DIARIO DI VIAGGIO/ Da Manali a Srinagar via Leh in 10 giorni

   Mentre in Uttarakhand, alle sorgenti del sacro Gange, c’erano migliaia di persone intrappolate dalle alluvioni e c’era un fuggi fuggi generale dalle vallate himalayane, sono partita per il Ladakh. Sono stata fortunata, perché’ come sempre dopo (e prima) la tempesta c’è sempre la quiete. Ho visto l’Himalaya in tutto il suo splendore e anche candore, giacché quest’anno è nevicato fino ad aprile e quindi erano ancora tutte incappucciate di bianco.
   Io e mia figlia abbiamo deciso di andare a Manali e poi da li’ decidere in base alla situazione meteo e i disastri creati dallo ‘tsunami himalayano’ come lo hanno soprannominato i media. E così siamo finite a Srinagar, in Kashmir ...dieci giorni dopo con una cavalcata ‘’on the road’’ fantastica di mille chilometri sulle strade – per me – più belle del mondo.
   Non mi piace andare in fretta, sono una adepta dello ‘’slow travelling’’ ma dovevamo tornare a Delhi per una certa data. Poiché tutto sommato è andata bene, siamo sopravvissute al tour de force, ci siamo divertite e abbiamo fatto una grande quantità di cose con un budget limitato, ho pensato di raccontarlo a mo’ di guida di viaggio: dal Ladakh al Kashmir – Manali-Leh-Srinagar – 900 chilometri in dieci giorni attraverso un paio di valichi di oltre 5 mila metri e altri due di oltre 4 mila metri .

Giorno 1 - Delhi - Manali    Il bus parte da Majnu Katila, la comunità tibetana a nord di Delhi. Ci siamo presentate già con scarponi, giaccone e zaino. La partenza era prevista alle 17, ma il bus è arrivato un ‘ora e mezza dopo. Giusto il tempo per un piatto di momo, tanto per familiarizzare un po’ con il cibo che si mangerà nei prossimi giorni e una girata alle ruote delle preghiere, che porta sempre bene.

Giorno 2 - Manali
    Il bus, uno ‘’semi sleeper’’ (vuol dire che si abbassano le poltrone) era comodo, e come sempre gli stranieri sono privilegiati, li mettono ai primi posti dove si può allungare le gambe. In piu’ avevo anche il diritto a caricare il telefonino nel cruscotto dell’autista. Siamo arrivate alle sette e ci ha subito aggredito la calca di Manali, che purtroppo a questa stagione di ferie indiane è piu’ trafficata (e inquinata) di Delhi. Manali deve il suo nome a Manu, il ‘’Noè indiano’’ che sarebbe sbarcato proprio qui durante il Diluvio Universale.
A piedi abbiamo fatto, dribblando il traffico, quattro chilometri, fino a salire al villaggio di Vashisth, un gioiellino che per fortuna e’ rimasto (quasi) intatto allo sviluppo edilizio.

Giorno 3 Vashisth
   Uno delle chicche di Vashisht sono le acque termali che sgorgano dentro un vecchio tempio. I residenti, in due separati locali, li usano per lavarsi. Ma l’acqua è così calda che non ci si può immergersi!  La vita qui scorre calma, tra mucche al pascolo e i contadini che sono impegnati con la mietitura, in questa stagione. Le stoppie poi le devono schiacciare per sistemarle nel fienile. Alcuni li mettono sull’asfalto, dove lasciano alle macchine e camion il lavoro. A qualche chilometro c’è anche una cascata, con un sentiero in mezzo a una pineta, posti carini, dove prendere un chai. E’ perfetto insomma. Alloggiamo in una bella guest house, View Valley, a 600 rupie.
Facciamo anche un fuori programma, in moto, a Naggar, a circa trenta chilometri, dove visse il famoso pittore russo Nicholas Roerich.
Alla sera si va a trovare Rosalba che ha un ristorante all’ingresso del Paese e che è la madre di un campione di bob. Una storia incredibile che avevo scritto per l’ANSA (vedi qui)

