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CANARIE/L'enigmativo zifio e la balena alla deriva

Tenerife, 20 giugno 2023

   A nord di Corralejo, la colonia italiana e paradiso dei surfisti nell’isola di Fuerteventura, c’è un antico porto spagnolo, El Cotillo, risalente al XVII secolo. È stato un avamposto importante per i commerci con l’isola di Madeira, oggi portoghese. Di quel passato è sopravvissuto solo un pezzo di fortificazione, la Torre del Tostòn, da dove si respingevano a cannonate i pirati francesi e inglesi.  

Lo scheletro di zio a El Costillo (Fuerteventura)     (Foto Maria Grazia Coggiola)

  Sono arrivata a El Cotillo in bicicletta da una strada sterrata lungo la costa e che passa tra le più belle spiagge di Fuerteventura. Un bel percorso di circa due ore da Corralejo. El Cotillo oggigiorno è soltanto un attrazione turistica, le case dei pescatori sono ristoranti e lounge bar. Ma davanti alla massiccia torre ho scoperto qualcosa di veramente interessante che ha risvegliato la mia curiosità. Su un piedistallo sorge uno scheletro di ‘zifio’, una balena che somiglia un po’ a un siluro e che risulta essere uno degli animali più enigmatici e meno conosciuti sulla terra. Il cetaceo, leggo su un pannello, è stato ritrovato sulla costa nord di Fuerteventura il 24 luglio del 2004. Si ritiene che il suo spiaggiamento sia stato causato da esercitazioni navali in corso negli stessi giorni davanti alla costa del Marocco. Altre due balene sono state trovate morte a Lanzarote. Nelle manovre militari Nato-Usa, chiamate Majestic Eagle, che coinvolgevano diverse portaerei e sottomarini, sono stati usati i dispositivi sonar, che - come hanno provato studi scientifici - hanno effetti devastanti sui cetacei a causa dell’elevata potenza di decibel. Per fuggire al chiasso assordante dei sonar, usati per intercettare i sottomarini, le balene si immergono o riemergono velocemente andando incontro a danni legati alla decompressione proprio come avviene per i subacquei. In seguito il sonar è stato proibito in un raggio di 50 miglia dalle isole Canarie. Ma cosa sono 50 miglia per una balena?

La Torre del Tostòn a El Cotillo (Fuerteventura)  (Foto di Maria Grazia Coggiola)



   Lo scheletro di zifio che avevo davanti misurava 5.75 metri ed era una femmina adulta. Questa specie, nota anche come 'balena dal becco di Cuvier', è presente in tutti gli oceani, ma è molto raro avvistare gli esemplari nel loro habitat. Si pensa che siano in grado di immergersi a grandi profondità e rimanere diverse ore senza tornare in superficie a respirare. Non si sa se siano numerosi, ma non sono classificati tra le specie in via di estinzione perché di tanto in tanto si ritrovano negli spiaggiamenti anche in Meditarraneo. Mi sono ricordata che nel libro “Le Regine dell’Abisso”, la ricercatrice australiana Rebecca Giggs, scrive che “questi animali, a volte lunghi come autobus, esistono sugli spalti della storia naturale, in uno spazio tra la congettura e il campione. Si sa molto di più dei loro antenati, dai fossili custoditi negli archivi museali , che non delle creature viventi. Sono state chiamate ‘il gruppo meno compreso di animali di grossa taglia sulla Terra’”.

    Dopo Fuerteventura ho continuato la navigazione con la mia barca a vela Maneki verso Tenerife e per caso, di nuovo, ho avuto a che fare con un cetaceo spiaggiato. Per un paio di giorni, il tempo della mia navigazione, la stazione radio di Las Palmas ha lanciato avviso ai naviganti (sul canale VHF 16 che è quello sempre aperto quando si naviga) relativo a una “balena alla deriva” di circa 4 metri di lunghezza e di colore grigio-nero. La carcassa era stata avvistata a sud di Tenerife, più o meno dove sarei dovuta passare io, il che mi ha creato un po’ di apprensione. Un ostacolo di quattro metri è sufficiente ad affondare una barca di nove metri…e di notte è impossibile vederlo. Le allerte radio si sono susseguite ogni due o tre ore e ogni volta sempre con una diversa posizione espressa in coordinate. Sulla mia carta nautica ho tracciato il percorso della povera balena alla deriva che in 24 ore da sud Tenerife è finita a sud di Gran Canaria spinta da venti e correnti. L’ultimo bollettino che ho sentito prima di spegnare la radio dopo aver ancorato nella baia di Las Galletas, a sud est di Tenerife, e andare finalmente a dormire era che si trovava a Maspalomas. Nonostante la stanchezza, mi sono ricordata di un altro passaggio del libro che citavo prima, Le Regine degli Abissi, dedicato alla “whalefall” ovvero alla caduta della balena, che subentra in seguito alla decomposizione del mastodontico corpo. Innanzitutto il cetaceo morto galleggiante è un banchetto per uccelli marini, pesci e tutti coloro che si trovano nei paraggi. L’olezzo di una balena decomposta è terrificante, mi ricordo dell’unica volta che ne ho visto una spiaggiata a Palolem, a sud di Goa, la ex colonia portoghese nell’India meridionale. 

