Addio 2016, un anno di `slow travelling` tra Asia e Europa

A bordo del volo TK720 (Istanbul-Mumbai), 31 dicembre 2016

    Il mio anno termina come e` iniziato, in movimento nei cieli, inseguendo la mezzanotte dall`Europa all`Asia, da Occidente a Oriente, fino a quando viene l`alba ed e` ora di fermarsi. Per una felice combinazione di voli mi ritrovero` di nuovo a Mumbai, o Bombay come mi piace chiamarla, esattamente come un anno fa.
   E` stato un anno di peregrinazioni attraverso frontiere non sempre facili ad attraversare, un anno tra Asia e Europa, ma senza centrare il mio obiettivo che e` quello di andare in Italia via terra, senza prendere aerei. Non ci sono riuscita, ma mi riprometto di provarci nel 2017. Non mollo.
   Ho trovato anche un`altra frontiera invalicabile, quella tra la Birmania e l`India. A novembre non sono riuscita ad avere dalle autorita` birmane il `permesso speciale`  per attraversare il valico di Tamu,  nell`ovest del Myanmar. Ci ho provato quando ero a Yangon e ci ho provato a Mandalay. Fino a pochi mesi fa era possibile, ma ora per motivi che non sono riuscita a capire, non rilasciano piu` i permessi.  La connettivita` tra l`India e il Sud Est asiatico e` ancora una favola nonostante i proclami dei governi nei forum regionali. Il collegamento diretto di autobus tra Imphal, nello stato indiano del Manipur  e Bangkok, era stato inaugurato un anno fa in pompa magna, ma poi si e` impantanato in ostacoli burocratici e scarsa volonta` politica.  Sognavo davvero di tornare in India via terra dopo il mio viaggio in Indocina. Questa e` stata la piu` grande amarezza dell`anno che si chiude.

Questa e` l`India secondo il Corriere della Sera

Torino, 27 dicembre 2016

    Vedo oggi sul Corriere della Sera una intera pagina (vedi qui) dedicata alla posa della prima pietra di una statua di Chhatrapati Shivaji, un sovrano del 1600 che ha tenuto testa ai mughal e agli inglesi e che per questo e` amato dai nazionalisti indu`, in particolare in Maharastra, dove sorgeva il suo regno. Il memoriale, sulla falsariga della Statua della Liberta`, si affaccera` sul Mar Arabico,  davanti al lungo mare di Marina Drive. Si dice che sara` la piu` alta del mondo
    L`articolo e` copiato da qualche media indiano e tradotto in italiano. Il Corriere non ha corrispondenti in India. Ma l`articolista non si e` limitato a riportare la notizia, l`ha invece confezionata ad arte e fatta passare come una conseguenza  della politica nazionalista di Narendra Modi calcando bene i toni sullo scontro ideologico  indu`- mussulmani. Che non c`entra un fico secco. 
    Eppure  questa e` la chiave di lettura che la stampa italiana ogni santo giorno impone a qualsiasi fatto di cronaca, anche se - lo ripeto - non c`entra nulla. E` incapace di uscire dalla logica che domina l`attualita` di questi giorni: da una parte gli islamici radicali e dall`altra i governi che li combattono. E` come un disco rotto. Tutto deve ruotare intorno allo `scontro tra civilta`` che sta distruggendo ke nostre societa`.
   Questa narrativa si riproduce anche in India: Modi e` quindi un nazionalista `cattivo` come Trump che fa costruire enormi statue di eroi anti mussulmani per glorificare l`identita` indu`.
   Peccato che il progetto del memoriale di Shivaji e` nato nel 2004 da un partito vicino al partito laico del Congresso guidato da Sonia Gandhi. Era perfino nel manifesto elettorale del Nationalistic Congress Party (Ncp) anche originariamente la statua era piu` bassa. E poi Shivaji ha combattuto allo stesso modo anche i britannici che all`epoca si erano insediati nell`allora Bombay.
   La notizia e` un tipico esempio di pessima informazione. Si ignora, per esempio, che nelle ultime settimane l`attenzione e` monopolizzata dal gigantesco sforzo di sostituire l`80% del contante dopo la messa fuori corso delle banconote da 500 e 1000 rupie.
    Il dibattito politico e` su questo e non lo si puo` ignorare, se si parla dell`India. Ma certo, per épater le bourgeois, e` meglio far credere che anche in India ci siano le crociate contro gli islamici.  

LA FOTO/Ci ho provato, questo lo scatto inviato al concorso al Tpoty 2016

New Delhi,  22 dicembre 2016

   Le mie velleita` fotografiche sono state stroncate sul nascere. Con questa foto ho partecipato al Travel Photographer of the Year 2016 (Tpoty), un concorso internazionale di foto di viaggio, nella sezione `Wildlife & Nature`.  L`avevo scattata a Badami, in Karnataka, e mi e` piaciuta perche` trasmette un messaggio di solidarieta` e di fraternita`, di cui oggi c`e` bisogno. Ma ovviamente non poteva competere con dei professionisti del settore.  Ha vinto uno scatto di una rarissima lince (vedi qui)
    Non mi hanno neppure mandato una mail di ringraziamento, di quelle standard, in cui con un giro di parole si dice che la foto non ha passato la selezione. Chissa`, mi sarebbe piaciuto vedere la faccia dei giurati quando l`hanno scartata, ammesso che l`abbiano vista... A me rimane la consolazione di pubblicarla qui per i miei lettori.

Banconote fuori corso/ Una mazzata per il turismo straniero

Palolem (South Goa). 20 dicembre 2016
  
   Sono trascorsi ormai 40 giorni dalla decisione del governo di dichiarare fuori corso le banconote da 500 e 1000 rupie, ma le code di fronte alle banche non sembrano accorciarsi. Ogni mattina davanti all`unico bancomat funzionante di Canacona, il villaggio dove sorge la spiaggia di Palolem, una delle piu` belle di Goa, c`e` una lunga fila. Il razionamento a contagoccia dei prelievi (appena 2000 al giorno, circa 18 euro) costringe la gente a questo appuntamento quotidiano per la sopravvivenza. Molti sono turisti stranieri che prelevano la stessa cifra con carte di credito internazionali pagando salate commissioni alle banche.
La draconiana misura anti corruzione del governo di Narendra Modi (imitata, ma poi sospesa per i disordini in Venezuela). ha paralizzato i consumi, in particolare di beni durevoli, mentre ha messo in ginocchio l`econonomia informale, che in India e` ancora predominante.
    Tra le vittime si conta anche l`industria turistica. Mancano pochi giorni al Natale e Goa, l`ex colonia portoghese famosa in tutto il mondo per i rave party, e` praticamente deserta. Molti turisti hanno cancellato le prenotazioni dopo che hanno visto le resse davanti alle banche. Gia` penalizzata per il problema delle violenze sessuali, l`India sembra essere stata definitivamente depennata dalla lista delle mete vacanziere.
Quello che e` peggio e` che qualcuno ne approfitta della situazione, come sempre. Gli stranieri hanno diritto a cambiare la loro valuta per un massimo di 5000 rupie alla settimana. Ma le banche si rifiutano di cambiare moneta straniera. Lo si puo` fare quando si arriva all`aeroporto e in alcuni cambiavalute `ufficiali`delle maggiori citta`, che pero` la maggior parte delle volte sono senza cash. Oppure si ricorre al mercato nero, funzione svolta dai negozi di oreficeria, dove pero` viene praticato un cambio da strozzinaggio, Molti hotel o ristoranti accettano pagamenti in dollari, ma a 60 rupie (il cambio ufficiale e` di 68). I pochi negozi che invece accettano le carte di credito, ti prendono il 4%di commissioni. Insomma, invece di aiutare il povero malcapitato turista, lo spennano ulteriormente. Non mi stupisco che Goa sia deserta....     

