ALLE SORGENTI GANGE/5 - Dove nasce la sacra Yamuna, tra terme e sherpa nepalesi

La sorgente della Yamuna, il fiume piu’ sacro in India dopo il Gange, si trova in fondo a una stretta gola a oltre 3.200 metri altitudine. L’acqua proviene da un ghiacciaio visibile sulla montagna di Bander Poonch (6.316 metri), dove il dio scimmia Hanuman ha ''spento'' la sua coda in fiamme dopo una battaglia contro il demone Ravana dello Sri Lanka.

Circa un secolo fa, un maharaja di Jaipur ha costruito qui un tempio in onore della dea Yamuna, personaggio mitologico che e’ sorella di Yama, divinita’ della Morte e di Surya, il dio Sole. Con gli anni e dopo diversi terremoti, intorno al tempio e’ sorto un ashram e diverse strutture di cemento decisamente orribili, ma - si sa – e’ inutile cercare nell’induismo canoni estetici che appartengono alla tradizione filosofica greca e occidentale.

Per la natura rigogliosissima, le foreste profumate di cedri himlayani (‘’deodar’’) e di rododendri puntellate di cascate e del bianco scintillante dei ghiacciai, il posto ha invece una grande energia.

Mi piace molto l’idea di venerare i fiumi e associarli all’idea di ‘’madre’’, origine della vita. L’acqua sorgente di vita, e’ un concetto universale che si trova anche nel cristianesimo. Non e’ con l’acqua del Giordano che Giovanni Battista ha battezzato Gesu’? La medesima acqua del fonte battesimale e che si asperge in chiesa durante la messa...L’acqua...tra un po’ di giorni gli italiani sono chiamati a esprimersi sul questa preziosa risorsa in un referendum. Il concetto e la simbologia dell’acqua e’ forse quello che piu’ mi affascina in questo pellegrinaggio del Char Dham, le quattro sorgenti del Gange.

Il tempio di Yamunotri e’ incastonato in fondo alla vallata a cui si arriva dopo 6 chilometri di cammino abbastanza facile e agevole non fosse per la folla di devoti (‘’yatri’’), muli, portatori e portantine, trattorie, negozi e anche la polizia con i fischietti. Non certo una combinazione ideale per la sacralita’ del luogo.
La povera madre Yamuna – ‘’Jai Mata Devi’’ (Viva la Madre divina ) e’ quello che ripetono a ogni svolta della mulattiera di cemento – sembra essere bisfrattata anche qui oltre che a New Delhi, dove funziona da rete fognaria per la metropoli.
Lungo il sacro torrente, in prossimita’ delle dhaba e degli ambulanti di chai, sorgono intere discariche, soprattutto bottiglie e bicchieri di plastica, oltre agli impermeabili usa e getta. Mi hanno detto che i rifiuti biodegradabili sono interrati e la plastica bruciata, certo pero’ non e’ un bello spettacolo.

Il sentiero parte da Janki Chatti, un ex alpeggio con una decina di baite baite che vedo, oggi trasformato in parcheggio e immensa stalla per le centinaia centinaia di muli con i campanelli e le bardature colorate che vanno su e’ giu’ per trasportare anziani, bambini, cardiopatici e anche moribondi. La stagione e’ corta qui, solo sei mesi, poi l’intera vallata si chiude e anche i bramini del tempio se ne vanno.
Dal villaggio di Karadhi, dove mi sono fermata per la notte, c’e’ un’ora e mezza di macchina. In passato la strada si fermava prima a Hanuman Chatti e quindi c’erano 6 km in piu’ da fare a piedi.

Non volendo usare lo scooter, ho scroccato un passaggio a un gruppo di uomini provenienti dal Maharashtra occidentale che mi hanno poi ‘’adottata’’ nella camminata.

Sono partita alle 4.30, era ancora notte e due ore dopo ero a far colazione all’inizio della mulattiera con il gruppo. Verso le 11, camminando senza fretta, eravamo in cima. Una pioggia a intermittenza, per fortuna non battente, ci ha accompagnato per tutta la salita.