   Pare che un cetaceo morto possa galleggiare per settimane, dipende dalla specie e dalla quantità di olio nella testa. L’autrice Rebecca Giggs descrive minuziosamente gli effetti della caduta nel buio permanente dei freddi abissi oceanici dove va a sfamare un gran numero di creature. “Più di duecento specie diverse possono occupare la cornice di una sola carcassa di balena” una volta che è sul fondo oceanico, terreno ancora inesplorato dall’uomo e probabilmente fonte di molti segreti sulla vita terrestre. È solo dal 1977 che si osservano le “cadute di balene” che portano la vita negli abissi innescando un proliferare di organismi bizzarri e affascinanti. Il “cetaceo alla deriva” si inabisserà forse a 1000 o 2000 metri nell’Atlantico, dove non è mai stato da vivo, e sarà spolpato da creature che probabilmente nessuno ha mai visto o catalogato, proprio come gli zifi.

Canarie/ La 'caravella portoghese', un esempio di kibbutz marino

Valle Gran Rey (Gomera) - Lunedi' 3 aprile 2023

  La primavera si sente anche stando sul mare. Sono ancorata nella baia di Valle Gran Rey (sud-ovest della Gomera), sotto delle grandi scogliere che mi proteggono dagli alisei. Da quando e' iniziata la primavera, la temperatura dell'aria (e anche dell'acqua) e' aumentata e c'e' un certo fermento in superficie. Non so se esiste una "stagione degli amori" come per gli uccelli, ma ho notato un aumento nella presenza di fauna marina. Non solo pesci...questa che si vede nella foto e' una "caravella portoghese" (Physalia physalis), che sembra una medusa ma non lo e' affatto. 

Caravella portoghese vista dall'alto (Foto di Maria Grazia Coggiola)

 E' un simpatico esempio di cooperazione tra specie diverse, una 'colonia' di almeno quattro invertebrati differenti (come leggo da Wikipedia), nessuno dei quali sa nuotare...Sta su' perche' uno di loro gonfia una sacca di gas, tipo salvagente, sopra alla quale c'e' una specie di vela per avanzare con il vento.  Ognuno ha un proprio ruolo nel metabolismo di questa strana creatura, non esiste proprieta' privata, si lavora per il bene comune e si dividono equamente i frutti del lavoro. ovvero pesci e altri organismi che vengono catturati da lunghi tentacoli pieni di veleno.

Caravella portoghese vista di lato (Foto di Maria Grazia Coggiola)

La 'caravella portoghese' riesce anche a superare le polemiche gender, perche' - da quanto ho capito - i polipetti che stanno attaccati alla sacca galleggiante sono 'unisessuali'. Una specie di kibbutz marino, insomma, con un sistema di difesa niente male, anche nei confronti degli umani. Meglio non farsi toccare.

STORIE DI VELA/Canarie, la mia ancora e la 'desertificazione' dei fondali

La Seba canaria, come la Posidonia in Mediterranei, è vitale per l'ecosistema marino  

Baia di Santa Agueda (Gran Canaria), 25 febbraio 2023 

    Da un po’ di giorni mi ossessiona il pensiero che l’ancora della mia barca a vela Maneki rischia di distruggere una pianta marina autoctona, che si chiama Cymodocea nodosa e che è preziosissima per l’ecosistema. Ammetto la mia ignoranza in materia, quindi vado a tentoni. Innanzitutto non è una alga, ma una ‘pianta’ dotata di foglie, radici, fusto, polline, proprio come le sue sorelle in terraferma. Alle Canarie queste "praterie verdi" le chiamano ‘sebadales’, e sono l’equivalente delle preziose distese di Posidonia diffuse nel Mediterraneo.
Una pattuglia del Servicio de vigilancia y protection de las zonas ZEC (foto Maria Grazia Coggiola) 