India, il governo `ricorda` quali sono le aree off limits per i giornalisti stranieri

Mumbai, 13 dicembre 2016
   Ieri il ministero degli Esteri ha diffuso via mail una lista di Stati indiani e aree che sono `off limits` per i giornalisti stranieri. Tra questi ci sono alcuni Stati del Nord-Est (Nagaland, Mizoram, Manipur Sikkim e Arunachal Pradesh) dove sono attivi gruppi separatisti, e ovviamente il Jammu e Kashmir. In piu` ci sono `alcune aree` del Rajasthan e dell`Uttaranchal,  Il primo, penso, che sia una zona `sensibile` per via del poligono militare di Pokhran dove sono avvenuti i due test nucleari del 1974 e del 1998, mentre nel secondo c`e` il confine conteso con la Cina-Tibet. Al comunicato e` allegato un formulario da compilare per ottenere `uno special permit` se uno vuole andare in quelle zone.
   La email, indirizzata a tutti i corrispondenti stranieri, ha destato sorpresa e anche un po` di preoccupazione tra i colleghi. Tanto che dopo cinque ore, lo stesso ministero (sezione dell`External Publicity Division)  ha inviato una `chiarimento` per dire che non si tratta di un `nuovo` regolamento del ministero degli Interni, ma di uno in vigore da `molti anni`. Le normative sono state ricordate perche`, si legge, `some foreign journalists were unaware of the regulations and faced inconvenience when entering those areas without the appropriate permits`.    Segue poi una diversa lista di aree dove emerge che solo `alcune parti` degli Stati citati nella precedente mail sono chiuse agli stranieri. Il Sikkim e Nagaland, tuttavia, sono interamente proibiti, e anche le Andamane.
    Poi si specifica che le restrizioni valgono non solo per i giornalisti stranieri, ma per tutti gli stranieri e che la `XP Division will be happy to facilitate bona-fide visits to Restricted & Protected Areas if applications are received in the prescribed format`.
   Evidentemente io appartengo alla categoria dei giornalisti stranieri che non sapevano di queste restrizioni, almeno non in tutti gli Stati citati.
   Io sapevo che nel 2011 il governo aveva rimosso le restrizioni in tre Stati del Nord-Est (Nagaland, Manipur e Mizoram) per favorire il turismo (vedi qui).
    Mentre per quanto riguarda le Andamane e Nicobare, l`arcipelago che ospita basi militari segrete e rare tribu` indigene, sono abbastanza sopresa. Il permesso chiamato `Restricted Area Permit o Rap` e` emesso dall`ufficio Immigrazione all`arrivo a Port Blair (e similarmente in ogni isola tra quelle aperte al turismo). Cosi` e` stato quando ci sono andata nel marzo 2015, e sono stata registrata come giornalista, anche perche` il mio visto e`un j-visa e quindi e` difficile sfuggire.
   Non so cosa abbia indotto il governo a ribadire la lista delle aree ristrette, ma potrebbe sembrare un tentativo di `controllare` la stampa straniera. Non voglio pensare che sia questa l`intenzione, sarebbe la prima volta da quando sono arrivata in India oltre 10 anni fa... Ma se si allarga lo sguardo a livello globale, compresa l`Italia, e` chiaramente visibile uno sforzo da parte dei governi di imbavagliare la stampa, i bloggers o gli attivisti ficcanaso. Uno sforzo che e` reso piu` facile dal controllo dei social network, il cosidetto `quinto potere` che a parere mio presenta una doppia faccia della medaglia, molto inquietante, quella del Grande Fratello.
    Coincidenza vuole poi che a settembre, quando ero nel confinante Myanmar, ho cercato invano di avere dal governo di Yangon un `permesso speciale` per attraversare il confine di Tamu (con l`India). Il governo birmano infatti impone numerose restrizioni agli stranieri perche` non vadano a curiosare nelle aree dove vivono le minoranze oppresse o dove si fanno commerci poco chiari, come droga o pietre preziose.
   L`unico valico con lo stato indiano di Manipur rientra tra queste aree off limits per gli stranierie per le quali ci vuole appunto uno `special permit`. Fino a pochi mesi fa, gli uffici del Turismo e le agenzie di viaggio di Yangon e Mandalay rilasciavano i permessi dietro pagamento di una costosa commissione. Ora non piu` e non ho capito il perche`.
   Dal Myanmar, che non e` ancora uscito dalla dittatura, mi aspetto una simile proibizione, ma non dall`India, che si vanta di essere la piu` grande democrazia del mondo.

IL LIBRO /One Indian Girl, il coraggioso femminismo di Chetan Bhagat

New Delhi, 29 novembre 2016 

    Ammetto di essere anche io, come milioni di indiani, una fan di Chetan Bhagat, uno dei pochi scrittori anglofoni che vivono stabilmente  in patria  e che raccontano l`India moderna. Il suo ultimo libro,  One Indian Girl,  e`un`opera geniale. Per me e` il migliore dei suoi nove lavori.
     Bhagat si mette nei panni di una giovane donna in carriera dibattuta tra un lavoro superpagato alla societa` di investimenti americana Goldman Sachs e il rispetto dei tradizionali valori familiari. E`un dilemma, molto spesso dolorosissimo,  che tocca le ragazze oggigiorno in India,
    A scuola sempre piu` donne raggiungono risultati superiori a quelli dei loro compagni. Ma i loro salari sono ancora inferiori. Ed e` impensabile che possano guadagnare piu` dei loro mariti. E` una cosa malvista anche in Occidente, figuriamoci qui in India dove le suocere danno fuoco alle nuore che non riescono ad avere figli maschi.
    Bhagat mette il dito in questa contraddizione vestendo i panni di Radhika Mehta, ragazza intelligentissima e rampante che vive da single a New York, che si innamora e  poi viene abbandonata, che ha una avventura con un uomo sposato e che per il quieto vivere accetta un matrimonio combinato dalla famiglia, ma che alla fine prende in mano le redini del suo destino. In altre parole, manda affanculo in un colpo solo due ex fidanzati che si presentano al suo matrimonio e anche il futuro sposo, e se ne va in vacanza da sola. Una scelta coraggiosa e rivoluzionaria per gli standard indiani.
    Per questo One Indian Girl, non ha ricevuto una grande accoglienza in India. E` un libro decisamente femminista in un Paese che non sa (ancora) cosa e` il femminismo,
Ma proprio per questo, considero Bhagat un genio, per come si e` calato nella mente di una donna moderna, interpretando benissimo i suoi tormenti interiori quando si vede costretta a sacrificare il suo lavoro per rivestire quello di moglie-madre tradizionale come la societa` richiede.
   Il tema e` trattato con ironia attraverso la `voce interiore` di Radhika, ma e` una ironia amara, come quando e` costretta a nascondere il suo stipendio negli annunci matrimoniali (a differenza degli uomini). Oppure quando deve fingere di essere una `secchiona` come ai tempi della scuola mentre  invece convive per un paio di anni con Debu, un ragazzo di cui si innamora perdutamente ma da cui poi viene respinta perche` guadagna troppi bonus. 

