Nepal, gioie e dolori del trekking fai da te


Da oltre un anno il Nepal ha introdotto una sorta di ‘’tesserino dell’escursionista’’ o TIMS card, dove Tims sta per Trekkers Information Management System. Ebbene si’, nell’era digitale anche la cosa piu’ elementare di questo mondo come camminare in montagna diventa parecchio complicata oltre che costosa. La tessera costa 20 dollari per i trekkers ‘fai da te’, ma scende a 10 dollari per i gruppi organizzati.

Quando sono arrivata a Kathmandu, l’altra setttimana, non ci potevo credere che un paese come il Nepal, sull’orlo della bancarotta e con enormi problemi politici, avesse avuto una tale pensata. Mi viene in mente l’India, dove oltre 600 milioni avranno presto una carta di identita’ elettronica, ma sono costretti a defecare all’aperto perche’ non hanno i servizi igienici. Lo scopo della Tims e’ sensato perche’ permette di avere informazioni sui turisti presenti in una certa area in caso di calamita’ o incidenti. Certo, bisogna vedere poi se qualcuno mette i dati e la foto in un computer collegato con altri computer. Cosa che dubito. Saro’ sospettosa, ma a me sembra piu’ un modo per spennare ulteriormente il povero escursionista straniero. Non si spiega, per esempio, perche’ i diplomatici e i residenti in Nepal sono esclusi…

Io comunque mi sono rifiutata di comprare sia la tessera che il permesso per entrare nel parco dell’Annapurna (i cui confini sembrano espandersi a vista d’occhio con l’arrivo della stagione turistica). Il risultato e’ che l’ufficio turistico di Pokhara dove sono andata a chiedere informazioni per i ‘’free trekking’’ mi ha preso a pesci in faccia. Dopo lunga insistenza, una bella ragazza con i capelli alla valentina mi ha mostrato un elenco di localita’ ‘’gratuite’’ nella vallata, ma nulla di piu’. Niente soldi, niente cammello, come si dice. Quindi sono partita per il ‘’Royal Trekking’’, detto cosi’ perche’ l’aveva fatto il principe Carlo negli anni Ottanta (c’e’ una foto nell’hotel Fish Tail Lodge sul lago), ma da allora caduto in un misterioso oblio. A tal punto che non ho trovato mappe o indicazioni. Ogni volta provavo a chiedere qualcosa la risposta era: “25 dollari al giorno per la guida’’ ancor prima che aprissi bocca.

Insomma e’ chiaro che la mafietta delle agenzie, tour operator, hotel. tassisti e negozi di equipaggiamento, mal sopporta chi va a camminare per i fatti suoi. E’ comprensibile. ‘’Questa povera gente vive solo di turismo, guardati intorno..cosa c’e’ d’altro in Nepal se non queste montagne’’ mi faceva notare un amico incontrato per caso in un internet café’. Vero. Spero solo che tutto questo denaro – Pokhara e’ strapiena di turisti adesso – vada a buon fine, ovvero per la natura e la conservazione dell’Annapurna.

Per quanto riguarda il Royal Trekking (detto anche Annapurna Skyline), in parte e’ stato asfaltato, e quindi ci passava la corriera ogni mezzora. La seconda parte invece e’ ancora, per fortuna (mia, ma non degli abitanti) vergine. Il ‘fai da te’ e’ stato tutto sommato divertente. Senza mappa, segnali e guide, e’ stata una avventura nel vero senso della parola. In tre giorni non ho incontrato nessun altro escursionista, solo contadine con enormi fasci di erba sulla schiena, pastori con greggi di capre,orde di bambini che mi chiedevano ‘’sweets’’ e ragazzi che costruivano delle enormi altalene come e’ tradizione per la festa di Dashain (Dusseira come la chiamano in India). Dopo essermi persa, una sera, sono finita in un villaggio, Shyaklung, che sembrava uscito dal pennello di Claude Monet tanto era perfetto con le capanne dal tetto di paglia, le cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, le caprette, una famiglia di anatroccoli, il bufalo nella stalla. E poi fiori ovunque, farfalle, aranceti e bananeti. Una famiglia di un ex militare dell’esercito indiano con un figlio in Giappone e l’altro a Dubai, mi ha affittato una stanza della sua casa dove per terra c’erano delle macine di pietra con tracce fresche di farina. L’intera abitazione sembrava costruita apposta per un museo di etnografia sulla vita contadina. La cucina con il focolare in un angolo per terra, mastelli per fare il burro e altri utensili che secondo me valgono una fortuna da noi. Un gabinetto fuori in giardino, niente lavandino o doccia. Anche perche’ non c’e’ acqua corrente. La si va a prendere con i secchi alla fontana del villaggio. Al posto del pavimento ci sono le stuoie. Anche se c’e’ la corrente elettrica e’ il sole a scandire la giornata.

Alle 19.30 ero gia’ sulla branda durissima nella completa oscurita’ quando e’ successa una cosa surreale. Della disco music ad alto volume proveniva da una capanna a valle. E’ andata avanti per una mezzoretta interrotta da una voce maschile che giocava a fare il deejay. Il mattino dopo il capofamiglia mi ha spiegato che era lo ‘’scapolo’’ del paese che di recente si era comprato un impianto stereo con karaoke….

1 commento:

corrado colombo ha detto...

Il racconto mi risveglia ricordi di villaggi del Ladakh fuori dalle aree allora consentite agli stranieri in cui riuscii ad introdurmi furtivamente 25 anni fa. Anche allora ricordo che in un villaggio dall'atmosfera da medioevo idealizzato da una casa usciva il frastuono di una musica rock che proveniva da una radio (naturalmente a pile) incredibilmente potente (nonchè gracchiante). Conto di riportarci i miei figli l'estate prossima, e mi piacerebbe anche portarli in Nepal. farò tesoro delle indicazioni. Grazie.
Corrado Colombo