Giorno 4 - Manali- Leh    L’idea iniziale era di andarci in Royal Enfield, una cosa molto ‘’macho’’, ma poi non sono riuscita a trovare delle moto. Sembra che quest’anno tutti vadano con la Enfield in Ladakh. Ovviamente per me che sono da sola, donna (quindi inaffidabile secondo la maggior parte degli affittamoto) e per di più con una figlia appresso, non c’era nulla a parte qualche ferrovecchio, La risposta piu’ gentile è stata ‘’perché non affitti uno ‘’scooty’’ per andare a fare in giro qui intorno’’. Quindi non rimaneva che il pulmino. I prezzi sono alle stelle quest’anno, 2000 rupie a testa, ma sono 500 chilometri di una delle strade più avventurose del mondo. Si parte alle due di notte e all’alba si scende dal Rohtang Pass (3.980 metri), poi c’è il Baracha-La a 5.300 metri e 18 chilometri di serpentina. Un altipiano deserto di 40 chilometri che sembra di essere sulla luna e poi il Tanglang-La (5.328 metri). Raccattiamo anche due ragazzi che hanno rotto la moto e che si siedono per terra tra i sedili. Al tramonto, dopo sedici ore, un’infinita serie di soste e un forte mal di testa, si intravedono i primi segni di presenza umana alla fine di un canyon che sbuca nella valle dell’Indo. Leh e’ vicina. E’ fatta. La tensione si scioglie e a bordo tutti applaudono.

Giorno 5 – Leh    Purtroppo Leh sta diventando una metropoli e non ci si può fare nulla. Io me la ricordo la prima volta che ci sono stata nel 2006. Stiamo a Changspa, che e’ il ghetto turistico, affollato, ma pieno di comodità. Stiamo in una delle tante guesthouse a conduzione familiare in una casa con il giardino, nella camera più bella, tutta vetri, piena di tappeti e l’arredo tibetano. Si visita Shani Stupa, il palazzo reale e più in alto il mitico Tzemo, il vecchio castello sul cucuzzolo. C’è un ingresso di 40 rupie per entrare e fare il giro nella balconata piena di bandierine colorate tibetane. Ci arriviamo in modo anomalo dal retro trascinando le bici che abbiamo affittato. Da lì si scende a rotta di collo fino al vecchio bazar dove – per fortuna – ancora è tutto intatto comprese le trattorie dove mangiare momo o tupka, zuppa di noodles.

Giorno 6 - Leh- Spituk
    Affitto una Pulsar e vado un po’ a zonzo lungo l’Indo per impratichirmi un po’ e poi perché è tutto in piano. Passando per una stradina lungo risaie e totem di sabbia arrivo alla gompa di Spituk che è quella più vicina a Leh.

Giorno 7 - Leh – Lamayuru    Si parte in moto con l’idea di fare tutti i 500 chilometri della Leh-Srinagar, ma i ladakhi non accettano che io lasci la moto in Kashmir, e quindi la dovrò lasciare a Lamayuru, che secondo me è uno dei più belli tra i monasteri del Ladakh. Ci si arriva seguendo l’Indo che è di un azzurro pastello e dove ogni tanto, si vedono dei gommoni da rafting. Ci fermiamo in un’insenatura, vorrei fare il bagno, ma è ghiacciato...
A metà strada c’è Alchi, che e’ l’unico monastero in basso e anche quello più antico e con più affreschi. Sembra ormai un museo più che un monastero.

Giorno 8 – Lamayuru
    Purtroppo i segni dell’alluvione dell’agosto 2010 sono ancora molto visibili. Parte del villaggio sembra essere stato spazzato via da frane. Hanno piantato alcuni alberi per trattenere il terreno. Intorno a Lamayuru c’e’ un deserto dai colori ocra e le rocce appuntite che si chiama ‘’Moonland’’ e che era probabilmente un lago.
    E’ appena terminato un festival e tutto il Paese è pieno di bandierine. C’è una lotteria su un campetto sportivo, sembra che tuttala vallata si sia radunata qui. Ho l’occasione di vedere i vestiti tradizionali, le palandrane lunghe con degli scialli di pelo di yak e gli ornamenti di turchesi e corallo. Stiamo in una gest-house, Temple View, che è ormai a pezzi. Me la ricordavo meglio, ma non ci sono molti posti dove dormire. C’è internet, anche, in una specie di sgabuzzino dove c’è un gigantesco server e ogni tipo di cianfrusaglie. Tutti gli stranieri di Lamayuru sono qui con I-pad e telefonini

Giorno 9 – Lamayuru-Srinagar    Il bus per Srinagar (12 ore) passa alle 17,ma non lo prendiamo perché’ costa troppo. Prendiamo un passaggio da un pulmino fino a Kargil attraverso il Fotu-La ( 4.108 metri) che poi mi fa pagare e quindi tanto valeva. Viaggiamo di notte in una strada, forse peggiore della Manali-Leh che attraverso il Zoji-La (3.528) . Nel dormiveglia su un bus scassatissimo che salta come un cavallo imbizzarrito, vedo che ci sono due costoni di ghiaccio. Drass è il posto più freddo dell’India. All’alba siamo ormai in Kashmir, è di nuovo verde e compaiono delle case. Srinagar è blindata dall’ennesimo sciopero dei separatisti e poi perché’ arriva il premier Manmohan Singh e la leader del Congresso Sonia Gandhi.