Referendum e italiani all'estero/ "Caro governo ti scrivo..."

New Delhi, 26 novembre 2016

    Come tutti gli italiani all'estero ho ricevuto anche io la lettera di Matteo Renzi in cui si invita a votare sì al referendum costituzionale del 4 dicembre. Sul frontespizio compare il premier che ride con il presidente Usa uscente Barack Obama, mentre sul retro c'è la missiva "Cara italiana, caro italiano...".

   Onestamente mi fa piacere che qualcuno del governo mi scriva e mi chiami pure "cara Italiana" perché a parte gli appuntamenti elettorali in 20 anni che sono all'estero non ho mai ricevuto alcuna comunicazione ufficiale dal mio Paese. Purtroppo gli italiani all'estero esistono solo quando serve un voto.
    In estrema sintesi, la lettera descrive l'Italia come un Paese deriso e umiliato all'estero a causa della sua instabilità politica e della corruzione: "Un Paese instabile, che cambia Presidente del Consiglio più spesso di un allenatore della nazionale. E tra noi, ahimé, possiamo dircelo: questo luogo comune non è così distante dalla realtà".  Ma mi raccomando, che rimanga "tra noi"...
   Il sì al referendum riduce i costi della politica ed elimina il bicameralismo paritario, che è - cito la lettera - "un sistema che esiste solo in Italia". Peccato che ci sia anche in India e Usa, rispettivamente la più grande e la più vecchia democrazia al mondo.
   L'approvazione della riforma costituzionale avrebbe il potere di trasformare l'Italia in "un Paese credibile e prestigioso".  Mentre in caso negativo "torneremo a essere quelli di cui all'estero si sghignazza, quelli che non cambiano mai, quelli famosi per l'attaccamento alle poltrone e azzuffate in Parlamento".
Già, l'Italia di cui si "sghignazza" proprio come nella foto del frontespizio.    

India senza cash, cronaca della mia prima giornata a Delhi

New Delhi, 24 novembre 2016

   Ero davvero curiosa di vedere che cosa stava succedendo a New Delhi dopo la decisione del governo dell'8 novembre di mettere fuori corso le banconote da 500 e da 1000 rupie che rappresentano oltre l'85% dei soldi in circolazione. Sono tornata dopo un paio di mesi nel Sud Est asiatico e trovato il caos come avevo anticipato in questo post. Chissà quanto tempo ci vorrà per arrivare alla normalità.
   Questa è la cronistoria della mia prima giornata a Delhi nell'era della post "demonetisation", come la chiamano i giornali indiani.
Ore 8:  in tasca ho una banconota da 1.000 e due da 500 rupie. Ieri sera per tornare a casa ho speso l'unico pezzo da 100 rupie che avevo in portafoglio. Sono riuscita a trovare un autorisciò che mi ha portato dall'aeroporto a Sadfarjung Enclave per quella cifra, più o meno un euro e mezzo, un record storico. Ho realizzato fin da subito che la scarsità di contante ha avuto l'effetto di raffreddare i prezzi. Benissimo per il carovita galoppante a Delhi.  Poi però sono iniziati i guai.  Dopo tre mesi di viaggio non ho nulla da mangiare in casa. Esco di casa e vado nella banca del quartiere per cambiare le 2.000 rupie. C'è una lunga coda, ma è gente che vuole aprire un conto. Quando arrivo sulla porta vedo un cartello scritto a mano "NO CASH".  Penso si riferisca al bancomat, mi faccio largo per entrare sventolando una banconota da 500 rupie. "Sorry we cannot change it, we dont have cash" mi dice un impiegato sommerso da una tonnellata di pratiche.
Ore 9: Vorrei andare alla mia banca, la Yes Bank, ma mi rendo conto che non ho benzina nello scooter. Il fruttivendolo mi dice che mi fa credito, ma io provo con un altro bancomat, ma anche quello è fuori uso. Vado in farmacia a chiedere dove posso cambiare le vecchie banconote. Per esperienza so che si solito quando si ha un problema in India, il posto migliore dove avere informazioni sono proprio le farmacie. E di fatti trovo un cliente che si prende compassione di me e mi cambia la vecchia banconota da 500 in cinque pezzi da cento. Mi sento in colpa perché non so poi cosa ne farà. Deve essere di sicuro un fan di Modi.
Ore 10: mi sento ricca. Vado a fare benzina,  e poi riesco a mettere credito nel telefonino. Mi rimangono in tasca 200 rupie,  un 500 e un mille fuoricorso.
Ore 11: mi faccio largo tra la folla ed entro a razzo alla Yes Bank di Green Park sventolando la mia carta di credito per far capire che sono una cliente.  Sembra un suq. Ci sono delle file disordinate davanti agli sportelli e altri gruppetti di persone intorno a degli impiegati in piedi in mezzo alla hall. Un impiegato, probabilmente un responsabile, sta facendo dei mucchietti di vecchie banconote dopo averle passate nelle macchinette conta soldi.  Mi dicono che hanno solo le nuove banconote da 2.000 rupie e quindi non possono cambiare le mie 1.500.  Chiedo di ritirare dei soldi e mi guardano come se avessi chiesto di aprire i forzieri. "It is not possible" è la laconica risposta. Chiedo il perché e manco mi rispondono. La metto sul patetico e dico che sono appena arrivata a Delhi e non ho un soldo per mangiare e devo pagare due mesi di affitto arretrati (il che è vero).  Le mie proteste attirano l'attenzione del responsabile che smette di ammucchiare le vecchie banconote e mi da retta. ma so che lo fa perchè ho la pelle bianca.  Come fosse una grazia dal cielo, dopo aver controllato sul pc il mio conto mi annuncia che posso ritirare al massimo 24 mila rupie, ma ci vuole il libretto degli assegni e io non ce l'ho con me. Confesso che non ho mai ritirato  soldi dal mio conto in India, di solito prelevo dal bancomat. Torno a casa a prenderlo.
Ore 12: mi ripresento con il libretto di assegni ma mi dicono che non hanno più liquidi, devo tornare tra un paio di ore quando arrivano i rifornimenti. Un strada ho visto molti furgoni portavalori andare e venire dalle banche.
Ore 13: idea! decido di cambiare gli euro che ho in casa per pagare l'affitto. Vado dal cambiavalute del Khan Market, dove di solito cambio la valuta.  Mi accoglie con uno sguardo disperato. "I have only old notes and I dont have 100 rupees" mi dice recriminando contro Modi. "Crazy Modi!" ripete. A quanto pare la manovra ha messo KO tutti i money changers che operavano sul mercato nero, Rabbrividisco al pensiero, veramente é una rovina per molta gente, anche quella onesta.
Ore 14: mi compro una spremuta in strada, 40 rupie. Il venditore mi dice che la mia banconota da 1000 vale 500 ora, se voglio posso cambiarla ma ottengo metà del suo valore.
Ore 14.30: entro al Subway di Khan Market per un panino. E' preso d'assalto da una folla di signore ingioiellate e manager. Si può pagare con la carta di credito, quasi nessuno usa il cash anche per un insalata.  Sul bancone compare la scritta: "non si accettano vecchie banconote da 100 e 500 rupie".
Ore 15: torno nel suq della Yes Bank. Ottengo 12 nuove banconote rosa shocking da 2.000 rupie che odorano di inchiostro. Non ci sono altri tagli, a quando pare le nuove 500 sono introvabili. Chiedo all'impiegato se le accetteranno nei negozi. "Yes madam - mi dice - this is valid money".
Ore 15.30: mi fiondo nel primo negozio di alimentari per vedere se funziona. Compro del pane e del latte. Il negoziante mi dà il resto in 100 e 10 rupie. Esco soddisfatta. Per l'affitto non so come farò, il mio padrone di casa non accetta assegni (è un irriducibile che manco Modi riuscirà a piegare), ma almeno ho da mangiare.