   Perché sono importanti per l’ambiente? Oltre che produrre ossigeno grazie alla fotosintesi clorofilliana, servono da rifugio a tantissimi pesci e mammiferi, dai cavallucci marini alle testuggini. Il loro habitat e' il fondale sabbioso dai 5 ai 20 metri di profondita’, proprio quello preferito dalle barche per l'ancoraggio. L’ancora e soprattutto la catena che tiene ferma la barca ‘raschia’ il fondo e lo desertifica.

   Le sebadales sono diffuse in tutte le isole Canarie (eccetto Hierro e La Palma), ma la loro presenza si è drasticamente ridotta a causa della costruzione di infrastrutture, dell’inquinamento marino, della pesca a strascico e molto probabilmente anche delle numerose barche a vela alla fonda. Data l’importanza economica e ambientale, il governo canario ha avviato un progetto di monitoraggio e ripopolamento delle sebadales nelle zone Zone a Conservazione Speciale (ZEC), che sono le coste protette dell’arcipelago. La Seba canaria inoltre è stata inserita dal governo Madrid nella lista nazionale delle specie protette e a rischio di estinzione.

Cymodocea nodosa (Sebadales)  

   Non so come funziona la ‘restauracion'’, ma il controllo funziona. Qualche giorno fa un battello della pattuglia del Servicio de vigilancia y protection de las zonas ZEC si è avvicinato alla mia barca e mi ha informato che avevo ancorato sopra una prateria. Mi trovavo nella baia della ‘cementera’ (puerto Santa Agueda) nel sud di Gran Canaria. In effetti diverse foglie fresche ‘galleggiavano’ intorno, segno che erano state appena spezzate. Mi hanno poi indicato una app governativa (Normap) dove c’è una “mappa” delle sebadales in tutto l’arcipelago. Ovviamente mi sono immediatamente spostata dal fondale ‘verde’, e adesso faccio più attenzione a dove getto la mia ancora.

LA FOTO - Canarie, non solo blu', giorno di calima a Mogan

 Mogan (Gran Canaria), 20 febbraio 2023

Stamane mi sono svegliata cosi' in questo cielo lattescente che il "calima", il vento dall'est, soprattutto in questo mese, porta sulle isole piu' orientali delle Canarie. La foto e' scattata davanti al porticciolo di Mogan dove sono ancorata con la mia barca a vela Maneki.


Canarie a vela/Ho avvistato un barcone usato dai migranti

Gran Canaria, 14 febbraio 2023
   In questi giorni nell’arcipelago delle Canarie spira il ‘calima’, il vento dall’Est che porta la sabbia dall’Africa e riduce la visibilità. È il vento che fa sbarcare sulle spiagge delle famose isole spagnole decine di migranti in fuga dall’Africa subsahariana. La cosiddetta ‘rotta Canaria’ è una delle più pericolose perché significa attraversare centinaia di chilometri di oceano Atlantico dal Marocco o dalla Mauritania in un punto con forti corrente e vento. Viaggi della speranza che si trasformano in tragedie del mare spesso invisibili. Secondo statistiche di una ong circa 6 migranti al giorno in media muoiono nel viaggio della speranza dalle coste nord africane alla Spagna.
Interno di una 'patera' nel porto di Arguineguin (Gran Canaria)


 Ieri mi è capitato di vedere da vicino una delle imbarcazioni con cui i migranti arrivano alle Canarie. Era vuota, forse perché abbandonata dopo lo sbarco oppure, ma non voglio pensarlo, perché i suoi occupanti sono finiti in mare. È successo in piena notte a circa 10 miglia nautiche (18 km circa) dalla costa meridionale di Gran Canaria. Con la mia barca a vela Maneki avevo appena attraversato lo stretto tra Tenerife e Gran Canaria e dato che il vento era cessato (succede sempre cosi quando si arriva davanti alla costa meridionale di Gran Canaria) ero praticamente alla deriva. Alla radio VHF (canale 16) sento un messaggio della radio di Las Palmas rivolto a un ‘sailing vessel’ in una certa posizione. Controllo il GPS e mi accorgo che sono proprio io. Rispondo immediatamente, con una certa apprensione perché non capita tutti i giorni, e mi chiedono di identificarmi e poi di stare in stand by sul canale 74. Dopo pochi secondi sento un operatore che mi chiama “Maneki, Maneki, here Las Palmas, Las Palmas. Do you read me? Over”. Rispondo e la voce maschile in perfetto inglese mi chiede di “identificare un target che secondo il radar si trova a 1.5 miglia nautiche a Ovest della mia posizione”. Guardo fuori, ma la visibilità è molto bassa, a causa del calima, praticamente nebbia. Non vedo nulla, dico. Allora mi chiede se posso cooperare con loro e recarmi sul “target”. Mi chiede di annotare le coordinate e di far sapere appena vedo qualcosa. 
   Ecco che alle 4 di notte, quando già sognavo di ancorare in qualche baietta tranquilla e levarmi gli abiti inzuppati per la traversata da Tenerife, mi trasformo in soccorritrice. Con una certa apprensione perché non è ben chiaro cosa sia il “target”. Inoltre la vedo un po’ difficile da sola timonare, controllare il gps e soprattutto scrutare le acque scure alla cerca di qualcosa di non ben definito. Il mare è calmo, ma ripeto è coperto da una densa coltre di vapore. Mi avvicino di mezzo miglio procedendo un po’ a zig zag. “Las Palmas, Las Palmas, here Maneki, Maneki, I do not see anything, what do you think I should see?” domando con il terrore che mi chiedano di avvistare un ufo o chissà cosa. Las Palmas mi dice che dal radar potrebbe essere una barca di legno usata dai migranti, ma serve una conferma visiva e poi bisogna sapere se c’è qualcuno. Insiste nonostante le mie titubanze. “It will be very helpfull if you go to check”. Okkey…replico e vado incontro al mio destino, con rassegnazione. 
   Ci metto un bel po’ a raggiungere la posizione, quando ci sono vicina, fermo la barca e vado a prua a scrutare, niente…Las Palmas mi avverte che dal loro radar risulta che sono vicina, 200 metri in direzione 330 gradi. Con le gambe che mi tremano guardo la bussola e ingrano la marcia. “Look on your starboard, on your right” dice la voce che mi segue da un schermo radar che è estremamente preciso, perché dopo pochi istanti vedo una massa nera. È un barcone di legno di 4-5 metri. Una ‘patera’, come ce ne sono tante ammassate nel porto di Arguineguin, che fa da hub per gli arrivi dei clandestini. Nella sola prima settimana di febbraio sono state 660 le persone arrivate vive a bordo di 13 “patera”. Punto la torcia, sembra vuota, da una parte è attaccata una lunga cima, mi sembra, per questo non posso avvicinarmi troppo, ho paura che si impigli nell’elica.
   Ci giro intorno due o tre volte poi chiamo Las Palmas e confermo, non ci sono persone a bordo. È quello che volevano sapere, poco dopo sul canale 16 lanceranno un ‘securite’ securite’’ un avvertimento per i naviganti dove si dice che una barca di legno di 4 metri è alla deriva in quel tratto di mare. Un messaggio che purtroppo sente molto spesso quando navigo. Mi vengono i brividi a pensare che navigando poco prima avrei potuto urtare la patera e probabilmente affondare. Ma non è solo questo pensiero che mi fa rabbrividire. I migranti dove sono? Nelle fosse comuni in fondo al mare? Spero siano in salvo da qualche parte o che siano stati soccorsi dalla Guardia Costiera spagnola come è capitato in questi giorni, mi sembra ancora di avvertire la loro presenza, la loro disperazione in quel mare di pece.

Canarie/Quando il tuo vicino e' un panfilo da 25 milioni di euro

La  Gomera (Canarie), 2 agosto 2021

   Per un paio di settimane ho avuto come vicino di ancoraggio un superyacht da 25 milioni di euro definito come uno dei piu' lussuosi al mondo. Il panfilo di 45 metri costruito dalla societa' olandese Heesen Yacht e battezzato (giustamente) "Amore mio", ha buttato l'ancora nella baia di Valle Gran Rey, nel sud della Gomera, una delle piu' belle insenature dell'isola. Appena un po' in disparte rispetto alle tante barche a vela, tra cui la mia Maneki, che sono alla fonda nello stesso posto. Di notte era illuminato come una nave da crociera. 