Giorno 10 – Srinagar
   Alloggiamo in una catapecchia allucinante, a Dal Gate, dove ci sono le houseboat, che sembra che venga giù da un momento all’altro. Il prezzo, 200 rupie è allettante e poi i fratelli che la gestiscono sono simpaticissimi. il ‘’roof top’’ è indescrivibile praticamente un sottotetto e ci si arriva su delle assi pericolanti. Il tetto del bagno è sfondato.
Incontro un giovane antropologo, Simone Mestroni, che ha passato qui due anni e che ha appena scritto una interessantissima tesi di dottorato all’università di Messina che si intitola ‘’Separatismo kashmiri: genealogie, pratiche, immaginari’’.
La guesthouse ci affitta una barchetta, anche questa malandata, con cui raggiungiamo il centro del lago, dove ci sono i barconi fissi usati per fare ‘’sci d’acqua’’. E’ divertente perché è sempre come lo avevo visto una decina di anni fa quando ci sono venuta per la prima volta, su una tavola di legno...Faccio il bagno, ma ci sono moltissime alghe, è vero che il Dal Lake si sta atrofizzando.
Visita d’obbligo, nella vecchia Srinagar, alla ‘’tomba di Gesù’’, venerata fin dall’antichità dai mussulmani come tomba del profeta Gesu’. Riesco a rubare una foto di nascosto prima che il guardiano mi sorprenda. Cena nello storico Mughal Darbar dove si mangia i ‘’gustaba’’, specie di polpettoni alla carne di agnello con un sugo allo zenzero.

Maro', si naviga ancora in alto mare

New Delhi, 14 giugno 2013

In coincidenza con la visita dell'inviato speciale del governo Staffan de Mistura, la quinta dopo il drammatico ritorno dei maro', si e' tornato a parlare del caso che da 16 mesi monopolizza le relazioni fra India e Italia. In effetti sulla vicenda non si sa piu' nulla e non e' ben chiaro quale sia l'azione del nuovo governo Letta. L'unica decisione significativa e' stata quella di affidare la negoziazione a De Mistura, che da viceministro e' diventato ''inviato speciale''.  Tra lui e il ministro degli Esteri Salman Khurshid c'e' una buona ''chemistry'', come si dice in inglese, e di fatti si vede dalle dichiarazioni distese di entrambi.
Il che non vuol dire che ci sara' pero' una soluzione breve per Latorre e Girone che si preparano a passare il loro secondo monsone in India. Come al solito c'e' molta ignoranza e disinformazione del caso nonostante i fiumi di inchiostro che si scrivono in Italia, compresi anche i libri-rivelazione del tipo ''tutto-quello-che-non-vi-hanno-detto''. Per quanto ne ho capito, vedendola da qui, la situazione e' la seguente :

1) Respingendo il ricorso italiano, il 26 aprile la Corte Suprema di New Delhi ha confermato l'incarico alla polizia anti terrorismo Nia (National Investigation Agency) come suggerito dal governo indiano. Perche' e' stata scelta la Nia? Non a caso. Perche' puo' invocare una legge contro la pirateria internazionale che permette all'India di processare sospetti terroristi o pirati anche in acque internazionali. Si chiama Sua Act ed ed e' una convenzione internazionale del 1988 all'epoca del sequestro dell'Achille Lauro. Per quanto assurdo possa sembrare, se si applica questo trattato, i due maro' sono da considerare come terroristi (e per il reato di omicidio e' prevista la pena di morte).
Dopo molti tira e molla e anche molta confusione nel governo indiano, il 14 maggio De Mistura annuncia che ''non si usera' la legge anti terrorismo indiana''. Ma secondo gli stessi legali dei maro' non sarebbe possibile perche' nell'atto costitutivo della Nia c'e' scritto che puo' operare solo per casi di terrorismo. Come e' stata risolta l'impasse? Non si sa. O almeno nessuno finora lo ha spiegato (e nessuno osa chiedere). Sul website della Nia (vedi qui) il caso continua a essere registrato con la menzione del Sua (e con un errore relativo alla data del FIR della guardia costiera di Neendakara, che contiene la denuncia del pescatore Freddy).