A EST DELLE INDIE - A Photo Journey

New Delhi, 21 novembre 2016 

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A EST DELLE INDIE - LA FOTO/Birmania, la venditrice di fiori di loto

Inle Lake, 20 novembre 2016


A EST DELLE INDIE - Myanmar/I pescatori clown di Inle Lake

Inle Lake, 19 novembre 2016

   Immaginavo che Inle Lake, nello stato di Shan, fosse uno dei posti piu` battuti dai turisti in Myanmar, ma non avrei mai immaginato che si fosse trasformato in una sorta di baraccone dove i `famosi` pescatori che remano con una gamba si esibiscono come clown.
Dopo aver tentato, senza successo , di arrivare da sola nei villaggi e nei floating market in fondo al lago, ho ceduto e ho condiviso un boat tour con due turiste giapponesi. O meglio loro hanno accettato che salissi anche io sulla lancia che  avevano gia`prenotato.
   Siccome era gia` pomeriggio inoltrato, il tragitto dell`escursione e` stata limitato perche` alcune popolari `attrazioni`, tipo i mercati galleggianti, erano gia` terminati. Ci hanno pero` portato in quattro negozi di artigianato, piu` precisamente due di monili di argento, uno di stoffe e uno di oggetti prodotti con la carta da gelso, come i famosi ombrellini, prodotta artigianalmente in loco. In un laboratorio tessile erano `esiibite` anche delle donne della etnia Pa-0 con i loro anelli intorno al collo.  Per le foto chiedevano dei soldi. Ho provato un po` di vergogna per questo `safari umano`, anche perche`si sa benissimo che ormai le donne Pa-O non si allungano piu` il collo, anche se  hanno conservato un loro modo di vestire, portando una borsa di stoffa.a tracolla e (le  donne) uno strano turbante.

   Dopo la parte `shopping`, le mie  due copasseggere, che erano dotate di una buona attrezzatura fotografica, hanno insistito per vedere da vicino i pescatori. Gli abitanti di Inle Lake si chiamano `Intha` e hanno un bizzarro modo per remare, che penso sia unico al mondo, forse. Stando in piedi sulle loro barche, muovono un remo con una gamba, quasi come fosse una protesi, per timonare e anche avanzare sull`acqua. Alcuni pescano con delle  comuni reti, altri con delle enormi ceste di bambu`. Le due giapponesi volevano fotografare uno di questi uomini al tramonto con le reti in controluce.

   Evidentemente conoscendo molto bene i desideri dei turisti, il barcaiolo si e`avvicinato a un anziano pescatore e gli  ha chiesto di mettersi davanti al sole. L`uomo ha obbedito e ha poi iniziato a compiere una serie di acrobazie con il remo e una cesta di bambu`, che secondo me non c`entrano nulla con l`attivita` di pesca, ma che erano di sicuro molto fotogeniche. Dopo avergli allunganto un dollaro, una delle due turiste e` poi salita a bordo della barchetta per un primo piano. Anche io, mio malgrado, ho recitato la mia parte di turista e ho scattato diverse foto del pescatore-clown. Mi chiedo se - dato che ogni giorno centinaia di turisti sfilano nel lago cercando tutti le medesime foto - se i pescatori facciano ancora il loro mestiere o se guadagnino di piu` con le esibizioni.   

A EST DELLE INDIE - Degustando vino birmano a Inle Lake

Inle Lake, 18 novembre 2016

   Come sempre, i momenti più belli di un viaggio arrivano per caso. A Naungshwe, dove sono alloggiata (in una guest house che si chiama Sweet In), ho affittato una bicicletta per esplorare il lago Inle che è a circa 4 km. Solo alcuni villaggi sono collegati con la strada o pontili, per gli altri bisogna andare con la barca. Ho quindi pedalato per circa 10 km lungo una bella strada di campagna fino al villaggio di Kahun Daing e poi da qui ho messo la bici su una lancia e mi sono fatta trasportare sull'altra riva, dove ci sono i resort. E'  un percorso un po' insolito, che mi ha permesso di uscire dai circuiti turistici che in questa zona della Birmania sono obbligatori.
Al tramonto stavo per tornare quando un ragazzo norvegese, che vagava come me in bici con il gps in mano,  mi ha suggerito di fermarmi in un'azienda vinicola sulla collina. "Intendi dire che qui ci sono dei vigneti???" gli ho chiesto manifestando tutto il mio stupore. "Sì, puoi anche degustare del vino birmano" è stata la risposta.
   Ho immediatamente abbandonato l'idea di fermarmi nell'ennesima pagoda per il calar del sole, e mi sono invece fiondata nella Red Mountain Estate Vineyard & Vinery, un'azienda vinicola super professionale che non sfigurerebbe affatto sulle colline del Chianti. E' un progetto di un enologo francese che nel 2002 ha importato le vigne, creato i terrazzamenti sulla collina e dopo un po' di anni ha iniziato a produrre le prime bottiglie di Chardonnay e altre varietà, come Shiraz e Pinot.  In effetti si vede il tocco occidentale nel vigneto e anche nell'idea di aprire un enoteca sulla cima della collina.

   Quando sono arrivata c'erano diversi gruppi di turisti, i tavoli erano tutti pieni. Probabilmente la visita alla Red Mountain è nel programma dei tour a Inle Lake.  Ma per fortuna ho trovato un tavolino sull'estremità della veranda proprio davanti al sole che calava sulle vigne. Ho ordinato la "degustazione" da 5000 kyat (circa 4 euro) che comprendeva due bianchi  e due rossi serviti a temperatura perfetta su un vassoio di legno con un paio di tramezzini al formaggio. Un cartoncino in inglese davanti a ogni bicchiere illustrava le caratteristiche dei vini. Dopo settimane di noodle e té verde non mi sembrava vero.  Davanti al tramonto, ho assaporato i vini come fossi nelle Langhe in un caldo pomeriggio di settembre, ancora incredula per la scoperta. Sarà la lunga astinenza da piaceri gastronomici, ma mi sono sembrati eccellenti. E detto da una piemontese questo non è poco.  