Sotto il tempio di Yamunotri ci sono delle vasche con acqua calda sulfurea, un fenomeno frequentissimo nell’Himalaya, motagne giovani, ancora in ebollizione. Come in altri posti anche qui la tradizione e’ di bollire le patate o sacchetti di riso che si comprano sulle bancarelle. Poi si compie il bagno rituale, separati tra uomini e donne. Purtroppo la sezione femminile, un piccolo antri buio pieno zeppo di signore che armeggiavano con sottovesti e sari, non era molto invitante, e quindo ho rinunciato al bagno caldo, ma nel tempio sovrastante ho ricevuto la benedizione della dea Yamuna, non so se vale lo stesso.

Pare che chi si bagni in queste acque sia risparmiato da una morte violenta. Ma quando ho chiesto se era vero ai miei compagni di viaggio, mi sono accorta che in realta’ non sapevano nulla della storia mitologica di Yamuna e Yama e della mitologia legata al posto. Ho notato anche che non c’erano ‘’sadhu’’, di solito presenti in gran numero in queste luoghi sacri. Qualcuno mi ha detto che sono nelle foreste o in caverne in quota a meditare. In effetti sarebbero pazzi a stare in una calca del genere. Di sicuro avranno delle vasche di acqua calda tutte per loro in mezzo alla neve...

Piu’ che la Yamuna, per me e’ stato piu’ interessante osservare il fiume umano che saliva in tutti i modi sulla montagna per bagnarsi nelle sorgenti e portare a casa le ampolle di acqua sacra (‘’da versare sulle pire funebri’’ mi e’ stato detto). Avendo gia’ compiuto il Yamarnath Yatra, in Kashmir (lo Shiva linga di ghiaccio), sapevo gia’ di questi fenomeni collettivi che poi sono simili i pellegrinaggi nostri, a Lourdes o a Santiago di Campostela.

Mi sono accorta di come la religione sia veramente la colla dell’India. Ho incontrato gente del Tamil Nadu, del Madhya Pradesh, Rajasthan, Mumbai e Gujarat. Su questi sentieri del Char Dham si vede l’India intera, nelle sue diverse lingue, cibo e indumenti. Si parla in telugu, marathi, tamil, malayalam e altri dialetti, oltre agli idiomi nazionali dell’hindi e inglese. Si trovano spesso gruppi di amici come i miei compagni che avevano un pacchetto di dieci giorni per il Char Dham o le cinquanta donne di Ahmedabad che stavano (in cinque o sei camere!) del mio albergo. Ma ci sono anche delle famiglie della media borghesia arrivate fin quassu’ in macchina in fuga dalle afose pianure di Delhi, Uttar Pradesh, Haryana o Punjab con il pretesto religioso...

L’immagine piu’ terrificante e’ stata pero' quella dei portatori nepalesi, gli ''sherpa'' che con una gerla sulla schiena attaccata alla fronte, portano su quelli che non riescono (o vogliono) camminare. Ho visto alcune donne che pesavano almeno 70 kg. E’ senza dubbio uno dei mestieri piu’ duri che abbia mai visto. ‘’Solo i nepalesi ci riescono’’, piccolo e tarchiati, le gambe che tremano e che sembramo cedere da un momenti all’altro e una perpetua smorfia di dolore stampata sul viso da cui scendono gocce di sudore.

Dopo di loro, ci sono quelli delle portantine, costretti a marciare simultaneamente come i soldati, e che portavano donne e uomini grassissimi.
A fine giornata, la pioggia, poi aveva trasformato il sentiero in una coltre puzzolente di fango, letame dei muli e urina. Le carovane e i portatori poi si erano messi a correre, sballonzollando i corpi dei loro clienti coperti da teli di plastica. Alcuni muli poi avevano iniziato a ragliare e a tirare calci. Nei punti piu’ stretti, si creavano degli assurdi ingorghi tra i pellegrini piu’ poveri in ciabatte infradito che scivolavano a ogni passo. I padroni dei muli che urlavano ‘side, side’’, i quattro uomini cavallo delle portantine che praticamente facevano il vuoto intorno a loro e i poveri nepalese, piegati sotto le loro gerle. Insomma una scena da girone infernale riservato a idolatri e pagani, naturalmente.

Nessun commento: