Kanyakumari, dove l'India si ferma (e anche il tempo)

Kanyakumari, 20 marzo 2014

Ti prende un po’ di malinconia ad arrivare a Kanyakumari, l’estremita’ meridionale dell’India, dove si incontrano la Baia del Bengala e il mar Arabico. Dove si puo’ vedere l’alba e il tramonto sullo stesso mare nello stesso giorno.
Non sara’ capo Horn o il capo di Buona Speranza, ma c’e’ un’atmosfera speciale in questo posto dove la “finisce” il subcontinente indiano, “the end of India”come dicono . La luce e’ quasi fosforescente, i colori sembrano artificiali e i profumi sono quelli dell’oceano aperto. E’ come se la terra a un certo punto si arrendesse completamente nelle braccia del mare.
La calma di Kanyakumari e’ surreale. Se non ci fossero le orde di turisti indiani che vanno alla rocca del filosofo Vivekananda e del “colosso” Thiruvalluvar, non scorrerebbe il tempo tra le casette colorate del borgo e i pescatori che giocano a carte sotto tettoie di giunco. 


Sono stata qui una decina di anni fa, ma non e’ cambiato nulla, a parte qualche nuovo albergo, troppo alto e troppo moderno, per essere in sintonia con il luog. Sono stata in una guesthouse vecchio stile, Saravana, raccomandata dalla Lonely Planet, di fianco all’ingresso del tempio. Dal balcone si vedeva la rocca e il tempio.
Ma sono andata ad ammirare il tramonto su un osservatorio circolare, il Sunset point, che e’ uno dei simboli di Kanyakumari. Ho anche visitato l’enorme chiesa gotica, il santuario di Our Lady of Ransom, decisamente sproporzionata rispetto all’ambiente circostante. Ma e’ qui In Kerala e’ abbstanza frequente vedere enormi chiese in poverissimi villaggi. Da secoli la Chiesa ha mostrato cosi’ il suo potere.

Maro'- Il mio incontro con la famiglia del pescatore Jelastine Valentine

Kollam, 13 marzo 2014
   Era da tempo che volevo incontrare in carne e ossa le famiglie che sono state colpite dall’incidente della Enrica Lexie. Da oltre due anni mi occupo dei maro’ e delle loro vicende giudiziarie, ma so pochissimo dei due pescatori uccisi, Jelastine Valentine e Ajesh Pinki.
Sono partita da Jelastine perche’ abitava in periferia di Kollam e, arrivando io da Kochi, e’ stato il primo posto in cui sono arrivata. Ho incontrato la vedova, Dora, e il maggiore dei due figli, Derrick che parla inglese e che mi ha fatto da interprete.

   La famiglia vive in una casetta di proprieta’, che si chiama “Derrick Villa” nel sobborgo di Moothakara, di fronte al mare. Questa tratto della costa del Malabar, e’ noto fin dai Fenici come centro di commercio di spezie, pepe, legno prezioso e olio. Di recente a Tangasseri, l’antico porto di Kollam, che sorge di fianco, hanno trovato delle antiche monete cinesi.
    La casa e’ molto trascurata e ingombra di cianfrusaglie. C’e’ una piccola veranda e poi si entra in una stanza dove ci sono quattro sedie di plastica e un tavolo. In una parete in alto c’e’ la foto di Jelatine con dei fiori e una candela. Sui muri ci sono graffiti, in uno c’e’scritto in rosso Jeen, il nome dell’altro figlio piu’ piccolo di 12 anni.
   Avevo parlato con Dora al mattino quando ero andata al cimitero della chiesa di Moothakara dove e’ sepolto il marito. Mi aveva detto di venire alle 17 quando usciva dal lavoro. Da poco infatti ha trovato un impiego pubblico e guadagna circa 10 mila rupie che le permettono di vivere, pagare la retta scolastica di un figlio e le spese. Non abbiamo parlato di cosa ha fatto dei soldi ricevuti dall’Italia, 10 milioni di rupie (all’epoca 150 mila euro, ora un po’ di meno,circa 130 mila). Padre Rajesh Martin, che e’ un cugino e direttore di un istituto di ingegneria di Kollam, mi ha detto che sono in banca e che servono per l’istruzione dei figli. Lui e’ stato il mediatore quando il governo italiano, pochi mesi dopo, aveva deciso di optare per un compromesso con le famiglie presso l’Alta Corte del Kerala. Una mossa che si e’ rivelata completamente controproducente perche’ e’ stata vista come un tentativo di “pagare” per il sangue versato, “blood money” come si dice qui. In cambio le famiglie hanno ritirato le loro denunce e rinunciato a cause future. Cosa che e’ legale e prevista dal sistema giudiziario indiano, ma che ha destato molte polemiche.
   Dora si e’ lamentata per il suo scarso stipendio, ma tutto sommato la famiglia tira avanti,anche grazie al supporto della Chiesa. “Il nostro e’ stato un approccio pragmatico – mi ha detto padre Martin quando sono andata a trovarlo in ufficio – perche’ si trattava innanzitutto di garantire la loro sopravvivenza e anche un futuro ai figli”.
    Derrick, che ha 20 anni, sembra davvero un bravo ragazzo. Da due anni studia da ingegnere nella scuola di padre Martin, il politecnico Bishop Jerome Institute- School of Engineering and Technology (BJISET), sorto appena quattro anni fa. Spero che realizzi i suoi sogni di lavorare “in un paese europeo” come mi ha detto.
   Ora e’ lui il capofamiglia e lo si e’visto anche come ha reagito con la polizia che e’ piombata in casa appena ha saputo che ero li’ per intervistarli. Hanno controllato tutti i miei documenti, compresi quelli della mia con la scusa che ci sono problemi di sicurezza nell’area costiera. Ma e’ evidente che la famiglia e’ sotto sorveglianza. Forse tanta attenzione suscita gelosie. Il fatto che abbiano accettato i soldi degli italiani e ritirato le denunce ha irritato molti, probabilmente anche il governo keralese che ancora oggi si dimostra molto duro e determinato nell’ottenere giustizia. E’che non ha mai digerito che la Corte Suprema gli abbia levato la giurisdizione sul caso perche’ avvenuto fuori dalle acque territoriali.
   Dora non ha risposto a nessuna domanda su cosa pensa dell’incidente. “Non voglio parlare” ha detto semplicemente. Le ho detto che i due maro’ sono ancora a New Delhi e che il processo non e’ ancora iniziato. Sembrava sorpresa, ma non si e’ espressa nemmeno in questo caso. Ho chiesto quando era l’ultima volta che avevano visto Jelastine. “”Appa” (papa’) era partito sette giorni prima, era uscito di casa alle cinque del mattino, come faceva sempre”. Vi eravate sentiti per telefono? “No, quando sono fuori a pescare, non c’e’ segnale”. Quando avete saputo dell’incidente? “alle 7.30 di sera ha chiamato la polizia e ce l’ha detto”.
   Jelastine era l’ultimo di otto fratelli, originari del Tamil Nadu, e non aveva piu’ i genitori. In casa si parla tamil che e’ simile al malayalam. Il padre di Dora invece abita vicino ed e’ presente all’intervista. Arrivano anche altri parenti, un impiegato di banca e poi i vicini di casa incuriositi dall’ospite straniero.
   Ho portato un famoso libro di Cheetan Bhagat per Derrick (che pero’ lo aveva gia’ letto), un dolcetto e un barattolo di Nutella per Dora.
    Ho poi spiegato che negli ultimi due anni ho passato molto tempo a occuparmi dell’incidente e che in Italia si parla spesso di Jalestine e di Ajeesh. Ma dal loro silenzio capisco che non hanno perdonato e non ho insistito oltre.
   L’incursione della polizia ha poi creato molta tensione e si vedeva chiaramente che gli agenti, e anche un tizio che e’ lo “spione” del quartiere, sono ostili alla famiglia. Spero solo che la mia visita non abbia creato ulteriori problemi.

Slow Travelling/ Da New Delhi a Kochi e l'elogio della lentezza

Kochi 8 marzo 2014

Sono partita da New Delhi la notte del 24 febbraio e, “lentamente, molto lentamente” sono arrivata oggi a Kochi a riprendere la moto e con essa il mio viaggio lungo la Malabar Coast.
La citazione e’ dall’ultima favola di Luis Sepulveda “Storia di una lumaca che scopri’ l’importanza della lentezza” e che mi ha fatto compagnia durante le ore in treno.
La lumachina di Sepulveda che viaggia alla ricerca di se stessa e’ veramente coraggiosa perche’ lascia la sicurezza del Paese del Dente di Leone e non ha paura di essere “diversa” dai suoi simili. E alla fine, con l’aiuto di altri esseri viventi lenti come lei, non solo trova il suo nome, Ribelle, ma anche salva la vita le compagne lumache. Un elogio della lentezza, della solidarieta’ e della liberta’ di pensiero...
Cosi’ dopo essere arrivata con un Volvo bus (troppo veloce) a Jaipur, e fatto pausa dal mio amico Calogero, ho preso un treno per Mumbai che in piena notte si e’ imbattuto in un temporalone che lo ha rallentato ulterirmente. Sono arrivata verso le nove a Mumbai central e ho trascorso una lentissima giornata a passeggiare con l’audio guida al bel museo del Princes of Wales (che si chiama ora Chhatrapati Shivaji Maharaj Vastu Sangrahalaya) e poi al Gate of India per finire con la birra al Leopold dove ci sono ancora i segni dei proiettili dell’attacco terroristico del novembre 2009. La memoria e’ lenta a svanire.
Alla mezzanotte sono salita su un altro treno notturno per Goa, pieno di chiassosi vacanzieri, che mi ha depositato a Margao di buon mattino. Nell’ex colonia portoghese, mi sono fermata per il Carnevale e per immergermi di nuovo nel caldo abbraccio del mare Arabico, in quel paradiso di spiaggia che e’ Palolem ora che non ci sono molti turisti. 

 Con un altro treno notturno, a passo d’uomo quasi, sono scesa lungo la costa del Malabar, tra decine di chai e banane fritte. Ogni tanto, quando il treno si fermava in una stazione, scendevo per sgranchirmi  le gambe o bere un po' d’acqua fresca. A meta’ mattinata, il treno sembrava  un bazar, con ambulanti che vendevano orecchini, braccialetti, persino dei semi di piante di pomodoro.

Sono arrivata alla Ernakulam Junction felice come una Pasqua, ho preso il ferry per Fort Cochi, poi a piedi fino al Padakkal Hotel...e lei era li’ in un angolo ad aspettarmi un po’ impolverata. La mia moto.

Goa, e' Carnevale, ma niente scherzi con le donne

Panjim (Goa),  Primo marzo 2014

Non ero mai stata al Carnevale di Goa e devo dire che mi ha fatto un certo effetto, perche' mi  ha ricordato quello della mia citta', Chivasso, dove pero' c'era anche una furiosa battaglia delle caramelle, poi vietata dopo che qualcuno e' rimasto accecato.

A Panjim, il capoluogo dell'ex colonia portoghese, sono sfilati circa 100 carri allegorici. Ovviamente non mi aspettavo un clima brasiliano, siamo pur sempre in  India, ma sono stata un po' delusa. Mancava un po' quello spirito carnevalesco sia nella folla che nella sfilata, che in alcuni momenti era perfino seria.
Uno dei temi del Carnevale era infatti la violenza contro le donne che non e'  certo uno scherzo.  Il 're" del carnevale di Goa e' invece "King Momo", che ho scoperto e' un personaggio comune nei Paesi latino americani.