SH08, Sumda, un tesoro salvato dai discendenti reali del Ladakh

Spedizione Himalaya 2008, giorno trentatre, Leh-Sumda Chung

E` come da noi quando si trovano certe chiesette isolate che nascondono dei tesori d’arte. Sumda Chung è un villaggio di 12 anime, una cinquantina se si conta la diaspora, arroccato al fondo di una stretta vallata per ora ancora senza strada che confina con la catena dello Zanskar. E` un punto di sosta di un popolare trekking di sei giorni che va da Lamaruyu ad Alchi. Io sono arrivata dopo un’ora di auto da Leh e tre ore circa di cammino da Chiling. Una bella passeggiata solo lievemente in salita che fiancheggia un piccolo torrente intorno a cui crescono diversi tipi di fiori e bacche arancione.
Il motivo della mia visita era di vedere come il monastero, che risale all’XI secolo e che era in semirovina, è stato salvato grazie all’intervento di un’organizzazione non governativa gestita dal discendente della famiglia reale del Ladakh, Jigmed Namgyal. Un architetto di Delhi, Ajaydeep Singh Jamwal è uno dei responsabili dei lavori che sono ora concentrati sulla struttura. Stanno rifacendo il tetto che in parte era crollato dopo un anno particolarmente piovoso e in parte era stato riparato con dei materiali di fortuna. Con gli anni si erano anche accumulati quintali di fango e detriti che prima o poi avrebbero creato il collasso dei muri perimetrali. Il tesoro di questo piccolo gompa, che presenta una base rettangolare e due piccole “cappelle” laterali, come molti altri monasteri tibetano -buddista , sono gli stucchi che occupano tre pareti al fondo nel sancta santorum. Per estensione e per elaboratezza sono un pezzo unico di arte ladaco-hashimira. Mi hanno detto che non c`è nulla di equivalente negli altri monasteri. Gli stucchi rappresentano le varie reincarnazioni del Buddha, la cosmologia e diversi simbolismi che si trovano dei dipinti murali e nelle thangka. I colori sono accesi e risono mantenuti ancora bene, per quanto ho potuto vedere nella semi oscurità.
Sumda fa parte di una triade di monasteri, gli altri due sono Alchi e Mangyu, che ancora oggi sono meta di un famoso pellegrinaggio. Si potrebbe spiegare cosí la presenza di questo complesso di stucchi frutto del lavoro di artisti di passaggio. Ci sarebbe diversa letteratura a proposito, ma io non sono un’esperta di arte tibetana buddista e quindi mi sento abbastanza ignorante a proposito. Purtroppo qualche conoscenza in piú mi sarebbe utile a capire di più le cose che vedo nei monasteri che molti, io compresa, liquidano come “tutti uguali” . E’ evidentemente un giudizio molto semplicistico.
Lungo il cammino ho anche visto una macina in pietra azionata dall’acqua del ruscello. Era chiusa in un piccola costruzione, ho sbirciato dalle fessure della porticina. Intorno a Sumda ci sono campi di grano. E’ la loro sopravvivenza per l’inverno. Mi sarebbe piaciuto restare con il team dei restauratori accampato in un paio di stanze sotto il monastero e assaporare anche solo per un giorno la vita degli abitanti di Sumda, fuori dal mondo, eccetto che per due o tre mesi estivi. Ho incontrato anche due ragazzi francesi provenienti da Lamaruyu e diretti ad Alchi a cui si arriva attraversando il passo Stapski, uno dei tanti “cinquemila”. Si sale e scende in un giorno. Per due persone avevano ben cinque muli sovraccarichi di casse di legno, fornelli e cibarie varie. Comincio a pensare che tutto sommati questi trekking non siano così difficili…
Ritornando a Leh sono ritornata nella prima homestay, in campagna, che come prezzo (150 rupie per la singola) e pulizia è ottima. Nella guesthouse MoonLand dove sono stata per tre giorni allo stesso costo c’erano strani insetti rossi, tipo zecche, che mi hanno martoriato, a tal punto che sono stata costretta a prendere antistaminici. Da qualche giorno sono in compagnia di una mia cara amica italiana che vive a Delhi e che è arrivata in aereo con conseguente mal di altitudine che sembra inevitabile per chi arriva direttamente dalla pianura. Ma è solo questione di abitudine.

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