STORIE DI VELA/Canarie, la mia ancora e la 'desertificazione' dei fondali

La Seba canaria, come la Posidonia in Mediterranei, è vitale per l'ecosistema marino  

Baia di Santa Agueda (Gran Canaria), 25 febbraio 2023 

    Da un po’ di giorni mi ossessiona il pensiero che l’ancora della mia barca a vela Maneki rischia di distruggere una pianta marina autoctona, che si chiama Cymodocea nodosa e che è preziosissima per l’ecosistema. Ammetto la mia ignoranza in materia, quindi vado a tentoni. Innanzitutto non è una alga, ma una ‘pianta’ dotata di foglie, radici, fusto, polline, proprio come le sue sorelle in terraferma. Alle Canarie queste "praterie verdi" le chiamano ‘sebadales’, e sono l’equivalente delle preziose distese di Posidonia diffuse nel Mediterraneo.
Una pattuglia del Servicio de vigilancia y protection de las zonas ZEC (foto Maria Grazia Coggiola) 

   Perché sono importanti per l’ambiente? Oltre che produrre ossigeno grazie alla fotosintesi clorofilliana, servono da rifugio a tantissimi pesci e mammiferi, dai cavallucci marini alle testuggini. Il loro habitat e' il fondale sabbioso dai 5 ai 20 metri di profondita’, proprio quello preferito dalle barche per l'ancoraggio. L’ancora e soprattutto la catena che tiene ferma la barca ‘raschia’ il fondo e lo desertifica.

   Le sebadales sono diffuse in tutte le isole Canarie (eccetto Hierro e La Palma), ma la loro presenza si è drasticamente ridotta a causa della costruzione di infrastrutture, dell’inquinamento marino, della pesca a strascico e molto probabilmente anche delle numerose barche a vela alla fonda. Data l’importanza economica e ambientale, il governo canario ha avviato un progetto di monitoraggio e ripopolamento delle sebadales nelle zone Zone a Conservazione Speciale (ZEC), che sono le coste protette dell’arcipelago. La Seba canaria inoltre è stata inserita dal governo Madrid nella lista nazionale delle specie protette e a rischio di estinzione.

Cymodocea nodosa (Sebadales)  

   Non so come funziona la ‘restauracion'’, ma il controllo funziona. Qualche giorno fa un battello della pattuglia del Servicio de vigilancia y protection de las zonas ZEC si è avvicinato alla mia barca e mi ha informato che avevo ancorato sopra una prateria. Mi trovavo nella baia della ‘cementera’ (puerto Santa Agueda) nel sud di Gran Canaria. In effetti diverse foglie fresche ‘galleggiavano’ intorno, segno che erano state appena spezzate. Mi hanno poi indicato una app governativa (Normap) dove c’è una “mappa” delle sebadales in tutto l’arcipelago. Ovviamente mi sono immediatamente spostata dal fondale ‘verde’, e adesso faccio più attenzione a dove getto la mia ancora.

LA FOTO - Canarie, non solo blu', giorno di calima a Mogan

 Mogan (Gran Canaria), 20 febbraio 2023

Stamane mi sono svegliata cosi' in questo cielo lattescente che il "calima", il vento dall'est, soprattutto in questo mese, porta sulle isole piu' orientali delle Canarie. La foto e' scattata davanti al porticciolo di Mogan dove sono ancorata con la mia barca a vela Maneki.


Canarie a vela/Ho avvistato un barcone usato dai migranti

Gran Canaria, 14 febbraio 2023
   In questi giorni nell’arcipelago delle Canarie spira il ‘calima’, il vento dall’Est che porta la sabbia dall’Africa e riduce la visibilità. È il vento che fa sbarcare sulle spiagge delle famose isole spagnole decine di migranti in fuga dall’Africa subsahariana. La cosiddetta ‘rotta Canaria’ è una delle più pericolose perché significa attraversare centinaia di chilometri di oceano Atlantico dal Marocco o dalla Mauritania in un punto con forti corrente e vento. Viaggi della speranza che si trasformano in tragedie del mare spesso invisibili. Secondo statistiche di una ong circa 6 migranti al giorno in media muoiono nel viaggio della speranza dalle coste nord africane alla Spagna.
Interno di una 'patera' nel porto di Arguineguin (Gran Canaria)


