RECENSIONE/ The Good Life, documentario di Ammaniti sugli ex hippy italiani in India



 New Delhi, 4 aprile 2015

    Ho visto su dvd ‘The Good Life’, il documentario-reportage dello scrittore Niccolò Ammaniti dedicato a tre italiani ex ‘fricchettoni’ che hanno scelto di vivere in India da ormai diversi decenni.  Due sono dei ‘baba’, Shiv Das e baba Giorgio, mentre il terzo è Eris che vive con la moglie Francesca e i figli sull’Himalaya.
   Onestamente non mi è piaciuto molto e non ho capito neppure dove vuole andare a parare. L’idea – leggo nell’opuscolo allegato – è  di raccontare l’Italia attraverso gli occhi, un po’ offuscati, di questi tre italiani? L’Italia degli anni Settanta e della contestazione? Se è così non è molto riuscito perché i ricordi sembrano quelli di semplici immigrati, un po’ nostalgici e un po’ rabbiosi, come ce ne sono molti nel mondo.
    Ammaniti, che ha fatto un viaggio shock in India nel 1991, quando ha incontrato un baba italiano a Rishikesh, forse è rimasto fermo alle immagini di allora o per lo meno cerca ancora quell'India.

    Questo documentario è il suo primo lavoro come regista e probabilmente manca un po’ di esperienza. Lascia parlare a ruota libera i protagonisti, ma senza un minimo di contestualizzazione. Non si sa neppure dove stanno, a parte Shiva Das, che lo si vede in barca sul Gange a Varanasi.
    Vedendolo con gli occhi di giornalista, mi sarei aspettata un minimo di sforzo in più nel descrivere i personaggi invece di lasciare a loro di farlo in un italiano approssimativo e con concetti un po’ confusi.
   Insomma non si capisce molto che cosa è la ‘good life’ e alla fine ne viene fuori la solita immagine un po' stereotipata dell’India come posto dove si può fare quello che si vuole in santa pace, come se ben ricordo dice uno dei tre protagonisti.
   Molto criptica anche la dottissima recensione di Emanuele Trevi, sempre nell’opuscolo allegato, dove prova con citazioni letterarie che già nel Cinquecento le Indie orientali erano una meta ‘alternativa’, in particolare per i predicatori gesuiti.
    Lui offre una definizione di Good Life come ‘non una vita buona tra le tante che si potevano vivere, ma l’unica vita che era possibile vivere’. Quindi non una fuga dall'Occidente, ma addirittura un richiamo irresistibile.

1 commento:

Anonimo ha detto...

A me il documentario è piaciuto moltissimo e non concordo con il giudizio così negativo della recensione. Premetto che non sono alla ricerca di modelli mitici o paradisi ameni, perché secondo me il paradiso è solo dentro, quando il dentro è connesso in modo vasto col fuori; e quindi ovunque, se si riesce ad attuarlo! Ed io ne intravedo la condizione solo a sprazzi discontinui.
E questo il documentario mostra: la ricerca di tre esseri semplici ma inarrestabili, degli eroi in un mondo di anestetizzati "polli in batteria". Che hanno la limpidezza di non proporre soluzioni per tutti, la pappa pronta tanto ambita dagli anestetizzati e da coloro che campano propinandogliela, ma mostrare con purezza il loro percorso nel cercare di rispondere ad un anelito interiore che, come tale, è esclusivo di ogni essere umano e quindi non vendibile.
Il regista ha il merito di aver fatto un passo indietro per lasciare il campo ai protagonisti, senza cercare di incanalare il tutto in un tracciato "pre-disposto" come invece troppo spesso accade ai media che non raccontano eventi ma proclamano sé stessi o chi regge i loro fili.
Il regista è stato tanto meravigliosamente "assente" da permettere ai tre protagonisti di aprire il proprio intimo senza prosopopee da reality italiota, con animo aperto a raccontare che crea empatie sottili, immuni da proselitismo o piaggeria.
Questo permette di creare ponti sottili anche tra esseri che sono assolutamente diversi. Io ad esempio non condivido assolutamente le scelte di vita dei tre, ma non le condivido per ME, perché la mia unicità non realizza la sua armonia con le loro scelte ed i loro stili di vita. Eppure apprezzo profondamente la bellezza dei loro percorsi e delle incertezze che tuttora sussistono nella loro ricerca di risposte, a causa delle chiarificazioni interiori non realizzate.
Mi fermo qui, contemplando anche grazie a quest'opera la perfezione delle innumerevoli strade da percorrere.
Luca