Sono spariti i fricchettoni da Rishikesh?


Approfittando del monsone poco abbondante di quest’anno, sono partita da New Delhi con l’intenzione di raggiungere le sorgenti del Gange. Ma arrivata in scooter alle prime alture himalayane a Rishikesh ho dovuto rinunciare a causa della pioggia. Le montagne erano inghiottite da nubi minacciose. Dal Gange uscivano vapori che mi ricordavano le illustrazioni dello Stige quando studiavo la Divina Commedia. Tra l’altro, un po’ di anni fa per caso ero andata a una conferenza di uno studioso indiano che era convinto che Dante si fosse ispirato al Gange. Potrebbe essere vero.
Prima di Rishikesh mi sono fermata a Haridwar, la città sacra più importante in India dopo Benares, penso. Mentre Benares è la città dei morti, Haridwar è la città dei vivi. In pochi posti ho visto un’umanità così gioiosa usare il fiume come un parco giochi naturale. C’era chi si tuffava con piroette, chi si lasciava trascinare dalla corrente, altri sguazzavano felici. Il fiume è ancora pulito qui, anzi pare abbia anche delle proprietà terapeutiche. Le sue acque non imputridiscono e anche con la calura sono sempre gelide. Ho fatto il bagno anch’io, in mutande e reggiseno, nel “ghat” coperto riservato alle donne. Ma mi sono presa paura quando qualcosa - penso un grosso pesce - mi ha sfiorato i piedi. Il prossimo anno ad Haridwar si tiene il Kumba Mela con milioni di pellegrini.
A una ventina di chilometri di distanza Rishikesh, capitale dello yoga e meditazione, resa famosa nel 1968 dai Beatles che ci passarono tre mesi, è piena di stranieri. Stranamente non sono i soliti fricchettoni. Ho visto anche molti italiani passeggiare lungo le rive del fiume tra l’odore di letame delle vacche misto all’incenso delle puja. Che la crisi abbia orientato la gente verso vacanze alternative? A Laxmanjula, ho trovato una splendida stanza con balcone e vista sul Gange a pochi euro. Rishikesh rimane e penso rimarrà sempre affascinante per gli occidentali in cerca di misticismo orientale. Sono andata a un corso di Hata Yoga (100 rupie) in uno dei tanti ashram. Lo yogi era un ragazzo carino con i capelli oliati, inglese perfetto e tunica bianca. Tiene due corsi al giorno, al mattino alle sette e al pomeriggio alle 4.30. Sono sempre pieni di stranieri. Prima spiega le posizioni, poi le mostra e poi chiede di eseguirle. Il mio vicino, un gigante scandinavo, sbuffava come un treno mentre cercava disperatamente di incrociare le gambe nella posizione del loto. Era la prima volta che facevo yoga. Sono riuscita a fare quasi tutto (lo yogy mi ha detto che ho “flessibilità”), ma la posizione del “dead body”, usata per il rilassamento, mi sembrava decisamente macabra. Alla fine abbiano recitato l’om shanti shanti shanti, ma mi veniva da ridere. Mi ricordava il film commedia The Guru dove un indiano si improvvisa come santone a Manhattan…

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