NON SOLO INDIE – Cara, vecchia e elitaria Europa


 
    Per una serie di ragioni familiari, mi sono ritrovata quest’anno a spasso tra il nord Italia, Parigi e Londra, con toccata-e-fuga finale a Napoli. Era da parecchio tempo che non facevo un tour europeo e abituata ormai ai ritmi e abitudini asiatiche e’ stato per me come sbarcare su Marte.  Non avevo il Suv della Nasa con razzo laser che scorrazza sul pianeta rosso polverizzando le rocce per analizzare il contenuto, ma soltanto una buona dose di curiosita’ e voglia di capire. Mi interessava vedere cosa era cambiato con la crisi.
    La prima scoperta e’ stata  che la vita e’ diventata ancora piu’ cara alla faccia della vecchia legge  economica che quando non c’e’ domanda calano i prezzi.  Appena sbarcata a Malpensa ho avuto la sconcertante sorpresa di dover pagare 2 euro per un semplice carrello bagagli. In altri scali e’ una cortesia ai passeggeri. Una volta nell’aeroporto milanese il deposito veniva restitituito quando si riponeva il carrello, ora non piu’.  A Londra, ho pagato 45 sterline invece per lasciare in custodia i bagagli un paio di ore. Per affittare una bici a Parigi ci vogliono 150 euro di cauzione. La prima mezzora e’ gratis, ma dopo 4 ore la tariffa scatta di quattro euro ogni mezzora! Prenotare un aereo on line con la carta di credito costa oltre 14 euro in commissioni (mi e’ successo con E-Dreams). Non sto parlando di beni di lusso, sto parlando di normali servizi per chi viaggia.    
    Il dramma e’ che sulla Senna o sul Tamigi, o anche nella ex Milano da bere ,  c’e’  un divario crescente tra ricchi e poveri, proprio come qui in India. La fruizione pubblica dei centri storici, dei monumenti, musei e’ diventata molto esclusiva per via degli altissimi costi di ristoranti, alberghi e trasporti. Non dico che vorrei un centro di accoglienza di senzatetto davanti alla torre Eiffel o al London Eye, ma mi duole vedere che e’ difficile trovare una fontanella dove bere. In certi posti a Parigi una mezza bottiglia d’acqua costa la cifra folle di 3 euro. E nessuno sembra accorgersene, cosa che e’ ancor piu’ allarmante.
    I trasporti, a parte la Val di Susa, sono diventati superveloci: cinque ore a Parigi con il TGV e 2 ore e mezza da Parigi a Londra con il mitico Eurostar, che gia’ mostra i segni della vecchiaia per via di carrozze sporche e puzzolenti come certi treni indiani. Ma sono off limits per la maggior parte, penso, come famiglie operaie monoreddito con figli ma anche insegnanti o precari.  Guarda caso pero’ il treno notturno (esistono ancora!) da Napoli a Torino (55 euro) era tutto pieno. Nel binario a fianco partiva il nuovo e fiammante Italo al doppio di prezzo (ma  la meta’ del tempo). Ma allora perche’ non mettere qualche Intercity in piu’ per i vacanzieri che scelgono il treno e rifiutano gli esodi sulle autostrade? I soldi arrivano lo stesso. Pagare meno, viaggiare tutti.
    Ma lo shock e’ stato alla stazione a Napoli (e a Milano anche) quando ho scoperto che l’accesso al bagno costa un euro. Due mila lire vecchie per fare pipi’.  Nella famosa e antica pizzeria Da Michele, quella dove e’ stata inventata la margherita dove si mangia la margherita originale, ho incontrato un affabile signore, direttore di una unita’ sanitaria. Eh si’, il bello del sud dell’Italia e’ che la gente parla ancora agli sconosciuti. Ce l’aveva con l’amministrazione di Napoli, guarda che novita’, e anche con i giovinastri del malfamato quartiere di Secondigliano che – grazie alla nuova metro– arrivano fino al Vomero a delinquere. Forse molti vorrebbero dei ghetti chiusi da altre mura, come certi resort in spiaggia, per impedire la mescolanza con gli sfigati.
   Temo che la crisi non fara’ che aumentare la disparita’ di classi in Europa e anche l’intolleranza verso gli immigrati visibilmente sempre piu’ numerosi, ma sempre piu’ maltrattati. A Napoli, diventata triste e vuota quasi come l’altra ex gloria sabauda di Torino, ho visto un impiegato delle Ferrovie respingere in malo modo un ragazzo di colore in coda alla biglietteria.  In Sicilia un gruppo di vu cumpra’ e’ stato linciato verbalmente da alcuni residenti su un minibus perche’ sono entrati con ingombranti sacchi di mercanzie.  La societa’ multirazziale forse esiste solo a Londra. Al celebre Speaker’s Corner di Hyde Park si sente parlare piu’ arabo che inglese. Ma come si fa a sopravvivere a Londra, con una famiglia e senza uno stipendio d’oro,  e’ davvero un mistero.  O una sofferenza.