2) Ancor prima della sentenza della Corte Suprema del 26 aprile, la Nia aveva iniziato le indagini. Da quanto mi risulta e' stato portato tutto il materiale a New Delhi, e cioe' le tutte le prove, come i fucili e i proiettili, che prima erano in custodia della polizia del Kerala. Tra le carte c'e' ovviamente la perizia balistica dove si dice che i proiettili trovati nei corpi di Jelastine e Ajesh Pinky sono stati sparati da due fucili seuquestrati sulla Lexie. E' indicato il numero di matricola, ma non viene detto a chi appartengono. Nelle casse arrivate a Delhi ci sono poi le altre cose prelevate a bordo della Lexie, tra cui il GPS (che non funzionava) e il registro di bordo. 
I poliziotti della Nia hanno gia' esaminato il peschereccio S. Antony che nel frattempo e' stato tirato fuori dall'acqua nel porto di Neendakara, vicino a Kollam. E poi hanno interrogato Freddy Bosco e i nove pescatori che erano a bordo. Non e' trapelato nulla. Anche perche' e' un po' difficile per la stampa locale avere indiscrezioni dagli investigatori dell'anti terrorismo, che probabilmente agiscono da soli, senza aiuto della polizia locale.
 
3) Davanti alla Corte Suprema, con il giudice capo Altamas Kabir (che va in pensione a luglio) che si lamentava perche' il governo non aveva eseguito il suo ordine del 18 gennaio, il procuratore dello Stato indiano aveva detto che la Nia avrebbe completato le indagini in 60 giorni. Che sarebbe piu' o meno a fine giugno. Anche se gli interrogatori in Kerala sono andati veloci, questo termine non sara' rispettato. E si poteva anche immaginare che la promessa era da marinaio. Ci sono da sentire 60 testi, in teoria dovevano sentirne uno al giorno! Impossibile. A complicare le cose poi c'e' anche la richiesta di sentire gli altri quattro maro' come testimoni dell'accaduto. I colleghi di Latorre e Girone in servizio sulla Enrica Lexie non avrebbero pero' assistito all'incidente, almeno cosi' hanno detto alla Procura di Roma. Ma e' ovvio che la polizia indiana (e poi anche il giudice del processo ad hoc) vorra' sentirli per formulare i nuovi capi di imputazione. E qui sembra ci sia un nuovo braccio di ferro. Gli italiani non vogliono mandare in India gli altri quattro maro' (hanno paura che li arrestino?) e suggeriscono una videoconferenza. Non si capisce se tutto e' bloccato su questo ora. In realta' c'e' un obbligo che deriva da un ''impegno'' dell'armatore sottoscritto come condizione per il dissequestro della nave salpata da Kochi il 5 maggio dello scorso anno. All'epoca, due giudici della Corte Suprema (non Kabir) avevano dato l'ok alla partenza della Lexie ma aveva chiesto una fideiussione di 30 milioni di rupie (440 mila euro, forse oggi di meno grazie al cambio favorevole) consegnata all'Alta Corte del Kerala. In pratica l'armatore si impegnava a ''portare'' l'equipaggio in India se richiesto dai giudici con un preavviso di cinque settimane. Non solo gli uomini, ma anche la nave! (quest'ultima con un preavviso di sette settimane). Questo non e' un accordo segreto ma sono lettere firmate (e garanzie bancarie) come quella sottoscritta dall'ambasciatore Daniele Mancini dopo il permesso per le elezioni. (vedi qui).
Quindi in teoria, ci sarebbe un obbligo che pero' non e chiaro come possa essere esteso anche ai quattro maro' dal momento che non dipendono dall'armatore, la ''Dolphin Tanker'' filiale indiana della Fratelli Luigi d'Amato.

4) Insomma i tempi - nonostante gli sforzi di Roma - si allungano. Anche se ora, grazie alla buona volonta di Khurshid (che va sottolineato e' agli Esteri non all'Interno) accelerano le indagini Nia, poi c'e' il processo e li' dipende dai giudici...Quando iniziera' il procedimento nel tribunale ad hoc? Forse in autunno, forse il prossimo anno. Boh. Nessuno fa previsioni ormai.

5) Un'ultima incognita  riguarda la faccenda della giurisdizione. Per un anno l'Italia si e' battuta su questo principio arrivando a rallentare il processo in Kerala. Perche' adesso lo hanno abbandonato? Perche' non continuare a presentare ricorsi alla Corte Suprema oppure al tribunale ad hoc? Sembra che abbiano ormai accettato di buon grado il processo e quindi la competenza indiana. Perche' non continuare a battersi per un principio di diritto internazionale marittimo che e' condiviso anche da molti partner dell'India?
 
 

L'Italia al tempo della crisi/8 - Il margaro della valle di Viu'

Frazione Tornetti di Viu' (Torino), 8 giugno 2013


Una delle mie zie ha ristrutturato una baita della famiglia di sua madre nella valle di Viu', che ai tempi antichi era una localita' di villeggiatura per ricchi torinesi. Queste valli piemontesi sono oggi in semiabbandono, sono cosi' desolate che l'Himalaya al confronto e' un parco di divertimenti. Posti da eremitaggio insomma. Pero' qualcuno c'e' ancora. Della serie antichi mestieri, che chissa' con la crisi forse ritorneranno di moda, ci ho trovato un margaro! Pensavo davvero non esistessero piu', fagocitati dalle aziende casearie moderne. Invece no, e' uno scapolo (ci ho fatto perfino un pensiero) che fa le tome come una volta, con le vacche che vanno al pascolo dove c'e' l'erba buona e la baita di pietra.  Insomma sapori da Mulino Bianco,  ma autentici! Non e' che era una promozione della regione Piemonte? 
 

L'Italia ai tempi della crisi/7 - Pedalando a Milano

Milano, 7 giugno 2013

Dopo Torino, e’ logico che Milano appare come Las Vegas. Il servizio di affittabici qui si chiama BikeMi e costa 2,5 euro ed e’ decisamente piu’ popolare. Non ero mai andata in bici a Milano e mi sono accorta che il centro alla fine e’ piccolo. Ho fatto da Centrale a Duomo in appena dieci minuti, l’unico problema sono i binari del tram, che ci puoi finire dentro. Ma venendo dall’India e’ un vero piacere pedalare tra macchine che ti danno la precedenza e che non ti fanno spostare a clacsonate. Non ero piu’ abituata a tanto rispetto!

Dal Duomo sono andata a zonzo fino a raggiungere Porta Genova e i navigli. Qui mi sono fermata a vedere una bella mostra dell’americano Gordon Parks ('Una storia Americana'), dove c’erano anche degli scatti di Genesis, la monumentale opera di Salgado, in vendita a 8 mila euro a copia, ma li merita.  Poi ripresa la bici dal posteggio sono andata a Castello Sforzesco, dove c’erano dei ragazzi che facevano il bagno nella fontana antistante, stile Dolce Vita, e da qui sono entrata nel Parco Sempione, il ''central park'' meneghino.

Anche qui come in Piemonte, ho avuto la sensazione di vivere in un ambiente straordinariamente pulito. Perfino profumato per via dei gelsomini in fiore. Lo so che sto parlando di Milano, ma forse e’ per via delle piogge continue di maggio che hanno ripulito a fondo il cielo e l’aria. O forse e’ il contrasto con le puzze dell’Indie. Oppure il mese di giugno, erano da anni che non venivo in Italia in questo periodo. Tempo fa avevo letto una cosa interessante sull’inquinamento in Europa che si era drasticamente ridotto a causa della crisi. (ps, vedo qui una conferma). Beh almeno un vantaggio c’e’.

 

L'Italia ai tempi della crisi/6 - Pedalando a Torino

Torino, 5 giugno 2013
Armata di guida Mondadori (la Lonely Planet non esiste) sono sbarcata a Torino con mia figlia per un tour turistico. Fa parte dei miei sforzi di riconciliarmi con Torino che – tutti dicono – e’ radialmente cambiata da quando la frequentavo ai tempi dell’universita’. Abbiamo deciso di affittare una bici del servizio Tobike. Per prendere la tessera bisogna andare in un negozietto nascosto in via Sant’Anna, una viuzza vicino alla Consolata, sborsare la bellezza di 8 euro per 4 ore piu’ dare come deposito la carta di credito. Non sono accettati i minori di 16 anni. Le bici sono senza lucchetto, e’ meglio sempre attaccarle a una stazione che sono disseminate un po’ ovunque in prossimita’ di musei e monumenti. L’idea e’ buona, ma e’ un po’ macchinosa.