 Ieri mi è capitato di vedere da vicino una delle imbarcazioni con cui i migranti arrivano alle Canarie. Era vuota, forse perché abbandonata dopo lo sbarco oppure, ma non voglio pensarlo, perché i suoi occupanti sono finiti in mare. È successo in piena notte a circa 10 miglia nautiche (18 km circa) dalla costa meridionale di Gran Canaria. Con la mia barca a vela Maneki avevo appena attraversato lo stretto tra Tenerife e Gran Canaria e dato che il vento era cessato (succede sempre cosi quando si arriva davanti alla costa meridionale di Gran Canaria) ero praticamente alla deriva. Alla radio VHF (canale 16) sento un messaggio della radio di Las Palmas rivolto a un ‘sailing vessel’ in una certa posizione. Controllo il GPS e mi accorgo che sono proprio io. Rispondo immediatamente, con una certa apprensione perché non capita tutti i giorni, e mi chiedono di identificarmi e poi di stare in stand by sul canale 74. Dopo pochi secondi sento un operatore che mi chiama “Maneki, Maneki, here Las Palmas, Las Palmas. Do you read me? Over”. Rispondo e la voce maschile in perfetto inglese mi chiede di “identificare un target che secondo il radar si trova a 1.5 miglia nautiche a Ovest della mia posizione”. Guardo fuori, ma la visibilità è molto bassa, a causa del calima, praticamente nebbia. Non vedo nulla, dico. Allora mi chiede se posso cooperare con loro e recarmi sul “target”. Mi chiede di annotare le coordinate e di far sapere appena vedo qualcosa. 
   Ecco che alle 4 di notte, quando già sognavo di ancorare in qualche baietta tranquilla e levarmi gli abiti inzuppati per la traversata da Tenerife, mi trasformo in soccorritrice. Con una certa apprensione perché non è ben chiaro cosa sia il “target”. Inoltre la vedo un po’ difficile da sola timonare, controllare il gps e soprattutto scrutare le acque scure alla cerca di qualcosa di non ben definito. Il mare è calmo, ma ripeto è coperto da una densa coltre di vapore. Mi avvicino di mezzo miglio procedendo un po’ a zig zag. “Las Palmas, Las Palmas, here Maneki, Maneki, I do not see anything, what do you think I should see?” domando con il terrore che mi chiedano di avvistare un ufo o chissà cosa. Las Palmas mi dice che dal radar potrebbe essere una barca di legno usata dai migranti, ma serve una conferma visiva e poi bisogna sapere se c’è qualcuno. Insiste nonostante le mie titubanze. “It will be very helpfull if you go to check”. Okkey…replico e vado incontro al mio destino, con rassegnazione. 
   Ci metto un bel po’ a raggiungere la posizione, quando ci sono vicina, fermo la barca e vado a prua a scrutare, niente…Las Palmas mi avverte che dal loro radar risulta che sono vicina, 200 metri in direzione 330 gradi. Con le gambe che mi tremano guardo la bussola e ingrano la marcia. “Look on your starboard, on your right” dice la voce che mi segue da un schermo radar che è estremamente preciso, perché dopo pochi istanti vedo una massa nera. È un barcone di legno di 4-5 metri. Una ‘patera’, come ce ne sono tante ammassate nel porto di Arguineguin, che fa da hub per gli arrivi dei clandestini. Nella sola prima settimana di febbraio sono state 660 le persone arrivate vive a bordo di 13 “patera”. Punto la torcia, sembra vuota, da una parte è attaccata una lunga cima, mi sembra, per questo non posso avvicinarmi troppo, ho paura che si impigli nell’elica.
   Ci giro intorno due o tre volte poi chiamo Las Palmas e confermo, non ci sono persone a bordo. È quello che volevano sapere, poco dopo sul canale 16 lanceranno un ‘securite’ securite’’ un avvertimento per i naviganti dove si dice che una barca di legno di 4 metri è alla deriva in quel tratto di mare. Un messaggio che purtroppo sente molto spesso quando navigo. Mi vengono i brividi a pensare che navigando poco prima avrei potuto urtare la patera e probabilmente affondare. Ma non è solo questo pensiero che mi fa rabbrividire. I migranti dove sono? Nelle fosse comuni in fondo al mare? Spero siano in salvo da qualche parte o che siano stati soccorsi dalla Guardia Costiera spagnola come è capitato in questi giorni, mi sembra ancora di avvertire la loro presenza, la loro disperazione in quel mare di pece.

Giornalismo/ Adani anti Modi? Le cantonate della stampa italiana sull'India

Gomera, 28 gennaio 2023

Sono stata in India ben 16 anni e in quel periodo ho lavorato come corrispondente per Ansa e per La Stampa. L'India e' un "subcontinente", il secondo Stato piu' popoloso, ma solo per poco, dopo la Cina, e civilta' antichissima e ricca di saggezza, si pensi alla pratica dello yoga diffusa in tutto il mondo. Senza contare che In Italia la grande comunita' indiana, in particolare quella sikh, e' una delle piu' numerose e operose in Europa. 

Questa lunga premessa per dire che ai media mainstream italiani dell'India non interessa un fico secco. Anzi peggio, quelle poche volte che la patria del Mahatma Gandhi riesce a entrare in pagina, e' una ridda di stereotipi, ignoranza e anche strumentalizzazione. Prendiamo il pezzo di oggi su La Stampa, datato da Taipei (oltre 5 mila km da New Delhi), che parla dei del collasso finanziario di Gautam Adani, il Rockfeller indiano. Il miliardario viene definito nel titolo "anti Modi", mentre nell'occhiello si fa capire che la colossale perdita alla Borsa di Mumbai di 50 miliardi di dollari sarebbe legata al fatto che con "le sue tv sfidava il premier".


Allora facciamo un po' chiarezza.  Adani, come spesso capita a molti self made man, ha tirato troppo la corda, il suo impero cresciuto a dismisura proprio da quando il leader indu nazionalista Narendra Modi e' salito al potere, era pesantemente indebitato, c'erano gia' state delle scosse di avvertimento e ora la bolla e' scoppiata, e come spesso capita in questi casi, c'e' stato il fuggi fuggi degli azionisti. Il presidente dell'omonimo Adani Group, proveniente dal Gujarath, lo stato piu' industriale e "calvinista" che fu governato dallo stesso Modi per un decennio, ha fatto la sua fortuna nei porti commerciali, energia e altri settori strategici dell'economia indiana. E si sa benissimo che Modi e' appoggiato dagli industriali, che sono i protagonisti, della sua politica "make in India".  Altro che nemico, sono pappa e ciccia, 

Ma siccome il governo Modi e' controverso perche' e' associato all'estrema destra, ed e' vero ci sono i fanatici indu' nel suo partito, ecco allora che diventa il 'cattivo' oppure lo si associa alla destra italiana e allora giu' con la mannaia. Senza capire nulla e senza manco leggere l'articolo. Senza capire che proprio Adani aveva comprato l'anno scorso il canale Ndtv, l'unico che era ancora indipendente e che ancora poteva criticare il potente Modi. Le tv indiane sono ora imbavagliate dai grandi gruppi industriali: CNN-Newws 18 (ex Cnn-IBN), la principale concorrente di Ndtv, era gia' passata diversi anni fa nelle mani di Mukesh Ambani, il piu' ricco dell'India.

Che poi Modi avra' i suoi difetti e, come Trump, non gode del favore della stampa, ma alla fine va riocordato che e' quello che ci ha ridato i due maro' coinvolti nell'uccisione di due pascatori in Kerala nel 2012. Se fosse stato per il governo di centro sinistra di Sonia Gandhi i due militari sarebbero ancora a New Delhi.  Di recente la vicenda e' di nuovo stata rinvangata dallo stesso maro' Massimiliano La Torre, il capo del team di sicurezza antipirateria sulla petroliera Enrica Lexie, in un libro conversazione con Mario Capanna, "Il Sequestro del Maro'".