   Sono andata a cercare un po' di notizie. Il proprietario e' il magnate greco Evangelos Marinakis, famoso perche' possiede anche due famose squadre di calcio, l'Olimpiacos e la britannica Nottingam Forest. Ma non era a bordo, i rumors del porticciolo di Vueltas riferiscono che 'e' stato affittato' forse a dei clienti russi. Puo' ospitare 10 persone, in cinque cabine matrimoniali, oltre a sette membri di equipaggio. Sbirciando dalla mia prua, da dove ho scattato anche queste foto, mi e' sembrato di vedere solo una coppia, lui che si allenava con un sacco da pugilato appeso a poppa e lei sdraiata su una sdraio a prendere il sole. Il panfilo, che ha uno scafo in alluminio, ha in "dotazione" un motoscafo da pesca e una piccola lancia per trasportare gli ospiti a terra. Oltre che moto d'acqua, surf, pedalo' e un gigantesco scivolo gonfiabile. Di tutto di piu' insomma. 


   Sembra nuovo di zecca, di fatti e' stato presentato al Monaco Yacht Show nel 2016. Gli interni sono Made in Italy, dello studio Cristiano Gatto. Altre curiosita': puo' percorrere 2.750 km con un pieno alla velocita' di crociera di 12 nodi e ha un serbatoio di 10 mila litri d'acqua (io ne ho 80 litri). Lascio immaginare il conto dal benzinaio. Ho saputo che solo il motoscafo di supporto ha fatto 6.000 euro di gasolio al porto di San Sebastian de la Gomera. D'altronde, leggo sempre sulla Rete, le spese annue di funzionamento ammontano a 2 milioni di euro. Amore Mio. 

UEFA20 /Campioni d'Europa, il tricolore svetta su Maneki

 La Gomera (Canarie) , 13 luglio 2021

    Non avendo un balcone, ho esposto il tricolore sull'albero della mia barca a vela Maneki dopo la vittoria dell'Italia al campionato EUFA20. Nel mio ancoraggio, a Valle Gran Rey (sud ovest de La Gonera), uno dei miei preferiti, sono la sola italiana. Ero quasi da sola anche a vedere la finale nel bar Cacatua, strapieno di tedeschi, che pero' facevano il tifo per gli Azzurri.  La Gomera e' una enclave turistica tedesca, ma prima del Covid e della Brexit c'erano anche inglesi. 

   Non trovando bandiere italiane, mi sono ingegnata un po' con del cartoncino e colla. L'ho issata con la drizza della randa e con un po' di vento stava dritta, visibile da tutti i miei vicini di barca, tra cui ci sono francesi, russi, tedeschi, israeliani e sudamericani, un vero vicinato internazionale. Nella baia, davanti alla spiaggia di Argayall e circondata da una imponente falesia, ci sono una decina di barche all'ancora e un po' piu' distaccato un lussuoso panfilo. Il grande tricolore e' stato salutato da tutti, compresi i pescherecci in entrata e uscita nel porticciolo di Vuelta.  

Fermo immagine dalla rete tedesca ZDF

Boatworking, istruzioni per l'uso

Come funziona il boatworking? Si puo' trasformare una barca in un comodo ufficio galleggiante magari in un angolo di paradiso tropicale? Vivere come un Robinson Crusoe che ogni tanto si collega su Zoom?

Complice la pandemia, la crisi economica o l'effetto Nomadland, il lavoro da remoto e' diventato sempre piu' diffuso. Il salotto di casa e' diventato l'ufficio, la cucina e' la mensa e per la pausa caffe' si esce in giardino. Da due anni pratico il boatworking sulla mia barca a vela Maneki, attualmente nell'arcipelago delle Canarie, e sono quindi diventata una esperta in materia. Ecco qualche consiglio per i neofiti.

Le Bateau Atelier - Claude Monet, 1874 - Museo Kroller-Muller (Paesi Bassi)

Vantaggi del boatworking. Il vantaggio piu' evidente e' di lavorare all'aria aperta, in luoghi quasi sempre incontaminati e in assoluta tranquillita'. Oltre alla vista mare che e' sempre assicurata naturalmente. Inoltre, se si sta con la barca all'ancora non si deve pagare un affitto e neppure la bolletta della luce perche' ci sono pannelli solari o turbine eoliche a caricare i nostri apparecchi.

Svantaggi del boatworking. Non bisogna soffrire di mal di mare e abituarsi a scrivere o leggere con il dondolio. Anche nelle giornate di assoluta calma piatta, il desk e tutto quello che ci sta sopra non sono mai immobili. Per le videoconferenze puo' essere un problema, meglio usare sempre uno sfondo virtuale. L'ambiente marino, inoltre, e' ostile per qualsiasi gadget elettronico, quindi bisogna usare extra cautela quando si scende o si sale dalla barca o quando si arriva davanti alla tastiera dopo un tuffo. D'estate puo' essere un problema il caldo, a meno che non si usi un tendalino in pozzetto per creare un po' di ombra. Ma il problema piu' grosso, secondo la mia esperienza, e purtroppo spesso ignorato quando si sceglie il boatworking, riguarda la corrente elettrica. Le batterie di una barca, come quelle dell'auto, generano corrente continua (12 volt) e non alternata (220/230 volt) come a casa. Le batterie, di solito tre, due di servizio e una esclusiva per il motore, si caricano con i pannelli solari, turbine a vento o con il motore. Non c'e' una presa elettrica normale, ma una presa accendisigari come quella montata sulle auto.

Che cosa serve per fare boatworking

Consiglio di non usare prodotti troppo sofisticati o costosi perche' ci sono troppe insidie su una barca a vela. Il computer portatile deve essere robusto, sia come struttura che dal punto di vista dell'alimentazione per sopportare eventuali sbalzi di tensione. Meglio avere un mouse esterno e anche una tastiera esterna, piu' grande e comoda da usare. Sconsiglio il computer da tavolo perche' funziona solo quando si e' attaccati alla corrente alternata in marina. Ovviamente poi ci vuole il wifi e a questo proposito suggerisco un modem portatile, come quello che ho sulla mia barca, una 'saponetta' di Vodafone Spagna con un piano di gigabytes illimitato da 45 euro al mese (e' caro ma li vale tutti).Io lavoro sul piccolo tavolo da carteggio e a volte sul tavolo della dinette, piu' comodo. La mia barca e' un Jeanneau di 9 metri, lo spazio non e' enorme ma sufficiente per una persona. Se a fare il boatworking siete in due consiglio una barca di almeno 10 metri. Altro problema e' la luce: e' quasi impossibile vedere lo schermo quando si e' in pieno sole seduti nel pozzetto, quindi si lavora di solito all'interno con gli oblo' oscurati.

Per chi fa boatworking e' assolutamente importante curare tutti gli aspetti legati all'alimentazione elettrica. Non e' come a casa che basta innestare una spina nella presa a mura per avere corrente illimitata h24. Le batterie della barca sono a corrente continua (12 volt) e sono alimentate da pannelli solari (quando c'e' sole), turbine a vento (quando c'e' o si produce vento) oppure dal motore (quando lo si accende). Se si e' all'ancora, il nostro lavoro dipende da queste fonte di energia. Se si e' in marina non ci sono problemi perche' ci si connette alla rete elettrica.

Il problema non e' solo l'approvigionamento, ma anche come caricare gli apparecchi elettronici con la corrente continua a 12 volt. E' un aspetto pratico spesso trascurato o di cui spesso non eesistono soluzioni. Per lo smartphone, il modem o tablet basta connettere il cavetto USB alla presa accendisigari (alcune di queste sono gia' predisposte con multiple uscite USB). Per il computer portatile invece ci vuole invece un caricatore apposito a 12 volt oppure bisogna riadattarne uno tenendo conto tutte le caratteristiche tecniche come l'amperaggio di entrata e uscita.

Per caricare il laptop si puo' usare anche un invertitore di corrente da 12 volt a 220/230 v. E' una scatola un po' rumorosa che assicura corrente alternata, non per lunghissimi periodi perche' scarica facilmente le batterie, ma per le emergene va bene. Se per qualche motivo non si riesce a caricare il laptop o il modem, l'estrema soluzione e' ovviamente andare a terra a cercare una presa elettrica in un bar o ristorante, oppure la sala lettura di una biblioteca pubblica (l'unico problema sono gli orari a volte limitati). In questo caso armatevi di borse waterproof oppure di barilotti stagni per il trasbordo.

Ultimo consiglio per il boatworking e' usare uno sfondo virtuale per le videochiamate evitando che i colleghi vi chiedano perche' dondolate cosi' tanto davanti allo schermo.