Eravamo le uniche due ‘turiste’ in bici quel giorno, secondo me. Il tour e’ stato simpatico, dalla Consolata, Porta Palazzo, Piazza Castello, il Duomo con la Sindone, via Garibaldi, la Porta palatina, via Po e la Mole compreso il Museo del Cinema e poi tutto il Valentino. Li’ e’ stata una sorpresa perche’ ho visto con piacere un certo attivismo sportivo da parte dei ‘’bugia nen’’. Lungo il sentiero che costeggia il Po e che va fino a Italia 61 abbiamo incrociato un sacco di cicilisti agguerriti e joggers di tutte le eta’. Nel fiume poi, limpido come un ruscello di montagna, si davano da fare canoisti di tutti i tipi, compreso quelli del canottaggio a otto che andavano come schegge. A parte il lato sportivo, Torino mi e’ sembrata una citta’ deserta, perfino senza traffico e con gente un po’ immusonita, anche se chiedi solo delle indicazioni. Per completare la giornata siamo andati al cinema, un locale penso restaurato di recente vicino a Porta Nuova, a vedere la Grande Bellezza, il lungo film di Paolo Sorrentino, che traccia un ritratto impietoso di una certa Roma cafona e godereccia. Ci saranno stati si’ e no una decina di spettatori....



 

L'Italia ai tempi della crisi/5 - I miei genitori festeggiano mezzo secolo di matrimonio

Chivasso, 2 giugno 2013
Mezzo secolo di resistenza coniugale. E’ l’ammirevole raggiunto dai miei genitori (nella foto) che per l’occasione hanno celebrato con tanto di Messa, mega pranzo e torta. In realta' la ricorrenza era il 19 marzo, ma e' stata spostata per permettere la rimpatriata familiare. Al giorno d’oggi dovrebbero dare un premio queste coppie.




L'Italia al tempo della crisi/3 - Recupero crediti a Torino

Torino, Primo giugno 2013
Lo scorso anno ho scritto per un website semiclandestino che si chiama L’Indro (eccolo qui) e che vantava per direttore niente-popo-di-meno che Giampiero Gramaglia, illustre ex direttore dell’Ansa.  Lui pero' ha lasciato questo posto qualche mese fa alla chetichella dopo aver partecipato a un trionfale lancio del sito.  Non sono sicura, ma penso che sia finanziato dalle Camere di Commercio Piemontesi. Mi hanno fatto firmare un contratto in cui mi dicevano che sarei stata pagata 50 euro per un pezzo di 6-7 mila battute, che e’ tanto, piu’ le foto, queste gratis.
Ho lavorato per tre mesi accumulando un credito di oltre mille euro, poi quando ho visto che non mi pagavano, ho smesso. Negli ultimi mesi e’ calato il silenzio, non rispondevano piu’ alle mie sollecitazioni. Allora mi sono presentata a Torino all’indirizzo della sede legale che era segnata sul mio contratto, ovvero via De Sonnaz 19. C’era anche indicato come riferimento un certo dottor Gasco. Fatta la premessa, ecco la cronistoria del mio recupero credito.
Ripassando le mosse, piu’ volte studiate nelle nottati insonni ai 45 gradi di Delhi, entro nell’ufficio con un pretesto e mi siedo pronta a un’azione di resistenza passiva alla Gandhi. Quando arriva il dott.Gasco, un semplice commercialista, mi accorgo pero’ di essere in uno di quegli uffici fantasma che in pratica affittano un ‘’domicilio legale’’, come alle isole Cayman insomma. Mi dice che L’Indro paga 500 euro al mese (solo?) per usare il suo indirizzo come sede legale e che non sa nulla dei suoi affari. Non gli credo. Mi impunto, gli mostro il contratto e gli dico che non intendo muovermi finche' non mi paga.  Probabilmente abituato a trattare con creditori infuriati, chiama la Volante. Benissimo, dico io, non ho nulla da temere.
Dopo una mezzoretta  arrivano due poliziotti che, dopo aver ascoltato le mie ragioni, obbligano la segretaria a chiamare la responsabile dell’Indro, una certa Margherita Peracchino, che e’ la fondatrice ed e' anche quella che mi aveva assunto.
E qui commetto un grave errore. Mi faccio convincere che che il ‘vero’ commercialista mi avrebbe chiamata l’indomani e lascio il sit-in. Ovviamente non e’ mai successo. Mi ha chiamato invece questa signora dicendomi che non ha soldi per pagarmi perche' ''sono in ritardo con gli incassi''. Cornuta e mazziata. Lezione: mai fidarsi dei piemontesi che mi hanno gia' fregato una volta con la bancarotta della vecchia Gazzetta del Piemonte.