CINEMA/''Gangs of Wasseypur'',cinque ore di saga mafioso-comica

    Per fortuna non c'e' solo la commerciale Bollywood in India. Ieri al concorso Osian's Cinefan a New Delhi ho visto l'ultimo film di Anurag Khashyap  ''The gangs of Wasseypur''. Dura cinque ore e pare sia il piu' lungo film in hindi. E' stato a Cannes, ma nelle sale indiane e' uscito solo a luglio (la prima parte), mentre la seconda ''puntata'' e' in programma tra un mese. E' con attori sconosciuti e con un budget irrisorio.
   E' una sorta di ''Padrino'' all'indiana, con molto trash tipo Pulp Fiction e con una quantita' record di parolacce da bettole mussulmane. Che i sottotitoli traducono sempre allo stesso modo com motherfucker ecc, ma immagino che ci siano un'infinita' di sfumature che solo gli indiani capiscono, forse solo quelli che parlano urdu. E' la storia - vera - della faida tra due famiglie mafiose mussulmane di Wasseypur (ora si trova nello stato centrale del Jarkhand) attraverso 60 anni di storia indiana.  Questi clan all'inizio controllano le miniere di carbone e poi si allargano a estorsioni di ogni tipo .
   Ho letto che Khashyap, uno che ha scopero il cinema con ''Ladri di Biciclette'' di De Sica, si e' ispirato gli Spaghetti Western.  In effetti il film e' comico nella sua ferocia. Il pubblico in sala applaudiva e esultava a ogni ammazzamento come fosse un punto a partita i cricket.
   A me ha ricordato un po' un trend gia' seguito nei ''3 idiots'' di Rajkumar Hirani, anche se quest'ultimo rientra nel filone classico di Bollywood ed e' piu' raffinato.
    The Gangs e' invece una vera macelleria, (non a caso uno dei clan sono dei macellai di professione), oltre che uno spaccato dell'India profonda, molto profonda, a tal punto da dubitare che sia reale. Anche la storia personale del regista e' troppo assurda (leggi qui) per essere vera. Pero' in effetti, forse proprio da questo suo passato torbidissimo, ha tirato fuori questo film, che e' un capolavoro, perche' in cinque ore non ti lascia un minuto di respiro.
  

Rivolta indiana all'ambasciata d'Italia a New Delhi?

Leggo oggi di una curiosa, ma allarmante, notizia del Times of India di una rivolta del personale indiano all'ambasciata d'Italia di New Delhi. Come potete leggere qui, i dipendenti locali vogliono fare causa allo Stato italiano perche' si sentono discriminati in termini di salario rispetto ai colleghi italiani che fanno le stesse mansioni. Non sono in grado di verificare le fonti e quindi non posso confermare se e' vero.
Ma - che io sappia - la disparita', per quanto odiosa, c'e' sempre stata almeno da quando sono qui. A tal punto che non solo gli indiani, ma anche gli italiani residenti in India hanno un ''local contract''. Se io, per esempio, voglio fare la bibliotecaria o la segretaria mi propongono un salario equiparato ai ''locali'' ovvero circa 500-600 euro al mese. Cosa che nel mio caso non mi permetterebbe di vivere visto che pago gia' 400 e passa euro di affitto. New Delhi - si sa - e' diventata carissima e io sopravvivo solo perche' stringo la cinghia.
Il problema esiste da tempo e probabilmente esiste anche per le altre ambasciate. Ma ora si e' acutizzato. Perche? Come accenna l'articolo, potrebbe essere una ripercussione del braccio di ferro in corso sui maro' arrestati in Kerala e oggetto di una dura battaglia legale. Le relazioni e l'amicizia tra Italia e India sono  rimastae''intatte'' tutti ripetono. Ma comincio a dubitare.

Blackout bis, ma l'India regge anche stavolta

E' un classico che in India i guasti non si riparino mai al primo colpo.  E cosi' dopo 24 ore il blackout si e' ripetuto. E questa volta con effetto domino sulle altre linee dell'alta tensione che servono Calcutta e gli altri posti del nord est.  I numeri sono stati ancora piu' impressionanti: 600 milioni di persone senza luce, anche se non saprei quanti di questi abbiamo una lampadina in casa. Il piu' grande blackout della storia dell'umanita'. Un record olimpico insomma conquistato dall'India che a Londra ha finora soltanto rimediato un bronzo.
Ovviamente e' facile oggi fare ironie sulla nuova ''super power'' (super potenza) senza ''power'' e sullo sviluppo caotico e disordinato dei giganti asiatici.
Non nego che ''la madre di tutti i blackout'' non abbia portato gravi disagi ai cittadini, pendolari, malati negli ospedali e perfino i poveri minatori di carbone del Bengala bloccati nel sottosuolo e poi tirati fuori soltanto dopo ore.
Ma sono davvero convinta che un guasto del genere, possibilissimo anche nei Paesi avanzati (ricordiamoci cosa e' successo in Giappone con le centrali piu' ''sicure'' del mondo) avrebbe sicuramente creato un caos inimmaginabile con conseguenze tragiche.
Lo ricordo, i blackout fanno parte della vita quotidiana in India, in Pakistan (13 o 14 ore al giorno a volte) , Nepal e Bangladesh. Ce ne sono stati anche di piu' lunghi. Mi ricordo in periferia di Delhi di essere stata tre giorni senza corrente. Per inciso, la Borsa di Mumbai ieri ha perfino chiuso in rialzo.
Miracolosamente (o forse e' normale?) anche i computer e i call center di Gurgaon hanno retto. Dall'outsourcing dipendono le banche della City londinese. Si immagini che succede se vanno in tilt. L'era digitale dipende sempre dalla vecchia elettricita'.
Invece di dare addosso all'India, invece bisognerebbe cominciare a riflettere sulla nostra interdipendenza tecnologica e sulle cosiddette ''criticita'''.  Un guasto in India, polo informatico mondiale, non e' solo un problema d'immagine per New Delhi, ma mette in gioco la sostenibilita' del nostro modo di vivere.