A EST DELLE INDIE - Mandalay, il finto Palazzo degli Specchi

Mandalay,  15 novembre 2016

   Sono arrivata a Mandalay con grandi aspettative sulla reggia di Thibaw, l`ultimo monarca esiliato in India. Sognavo di vedere il `Palazzo degli Specchi`, quello raccontato nel libro di Amitav Gosh, e invece ho avuto una brutta delusione.  Dovevo documentarmi prima.
  Il palazzo reale, una meraviglia in tek con troni d`oro massiccio,  e` stato depredato dall`esercito britannico il 28 novembre 1885 quando le truppe sono entrare e hanno catturato la famiglia reale. Poi e` stato raso al suolo dai bombardamenti giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale.
    Il governo birmano  ha tentato di ricostruirlo negli Anni Novanta, ma il risultato e` stato disastroso forse per la mancanza di denaro. Gli edifici sembrano dei fondali in uno studio di Cinecitta` tanto sono finti e con materiali. di scarsa qualita`. Soltanto le mura, circondate dal fossato, riescono ancora ad evocare l`antica gloria. Per di piu` all`interno c`e` un quartiere generale dell`esercito, quindi e` vietato sconfinare dal percorso e per entrare bisogna lasciare il passaporto.
   Meno male che all`epoca del re Thibaw un pezzo della reggia, specificatamente gli appartamenti del padre, re Mindon,  era stato smantellato e trasformato in monastero (Shwenandaw Monastery) fuori dalle mura. E cosi` si e` salvato miracolosamente intatto con tutti gli intarsi lignei e le colonne in legno di tek. 

A EST DELLE INDIE/Mandalay - Il `ngapi`, la `bagna cauda` birmana, peccato che sia fredda

Mandalay,  14 novembre 2016 

   Dopo molti giorni in Myanmar finalmente sono riuscita a gustare le specialita locali. Finora nei ristoranti dove sono andata non ho trovato che `fried rice` o una zuppa di noodle che penso sia cinese o thailandese e che si trova praticamente ovunque, da Kathmandu a New York. Ma erano chiaramente ristoranti per i turisti, Ho scoperto invece che la maggior parte dei birmani mangiano per strada nelle bancarelle degli ambulanti che arrivano a una certa ora del pomeriggio con tutto il necessario (pentole, piatti,  tavoli e sedie) e  poi spariscono quando finiscono il cibo.
   Devo la scoperta al fatto che oggi e` Full Moon Day`  (Tazaughmon)  che segna la fine della stagione delle piogge.  E` una grande festa nazionale, equivalente al Diwali in India,  ed e` tutto chiuso, mercati compresi.
   Vagando pero` nei dintorni della mia guest house, che si chiama AD 1 e che e` davanti alla pagoda di Eindawya, confinante con il `mercato delle cipolle`, ho trovato un paio di banchetti con delle signore che spadellavano, Mi sono seduta sulle seggioline di plastica che da noi si trovano solo negli asili (e una costante di tutto il  sudest asiatico, non so orse per ragioni di spazio...) e ho indicato un piatto che stava mangiando il mio vicino con il cucchiaio (e non le bacchette che propinano ai turisti). Data la difficolta` di memorizzare i nomi dei cibi, ho adottato il metodo di adocchiare i piatti sui tavoli degli altri commensali e poi di scegliere indicando con il dito. Sembrera` un po`maleducato, ma funziona ed l`unico modo per assaporare la cucina locale.
    La signora mi ha qundi portato una porzione di riso bollito e diversi piattini con verdure bollite e salsine gustose, Tra queste c`era il `ngapi`, una salsa onnipresente suilla tavola dei birmani  (e` citata anche nel romanzo di Orwell), Si tratta di una salsa di pesce fermentato con abbondante aglio e olio. A me sembrano acciughe marinate. Ci sono diverse versioni, Quella che ho gustato io accompagnata da verdure fresche, come verza, carote, sedani, mi ricordava tantissimo...;la bagna cauda piemontese che tra l`altro si mangia proprio in questo mese.  L`unico problema e` che la `bagna cauda birmana` e` fredda, Avrei potuto chiedere di scaldarla, ma mi avrebbe guardato sicuro con disgusto. Come se uno chiedesse di scaldare il vitello tonnato...

A EST DELLE INDIE/Birmania, rottame cade dallo spazio in una miniera di giada

Bagan, 11 novembre 2016

   Sul giornale locale, "Daily Eleven" oggi c'e' una foto notizia che ha dell'incredibile. Un enorme pezzo, probabilmente di un razzo o di un satellite, e' piombato in una miniera di giada nel nord del paese, precisamente nello stato di Khacin, una delle zone off limits  per i turisti.  Il giornale non dice nulla della provenienza, ma sembra che sia un rottame di un razzo cinese.
   Si sa, la piaga dei "rifiuti spaziali" e'  ben nota e temo sia un problema sottovalutato che in futuro sara' sempre piu' allarmante. Ma il bizzarro di questa notizia e' che sia finito in una cava di giada, una pietra preziosa per la quale  il Myanmar e' famoso in tutto il mondo.
    Commentando la notizia, il proprietario della guest house Pyinsa Rupa di Bagan, la citta' deii templi dove mi trovo, che parla un buon inglese, ha sbottato dicendo che "la Cina o qualsiasi altra nazione a cui appartiene il rottame deve risarcire i danni".  Per fortuna il cilindro, di oltre 4 metri, e' finito nel fango della minierae non sulle case dei minatori. E magari all'interno ci sono altri metalli da estrarre piu' preziosi della giada.

A EST DELLE INDIE/Birmania, corsa al tramonto nella valle dei templi di Bagan (danneggiata da terremoto)

