SH08, Leh, l’ospizio degli asinelli

Spedizione Himalaya 2008, giorno trentaquattro, Leh-villaggio di Sankar (4 km)

Come prevedibile in queste settimane Leh è affollatissima. Il Ladakh è la destinazione turistica per eccellenza durante la stagione monsonica. La temperatura perfetta, i trekking e la cornice buddista-tibetana, più la facilità di accesso per via dell’aeroporto, attirano turisti da tutto il mondo. Ho perfino l’impressione camminando per strada che gli stranieri siano in numero superiore ai locali.
Dopo un po’ di vasche nel “main bazar” ho deciso di esplorare la valle a monte di Leh, dove sorge il villaggio di Sankar. Il paesaggio è bucolico fatto di ruscelli, campi di fiori e di grano, frutteti e case in impeccabile stile ladakho. C`è anche un monastero dove ci sono due stanze completamente affrescate. A fianco c’è una sontuosa residenza che è quella del lama capo del Ladahk, Kushok Bakula Rinpoche.
Ma in realtà la mia meta era il “Donkey’s Sanctuary”, l’ospizio degli asini, di cui avevo visto e fotografato un manifesto affisso su un muro in città. Non è stato facile trovarlo, alla fine una contadina mi ci ha portato a passo agile attraverso i campi. Si tratta di un appezzamento di terra dedicato a “asini di strada” o “randagi”. Quando ero venuta a Leh due anni fa avevo notato che di notte, quando le strade erano vuote, c’erano decine di asinelli che si contendevano la spazzatura con mute di cani e qualche mucca. Con la disponibilità di auto e camioncini molte di queste bestie da soma sono diventate “disoccupate” oppure sono troppo vecchie per essere usate nei trekking. Come mi ha spiegato il responsabile del rifugio, Stany Wangchuk, che in realtà è un tour operator che lavora con molti gruppi italiani, i proprietari li hanno semplicemente abbandonati in strada quando non gli servivano più. I piccoli asinelli in particolari sono frequentemente attaccati dai cani randagi. Circa un anno fa, una giornalista e vignettista di Capetown si è impietosita e insieme a Stany ha deciso di fare qualcosa.

Hanno raccolto i soldi per affittare il terreno e hanno assunto. Un mese fa hanno aperto il rifugio. Come (quasi) sempre in India, c’è sempre un input straniero dietro questo tipo di iniziative. Lo so, come afferma il mio amico e architetto italo-elvetico Andreas, che lavora da tre anni a Leh, prima dei quadrupedi bisognerebbe occuparsi dei bipedi che nei villaggi remoti se la passano abbastanza male. Ma l’asinello fa tenerezza e anch’io mi sono commossa di fronte ai piccoli di 5 o 10 giorni saltellare dietro la madre o all’asino zoppo che finalmente ha trovato un posto riparato e biada tutti i giorni. Ho visto poi i poveri animali sotto il peso di enormi carichi su per le mulattiere dei percorsi dei trekking. Insomma ho fatto la mia donazione di 100 rupie, scattato un sacco di foto e divertita ad accarezzare il ciuffo dei piccoli somarelli. Mi sono beccata pure una morsicata ad un gomito, probabilmente della madre infastidita. Ho cacciato un urlo, spaventata, ma per fortuna la ferita non era profonda, ma sono uscita in fretta dal recinto. I muri delle stalle e il cancello è pitturato con simpatiche caricature. C’è anche una citazione del Mahatma Gandhi che non so se è autentica, ma fa un certo effetto: “The greatness of a nation can be determined by the way its animals are treated”.

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