L'India misteriosa e il miracolo informatico

Tra le mie ultime sfighe c'e' quella del collasso del mio laptop, forse per i 46 gradi massimi che New Delhi ha toccato un pomeriggio o per le continue fluttuazioni della corrente elettrica. Il portatile, fatto per il mercato italiano, non ci e' abituato. Come, forse, non ci sono abituati gli speaker Ubs Logitech improvvisamente ammutoliti.
L'emergenza digitale mi ha fatto conoscere quello che e' uno dei piu' grandi misteri dell'India. Non i fachiri o il sesso tantrico, ma il boom informatico! Continuo infatti a non comprendere come l'India possa promuovere se stessa come paradiso dell'high-tech. Qualcuno me lo spieghi, per favore.
Se avessi una telecamera vorrei filmare il Service Center dell'HP dove ho portato il cadavere del mio laptop. Ho scoperto che e' a pochi passi da casa mia, ma non l'avevo mai notato. Pensavo fosse un rigattiere o quei posti dove si portano a macerare la carta. Non esiste insegna, ma solo una sbiadita fotocopia su un muro scrostato dove c'e' scritto SERVICE CENTER. Le vetrine sembrano abbandonate da secoli, i muri sporchi e le poltroncine bisunte. Manco la sala d'aspetto della stazione piu' povera dell'India e' ridotta a un simile degrado. Se ci si guarda bene intorno, si capisce che il centro e' nato in origine come Compaq. Poi deve essere successo qualcosa di tremendo. Il tizio alla reception sembra rinchiuso nel braccio della morte tanto e' depresso. Eppure di gente ne arrivava, ognuno con un laptop sotto braccio e tante aspettative come me.
Il responso e' arrivato dopo due giorni. Un ragazzo mi ha mostrato l'hard disk che aveva appena estratto su un bancone da calzolaio. ''Lo senti questo ronzio?''. Io ho fatto segno di si credendo che fosse la risposta giusta. ''E' danneggiato'' ha sentenziato il tecnico senza variare espressione facciale. Non volevo solidarieta', ma almeno due parole di condoglianze. Nulla.
Il giorno dopo ho affrontato il girone infernale di Nehru Place, una serie di palazzoni decadenti dove migliaia persone ogni giorno entrano e escono con ogni tipo di attrezzatura elettronica sulla testa, sulle spalle, in braccio e in mano. Se Dante l'avesse vista, avrebbe aggiunto Nehru Place all'elenco delle bolge magari confinandoci Bill Gates.
Lo show room Dell sembrava un mercato del pesce, quello HP invece va un po' meglio. Ed e' li che il mio nuovo desktop da cui scrivo e' stato portato via sulla testa di un facchino che come Pollicino ha segnato il suo tragitto con ampi sputi rosso-arancioni.
Visto che c'ero, a Nehru Place, sono andata anche a fare una capatina al service center della Logiteck. Trovarlo in fondo a un corridoio dove vendono programmi piratati come alal fiera del paese, e' gia' stata un'impresa. Entrarci sgomitando tra la gente che agita circuiti elettronici come fossero pagnotte, e' stato un miracolo. Il centro e' uno sgabuzzino buio, per giunta maleodorante, con un ''buco'' per ricevere i pezzi difettosi e l'altro per consegnare quelli riparati. Siccome ero gia' abbastanza incazzata, i miei speaker sono passati sopra le teste e finiti direttamente sul bancone pieno di computer che, secondo me, sono fatti con gli e-waste della periferia est di Delhi. Non erano guasti, il problema era il cavetto di collegamento. Ma come si fa a rompere un cavetto dopo un mese? L'unica risposta dal tecnico-robot e' stato: ''i cavi non sono in garanzia, non possiamo sostituirli''. Avanti un altro. E questo sarebbe il ''back office'' del mondo

Tagore, io l'ho scoperto solo in India

L'India ha deciso di dedicare il 2010 a celebrare Rabindranath Tagore, poeta e intellettuale bengalese, nonche' premio nobel per la letteratura nato nel 1861. Da quest'anno si celebra il 150esimo anniversario della nascita. Sono stata nella casa-museo di Tagore a Calcutta in un giorno in cui era allagata per il monsone. Mi ricordo ancora che ero stata costretta a prendere un riscio', gli ''uomini cavallo'' come ci sono ancora a Calcutta. C'era oltre mezzo metro d'acqua e mi sarei bagnata troppo. Sono state solo poche decine di metri fino davanti alla cancellata, ma mi rimarra' per sempre impresso il poveretto che mi ha guadato fino a un posto all'asciutto. A Santiniketan, la citta' d'origine, dove c'era l'ashram, non sono andata, e me ne pento.
Ho scoperto Tagore in India perche' non l'avevo mai studiato al liceo. Per caso una delle prime poesie che ho letto e' anche diventata la mia preferita:

LUNGO MOLTI ANNI
A GRANDE PREZZO
VIAGGIANDO ATTRAVERSO MOLTI PAESI
ANDAI A VEDERE ALTE MONTAGNE
ANDAI A VEDERE OCEANI
SOLTANTO NON VIDI
DALLO SCALINO DELLA MIA PORTA
LA GOCCIA DI RUGIADA SCONTILLANTE
SULLA SPIGA DI GRANO

Trappole per topi


Questa che si vede qui a fianco e’ una trappola per topi ‘Made in India’. E’ una gabbietta (ci sono diverse dimensioni a seconda della preda) con una porta a scatto collegata con una bacchetta a cui si attacca l’esca. Dall’altro lato c’e’ una porta per l’ ‘uscita’. Per catturare il topolino che si e’ intrufolato in cucina ieri sera rovinandomi la serata e’ bastato un pezzo di pane. I topi indiani non vanno a formaggio. Pero’ sono considerati ‘sacri’, almeno dicono. Una volta sono finita anche in un tempio dedicato ai topi a sud di Bikaner, una delle esperienze piu’ traumatiche della mia vita. In effetti, spesso nei negozi mi capita di vederne e nessuno sembra curarsene. Una volta ero al ministero degli esteri e ce n’era uno che faceva capolino dal condizionatore sopra l’impiegato. Nelle fogne si vedono quelli grossi, pelosi e neri, come i maiali che qui non hanno nulla delle rosee tenerezze a cui siamo abituati.
Non ho idea se esistano altre trappole per topi simili nel mondo. Anzi mi verrebbe voglia di fare una ricerca, potrebbe essere interessante anche se magari qualcuno lo ha gia’ fatto.
Comunque e’ abbastanza intrigante la gabbietta acchiappa topi. La domanda che viene spontanea e’: che se ne fa del topo dopo? La risposta l’ho trovata osservando un vicino che una volta e’ uscito di casa e ha liberato il topo in strada. Io non ho mai avuto il coraggio di aprire la porticina di uscita. Una volta ho chiesto aiuto al chowkidar (la guardia di quartiere). Oggi invece, andavo di fretta, e dopo aver spinto fuori la gabbietta me la sono dimenticata sotto il sole. Sono tornata dopo un paio di ore e il topo era stecchito.