Bagan, 11 novembre 2016

    Il treno da Yangon a Bagan, nella Birmania centrale, e` un`esperienza da fare non solo per uscire dalle rotte turistiche, ma anche per vedere la parte rurale del Paese. La Ferrovia, eredita` britannica, e` molto piu` malmessa che in India. Io ho preso la seconda classe che e` un livello superiore alla standard (sedili di legno), poi ci sono le cuccette della prima classe. Ma il treno e` ovviamente lo stesso, penso non superi i 60 all`ora e salta come un cavallo imbizzarrito. Per camminare nel corridoio bisogna reggersi saldamente alle maniglie dei sedili. Nelle circa 20 ore che e` durato il viaggio mi sono chiesta piu` volte se avesse i binari o le ruote come un autobus, tanto ondeggiava a destra e sinistra. Il bello pero` - per me che odio gli `aircon` bus come li chiamano qui - e` che i vagoni hanno grandi finestre panoramiche, senza sbarre come i treni. E` come se uno viaggiasse con una decapottabile, vento, sole e anche il fracasso assordante entra abbondantemente. Ma sono riuscita a dormire un po` rannicchiata su due sedili in posizione fetale. In compenso proprio prima di arriivare ho finito Giorni in Birmania di Orwell e ho pianto alla morte di Flory.
   Bagan e` la `Angkor Wat del Myanmar`  per il suo immenso parco archeologico. E` una meta turistica obbligatoria per i pacchetti e quindi e` strutturata per l`accoglienza. Penso dipenda interamente dal turismo. A differenza di Yangon qui si trovano in abbondanza moto e biciclette in affitto a pochi euro. Con estremo piacere ho notato che sono tutte motociclette elettriche quelle che affittano. Decisamente un buon passo nella direzione di un turismo ecosostenibile per un Paese che si e` aperto soltanto pochi anni fa e che ambisce a diventare una destinazione principale nel sud est asiatico.
    Per chi, come me, ha visto Angkor Wat, c`e` un po`di delusione. Anche gli imperatori birmani erano dei megalomani e di sicuro dei fedeli devoti buddisti, ma i templi mancano della raffinatezza di quelli khmer che sono piu` o meno contemporanei. Inoltre molti interventi architettonici e ritocchi moderni sono discutibili, anche secondo lo stesso l`Unesco. Alcuni, come l`Ananda Pahto, imbiancato e indorato, sono luoghi di culto molto frequentati, piu` che monumenti storici.
   Molti poi sono transennati a causa del terremoto che ha colpito il Myanmar il 24 agosto, poche ore dopo quello in Italia, e che ha danneggiato circa 200 templi. Me lo ha ricordato una venditrice di souvenir davanti all`unico tempio indu, il Nathlaung Kyaung, dedicato a Vishnu. Il tempio, che e` chiuso al pubblico, ha una storia interessante. Il re Anawrahta, il fondatore dell`impero di Bagan, vi avrebbe rinchiuso qui tutti gli idoli non buddisti.
   Quando ha saputo che ero italiana, la donna mi ha fatto capire a gesti che i nostri Paesi sono ssttai uniti da una comune tragedia, e poi con mia sorpresa ha aggiunto in inglese stentato che in Italia sono morte 300 persone, mentre a Bagan per fortuna non ci sono state vittime.
   Mentre durante il giorno, i templi sono quasi deserti per la calura, verso l`ora del tramonto si scatena una sorta di corsa alla migliore postazione, di solito a nord dove si domina la vallata che declina erso l`Irrawaddy. Lo stesso succede all`alba,  mi hanno detto.
   Io per due sere ci ho provato e non ci sono riuscita o ci ho rinunciato. Quindi alla mia collezione di foto della Birmania manchera` l`immagine clou del cielo arancione con i profili dei templi, che si trova sulle guide turistiche, di solito con l`aggiunta di una mongolfiera. Pazienza, ma intanto mi sono divertita a fotografare i turisti appollaiati sul tempio Buledi o Bulethi, una specie di cono a cui si accede con una ripida scalinata, anche questo un po` danneggiato dal sisma.  

Abolite banconote da 500 e 1000 rupie, da oggi i ricchi rischiano la fame

Yangon,  9 Novembre 2016

    Da oggi milioni di indiani benestanti si ritrovano letteralmente senza un soldo in tasca. Le banconote da 500 e 1000 rupie sono diventate carta straccia allo scoccare della mezzanotte dopo una decisione a sorpresa del premier Narendra Modi per combattere evasione fiscale e contraffazione di valuta. E' come se a un malato si taglia una gamba per guarire un'unghia incarnita. Immagino le tonnellate di banconote in circolazione che dovranno ora essere eliminate.
   E' ancora presto per capire quali saranno le  conseguenze, ma di sicuro sara' il caos totale. Quasi quasi penso che sono fortunata a non essere in India. Farei la fame anche io. Nel portafoglio ho al massimo 250 rupie.
   Il presidente della Repubblica Pranab Mukherjee ha invitato la gente a non farsi prendere dal panico. Ma sara' difficile. Con una banconota da 50 o 100 rupie, quelle rimaste valide, si puo' a malapena fare un pasto in una bettola per strada a New Delhi. Il  costo della vita nelle citta' indiane e' aumentato enormemente. Anche gli stranieri ormai non si possono piu' permettere un tenore di vita come in passato.
   E come se in Europa si levassero dalla circolazione le banconote da 10 o 20 euro.  Praticamente si paralizza l'economia. E' quello infatti che prevedo da oggi. L'assalto ai benzinai, una delle poche categorie insieme a ospedali e crematori, che possono accettare le banconote da 500 e da 1000, e' iniziato da ieri sera. Le banche oggi sono chiuse, quindi la gente non puo' prelevare. I bancomat, penso, esauriranno le scorte di biglietti da 100 nel giro di poche ore. Nei negozi tutti vorranno pagare con la carta di credito mandando i server in tilt. Non e' inoltre chiaro quando saranno in circolazione le nuove banconote da 500 e 2000 (non si capisce perche' non ci saranno piu' i tagli da 1000).
    Ma se questo e' lo scenario apocalittico  per la middle class, che usa i bigliettoni da 500 e da 1000, altra cosa e' per la maggioranza della popolazione nelle campagne. La pensata shock di Modi, che non e' un bolscevico, ha impoverito in un colpo solo 300 milioni di benestanti polverizzando i risparmi tenuti sotto il materasso. Altro che patrimoniale. Leggo che un altro primo ministro, Morarji Desai, un politico molto amato, aveva nel 1978, aveva perso una simile decisione mettendo al bando le banconote di oltre 100 rupie contro la corruzione.
    Per ora gli indiani l'hanno presa bene e lodato l'iniziativa di Modi, che continua a godere di molta popolarita', nonostante i ritardi nel mantenere le promesse elettorali di 2 anni fa. Sulla rete circola la battuta che mentre negli Stati Uniti si contano i 'votes', in India si contano le 'notes'.
   Un po' di mesi fa anche la Bce aveva deciso di ritirare dalla circolazione le maxi banconote da 500 euro perche' usate dalla criminalita'. Anche li', mi sembra uno strano modo per combattere la corruzione.
   Io invece ci vedo piuttosto un tentativo dei governi dii avere piu' controllo sui cittadini che sono quindi obbligati a usare le transazioni elettroniche per i loro affari o a ricorrere ai servizi delle banche che diventano cosi' sempre piu' potenti.

A EST DELLE INDIE- Yangon, per caso finisco alla proiezione di Indochine

Yangon, 5 Novembre 2016

   Spesso quando si va a zonzo si fanno le scoperte piu` incredibili. Come oggi, giornata uggiosa a Yangon, dove sono arrivata con il bus notturno da Hpa An. Il grigiore del cielo rende opaca anche l`abbagliante pagoda d`oro Schwedagon Paya togliendomi ogni voglia di visitarla. E cosi` stavo vagando a downtown quando vedo un cartellone di un festival cinematografico, Memory International Film Heritage Festival. Mi fermo e vedo che sta per iniziare la proiezione di `Indochine`, un cult movie del 1992 del regista francese Regis Wargnier, di cui io ignoravo completamente l`esistenza nonostante abbia anche vinto un Oscar.
   Per l`occasione a Yangon e` arrivata la stessa Catherine Deneuve, che interpreta la ricca possidente di una piantagione di caucciu` e madre adottiva di una principessa vietnamita che poi diventa una partigiana comunista.
   Il film e` eccezionale anche per come racconta le brutalita` dei soldati francesi e il razzismo dei possidenti bianchi che avevano le piantagioni di caucciu`. Insomma, la ciliegina sulla torta per chi come me e` appena arrivato dall`Indochina francese.. 

A EST DELLE INDIE - Birmania/ Al capolinea della `ferrovia della morte - Il cimitero di Thanbyuzayat

Mawlamyne, 4th novembre 2016
    Non potevo scegliere migliore giornata per andare a vedere il cimitero di Thanbyuzayat, a 65 km a sud di Moulmein, al confine con la Thailandia, dove sono sepolti circa 3 mila soldati britannici, olandesi e australiani catturati dai giapponesi e messi ai lavori forzati sul confine tra Burma e Thailandia per costruire una nuova ferrovia di 420 km in appena 14 mesi. La vicenda, una pagina orribile della seconda guerra mondiale in Asia, ha ispirato un celebre film, il `Ponte sul fiume Kwai` del 1957 (il ponte si trova in Thailandia).
    Passeggiando sul tappeto erboso curato grazie ai fondi del Commonwealth pensavo a questi ragazzi dai 25 ai 30 anni che hanno avuto la doppia sfortuna di essere mandati in guerra in Asia e poi di essere stati catturati dai nemici. 
   In un museo,un po’ scarno, che sorge al capolinea birmano della ’ferrovia della morte’ (, ho letto delle sofferenze a cui erano sottoposti i militari. Quelli sepolti nel cimitero sono stati trovati cadaveri lungo i binari a guerra finita. Ma oltre agli occdentali, sono morti anche migliaia di burmesi, si dice di etnia Romusha, che erano usati come `coolies`, facchini. 
 
E paradossalmente, in questo progetto - che era vitale per i rifornimenti dell’Asse dopo la conquista della Birmania – sono morti anche mille ingegneri giapponesi. Una follia insomma. Statisticamente, un morto per ogni traversina.

    Mentre un`altra guerra e altri morti in queste ore sono a Mosul e a Aleppo, riflettevo sulla Giornata delle Forze Armate. Che senso ha glorificare la guerra? Certo si tratta di rispetto per i Caduti che hanno dato la loro vita perche` qualcuno glielo ha ordinato...

   Leggendo i loro nomi a uno a uno mi chiedevo se veramente non sia il caso di mettere all`ingresso dei cimiteri di guerra una avvertenza come quella sulle sigarette: `la guerra e` dannosa per chi la pratica`.

A EST DELLE INDIE - BIRMANIA/LA FOTO/Hpa An, grotta di Saddar

Hpa An, 3 novembre 2016


A EST DELLE INDIE/Moulmein, dove Kipling si e' innamorato della Birmania

Mawlamyne (Moulmein), Birmania, Primo Novembre 2016

   Sono arrivata in Myanmar (dalla frontiera di Mae Sot) e ho fatto sosta nell'ex porto britannico di Moulmein dove ho fatto una piacevolissima scoperta.  Rudyard Kipling infatti ci ha dedicato una poesia, che trascrivo qui di seguito in italiano. Frank Sinatra poi ne ha fatto una canzone che invito ad ascoltare mentre leggete il blog.
   Letta con gli occhi moderni non e' proprio 'politically correct', ma ovviamente va messa nel contesto coloniale...il soldato Kipling, che ha vissuto un paio di anni in questo porto famoso per il commercio del tek, si e' innamorato di una ragazza birmana che aveva sedotto in un tempio davanti a un Buddha ("idolo pagano"). Si strugge nel suo ricordo e ne esce un ritratto affascinante di Moulmein.
   Dalla mia guest house, Breeze Guesthouse, in una casa coloniale di legno blu stoviglia, guardo la baia e immagino "gli elefanti che ammassavano il tek".
    La vecchia pagodaa cui si riferisce e' probabilmente la Kyaikthanlan Paya che domina la citta' e che "pigramente guarda il mare''. Ci sono stata, e' circondata di alberi secolari e vi regna la stessa pace. Non  ci ho fatto caso, ma forse la ragazza di Kipling e' ancora li' a dare "baci cristiani' a un piede di un'idolo di fango...


Presso la vecchia pagoda di Moulmein che pigramente guarda il mare,
c’e’una ragazza birmana, e so che a me sta pensando,
giacche’ il vento e’ tra le palme e dicono le campane del tempio:
“Ritorna qui, soldato inglese! Ritorna a Mandalay!”.
Qui ritorna a Mandalay, dove sta la flottiglia:
non senti tonfar le  pale da Rangoon a Mandalay?
Sulla via di Mandalay
Dove giocano i pesci  volanti,
e l’alba balza dalla Cina come un tuono per la baia!

Era gialla  la sua gonna, verde il cappellino,
e il suo nome era Supiyolat – si’, come la regina di Thiboo,
e la vidi per la prima volta che fumava un sigaro bianco,
sprecando baci cristiani su un piede d’idolo pagano:
dannato idolo fatto di fango...
che loro chiamano il Gran Dio Buddha –
ma poco bado’ agli idoli quando la baciai li’ dov’era!
Sulla via di Mandalay...
E quando sui campi di riso c’era nebbia e il sole calava lento,
lei prendeva il banjo e cantava “Kulla –lo- lo!”.
Con il braccio sulla mia spalla e la guancia sulla mia
guardavamo i vaporetti e gli elefanti che ammassavano il tek.
Ammassavano il tek gli elefanti
nel  torrente basso e fangoso
dove era tale il silenzio che avevo paura di parlare!
Sulla via di Mandalay...
Ma tutto questo e’ sepolto nel passato – lontano e tempo fa,
e neppure c’e’ un autobus dalla riva a Mandalay;
e comprendo ora a Londra quel che dice il veterano:
“Se t’ha l’Oriente chiamato, piu’ non baderai ad altro”.
No, piu’ non vorrei badare ad altro
Che all’acuto odore dell’aglio e delle spezie,
e al sole e alle palme e alle tinnule campane del tempio,
sulla via di Mandalay...
Sono stufo di consumare le suole su questo selciato grigio,
la maledetta pioggerella inglese mi sveglia la febbre nelle ossa;
anche se vado a spasso con 50 servette da Chelsea allo Strand,
che chiacchierano d’amore: ma cosa ne capiscono?
Facce bovine e mani sporche –
Oh, Signore, che cosa mai ne sanno?
Ho una ragazza carina e dolce, in una terra verde e pulita!
Sulla via di Mandalay...
Speditemi in qualche posto a est d Suez, dove il meglio e’ come il
peggio,
dove non ci sono Comandamenti e uno puo’ togliersi la sete;
giacche’ le campane chiamano, ed e’ la’ che vorrei  stare....
Presso alla vecchia pagoda di Moulmein, che pigramente guarda il mare;
sulla via di Mandalay,
dove sta la flottiglia,
coi malati sotto le tende quando andammo a Mandalay!
Sulla via di Mandalay,
dove giocano i pesci volanti,

e l’alba balza dalla Cina come un tuono per la baia!

