino da quasi tutti i gli indiani. Non ho mai capito dove vanno gli indiani a scuola di yoga, forse nascono gia' con le dita a ''chin mudra'' (cerchio con pollice e indice che significa connessione con l'Io). In realta' sembra che ci siano solo stranieri nei vari centri.

Leggo nel manuale che ci hanno dato che gli antichi saggi hanno sviluppato un sistema per ritardare l'invecchiamento naturale del corpo e della mente per potere meglio indagare nella profondita' dell'Io. Sivananda predica cinque principi: esercizio fisico, respirazione, rilassamento, vegeratarianesimo e pensiero positivo. Io purtroppo ho sempre soltanto praticato il primo, mi mancano gli altri quattro. E' quello che sto cercando di imparare.

I misteri del Made in Italy che produce in India

Oggi mi trovavo all'ufficio dell'Ice di New Delhi per la presentazione di una famosa fiera delle calzature, Expo Riva Schuh di Riva del Garda, che si tiene il prossimo 5 luglio nel complesso espositivo del Pragati Maidan. E' il secondo anno che la societa' fieristica trentina organizza il salone con le principali marche di scarpe italiane. Sembra che qui in India gli affari vadano bene. Anzi gli organizzatori sostengono che proprio la crisi spinga sempre piu' aziende ad andare fuori dall'Italia per abbattere i costi.
   Nelle scarpe poi, come nell'abbigliamento, pare che non ci sia quasi piu' nessuno che produca in Europa.
    Alla conferenza stampa io e altri giornalisti abbiamo domandato se c'erano dei dati per quantificare il business italiano in India e il volume di affari, ma abbiamo trovato un po' di resistenza. Pare che le aziende del Made in Italy siano restie a dichiarare cosa producono qui in India o in Cina sfruttando la mano d'opera a basso costo. Ma - off the record - qualcuno poi mi ha detto che praticamente tutte le marche italiane di scarpe producono qui dove trovano pellame di alta qualita' e a prezzi convenienti.
   Stasera leggo che l'Italia e' slittata all'ottavo posto per produzione manifatturiera dopo India, Brasile e Corea del Sud. Il rapporto e' fatto dai cervelloni di Confindustria che - stupiti - denunciano la crisi del Made in Italy e lanciano un allarme per la sopravvivenza di alcuni settori.Ma guarda un po' che strano.


Finalmente la pioggia, a New Delhi si respira

Dopo un paio di settimane nella morsa di una calura opprimente con punte di 45 gradi, oggi finalmente e' arrivata la pioggia sotto forma di un tifone tropicale che ha mandato in tilt la citta'. Come sempre basta un po' di pioggia che si allagano le strade, salta la corrente, si spengono i semafori ed e' paralisi. Il vento di oggi ha poi abbattuto diverse piante e fatto cadere rami che hanno ulteriormente creato intoppi nella circolazione. Tutto da copione insomma.
Pero' e' stata una manna dal cielo che ha raffreddato la fornace e ripulito l'aria. Dopo la bufera, passando tra le strade ricoperte di rami e foglie nell'area diplomatica di Chanyakyapuri, l'aria sembrava frizzante e leggera manco fossi sotto l'Himalaya.
Sulla Ring road, l'anulare di Delhi, trasformata in un serpentone di lamiera, invece l'effetto rinfrescante era gia' esaurito.
Sara' una coincidenza, ma oggi guarda caso e' arrivato il monsone in India, facendo il suo ingresso a Trivandrum, sulla punta del Kerala. La stagione delle piogge e' ufficialmente iniziata. Da oggi il monsone salira' in su e in un paio di settimane bagnera' tutto il subcontinente.
Il monsone mi ha sempre affascinato come fenomeno metereologico, ma anche per i suoi effetti sulla vita della popolazione e sull'economia. C'e' un libro che ho amato molto e che mi ha accompagnati in diversi viaggi sotto la pioggia monsonica. E' ''Chasing the monsoon'' di Alexander Frater che e' anche un bellissimo reportage di viaggio nell'India degli anni Settanta.  

I maro' a Kochi, tra ayurveda e reti da pesca cinesi

Finalmente i maro' Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono passati dalla loro condizione di carcerati, anche se di lusso, a quella di liberta' vigilita a Kochi o Cochin, una delle perle turistiche del sud dell'India e patria della medicina ayurvedica. Si trovano nell'hotel Trident, un albergo a cinque stelle ma non sfarzoso, che si trova sull'isola-porto di Willington, tra la costa e la storica Fort Kochi.    

   Conosco bene l'hotel perche' e' stata la ''unita' di crisi''  italiana quando i due fucilieri del San Marco di Brindisi sono sbarcati dalla petroliera Enrica Lexie lo scorso 16 febbraio dopo la morte di due pescatori. Lo frequentavo ogni giorno anche se io stavo in una pensione di fianco. E' un edificio basso nela lussureggiante vegetazione keralese, pieno di zanzare e occasionalmente di comitive straniere che si fanno una brevissima tappa prima di tornare a casa o di iniziare il tour dell'India meridionale.  L'isola e' piena di container,  magazzini e uffici di import-export.  Ci sono due imbarchi, uno per andare a Ernakulam e l'altro per Fort Kochi, la parte storica e quindi turistica di Kochi con le chiese portoghesi, il quartiere ebraico e il cimitero olandese. Ci sono anche le famose ''chinese fishing nets'' , le reti da pesca manovrate da grandi argani attaccati a massi di pietra. 
   Non so se i maro' lasceranno il loro nuovo domicilio per qualche passeggiata, ma il posto e' decisamente invitante. Insomma poteva essere molto peggio.
    Nel loro primo giorno di liberta', i due militari si sono per ora limitati a godersi la piscina dell'albergo e il ristorante, in compagnia della delegazione che sta preparando la difesa del processo che si apre il 18 giugno.
    Non so se rimarranno al Trident, ma penso che la permanenza in Kerala sara' lunga e quindi avranno modo anche di esplorare i dintorni dell'albergo anche se in un raggio di 10 chilometri dal commissariato dove devono firmare ogni giorno. Tra pochi giorni poi arrivera' il monsone, in Kerala di solito molto abbondante, che dara' tregua anche alla calura. Per due mesi sara' un diluvio, le folle di turisti si diraderanno,  ma per molti e' la stagione migliore per i trattamenti ayurvedici.