A EST DELLE INDIE/ Thailandia in lutto, ovunque foto di re Bhumibol

Chiang Mai, 27 ottobre 2016 

   Sono rientrata in Thailandia (da Laos) dopo una ventina di settimane e mi ritrovo l`intero Paese a lutto per la scomparsa di re Bhumibol, il sovrano piu` longevo da 70 anni sul trono dell`ex regno di Siam. Quando ero a Bangkok l`88enne monarca aveva avuto una crisi, ma i medici avevano detto che le sue condizioni si erano `stabilizzate`. Poi il 13 ottobre quando ero gia`in Cambogia ho letto la notizia della morte.
  Il lutto, che mi sembra durera` un anno, e` visibile ovunque davanti ai palazzi pubblici, nelle pagode, scuole e perfino negli schermi dei bancomat.  Immagini del re, quasi tutte risalenti a decenni fa, sovrastano i palazzi e le strade. Sono dei grandi ritratti con la cornice dorata e ornati di drappi bianchi e neri.  Appena si entra alla frontiera di Nong Khai, dopo il ponte dell`amicizia Thai Lao sul Mekong, si vede subito un ritratto di Bhumibol.  Anche il villaggio piu` isolato ha il suo tabernacolo con l`immagine del sovrano a lutto.  A  Chiang Mai, che e` l`equivalente di Bangkok per inquinamento e traffico, non si suona piu` nei locali. Mi sembra perfino ci siano meno turisti.
   Su un autobus locale (sono riuscita ad evitare i bus turistici) ho chiesto a un passeggero cosa ne pensava della successione che tocca al figlio, il principe Maha Vajralongkorn, soprannominato il Playboy Prince.  Raramente i thailandesi esprimono opinioni politiche anche perche` rischiano la galera.  Invece quando ho citato l`erede al trono, ha fatto una smorfia di disgusto. Nessuno vuole il `principe scandalo` infatti e per questo la successione e` stata sospesa. 

A EST DELLE INDIE/ Laos- In battello da Luang Prabang a Huay Xai,

`The topography of the territory through which the Mekong flows gives the river its paradoxical character, since unlike many of the world`s other mighty rivers it has served to divide rather than unite the countries which lie along it` . `The Mekong. Turbolent past, uncertain future` di Milton Osborne
Luang Prabang-Pakbeng, 27 ottobre 2016 
    Il molo dove prendere la slow boat per Pakbeng-Huay xai e' a sette km dalla citta' di Luang Prabang, praticamente in mezzo al nulla. Prima era era nel centro storico, vicino al palazzo reale, poi lo hanno spostato perche’ – mi hanno detto – creava troppa confusione.

    C'e' un ufficetto della compagnia di navigazione pubblica con gli orari e le tariffe delle slow boat e delle ‘speed boat’ che ci mettono meta’ del tempo, ma sono piu’ pericolose. Poi si scende giu' dalla sponda di sabbia dove sono ormeggiate le barche, specie di lunghe house boat di legno lucido, con delle poltrone reclinabili da autobus. Per fortuna ci sono pochi passeggeri, cosi' che io ho un tavolino intero a disposizione e quattro posti.
    Quando saliamo ci danno un sacchetto di plastica dove riporre le scarpe. Il pilota siede su uno sgabello e timona di fianco, sembra una posizione scomoda, ma non puo` fare altrimenti, non c`e` posto per le sue gambe. Sono in due e si alterneranno per tutto il viaggio. Sulla prua, davanti alla cabina di pilotaggio, c'e' un terrazzino con delle piante grasse fiorite. A poppa invece c'e' il motore, i bagni e penso l'abitazione della famiglia del capitano. Questi battelli sono delle vere e proprie `house boat`.
    Questo tratto di Mekong, che sale fino al confine con la Thailandia e piu’ su verso il Myanmar fino alla Cina, si presenta subito un fiume avventuroso. E' pieno di rocce, alcune che sporgono appena. Per segnalare i pericoli ci hanno costruito sopra delle torrette di mattoni. Le sponde sono coperte da una rigogliosa foresta tropicale, mi chiedo se ci abita qualcuno. Molti alberi sono ricoperti da altra vegetazione. Dai rami pendono delle liane, un po’ qua e la’ spiccano le foglie verde chiaro delle piante di banane. Ogni tanto c'e' una chiazza di roccia chiara, una parete liscia dove non cresce nulla.
 

A EST DELLE INDIE/Ingresso in Laos tra karaoke e 'lao lao'

Muang Khuan (Laos), 26 ottobre 2016
   Sono entrata in Laos da Dien Bien Phu, l’ultima citta’ o ovest del Vietnam, passata alla storia per la sconfitta militare dei francesi nel 1954. Da li’ la frontiera e’ solo a poco piu’ di 30 km ma il paesaggio cambia in maniera radicale. Il minibus che ho preso ha iniziato a inerpicarsi tornante dopo tornate in una vallata ancora immersa dalla bruma mattuttina. Non me ne ero accorta arrivando con uno sleeper bus da Hanoi che all’orizzonte c’erano le montagne.
    Il valico di Tay Trang e’ una casetta dove uno prende il visto (35 dollari per gli europei) e paga una serie di ‘commissioni’ in valuta locale (kip) di alcuni dollari. L’ultima di 20.000 kip e’ per lo ‘stamp’. Ormai ho capito che alle frontiere e’ cosi’, ma almeno qui non sono rapaci come alla frontiera thailandese-cambogiana di Poipet, quella che ho attraversato per andare a Siem Reap. Ma la cosa buffa e' che sulla domanda di visto devo  indicare anche la 'razza'. Metto: 'white'.
   La mia prima sensazione e’ di essere in Nepal: i villaggi con le casette in legno, i bufali, galline e anatre che svolazzano nelle strade, il verde lussureggiante della foresta.
    Il villaggio di Muang Khuan, il primo centro abitato che si trova dopo due ore di bus dalla frontiera, ti riporta indietro nel tempo. Ho trovato un accogliente guesthouse con una finestra panoramica sul fiume Nam Ou, un affluente del Mekong, che domani voglio scendere per raggiungere Luang Prabang, la capitale storica del Laos. Quando sono arrivata, in diversi bar e ristorante, c’erano dei karaoke in corso che sono andati avanti fino a sera. Io pensavo fosse solo in Giappone, invece il karaoke e’ popolare passatempo anche qui. Forse e’ un modo per rilassarsi. Leggo che i laotiani amano divertirsi e che la musica popolare e’ onnipresente. Il problema e’ che a cantare a squarciagola sono spesso ubriachi...
    Il proprietario della guesthouse alla sera ha preparato dei piatti locali per cena per me e per un gruppo di ragazzi francesi (i turisti francesi sono in maggioranza in Indocina, forse hanno nostalgia delle colonie...). E poi ha offerta a tutti i ‘falang’ (come chiamano gli stranieri qui) diversi bicchierini di “lao lao”, un distillato di riso, che a quanto pare e’ l’immancabile compagno di serate per gli uomini laotiani.

A EST DELLE INDIE/ Hanoi, le baguette e la tartaruga imbalsamata

Hanoi, 25 ottobre 2016

    Mi sono innamorata del quartiere vecchio di Hanoi. Forse mi ricordano i bazar dell'India, un caos ragionato dove ognuno ha un suo posto, dal venditore di cocchi al calzolaio, dal riscio' a pedali al meccanico. Pullula di vita autentica, non da turismo usa e getta come a Saigon. Ci sono alcuni angoli di assoluta pace, ai tavoli di un bistro' che sembra di essere a Parigi, oppure immersi nella calca del mercatino notturno. L'ho girato in lungo e in largo gustando ogni tanto un 'bun cha', una zuppetta con dentro della gustosissima carne di manzo alla griglia. La cucina vietnamita mi e' completamente misteriosa e ogni volta e' una impresa ordinare un piatto.   Per fortuna i francesi hanno lasciato una grossa eredita', la baguette, che si chiama "bhan mi" e che viene farcita con carne di maiale o pollo, insalata e maionese. Un panino con i fiocchi per gi standard asiatici che puoi portarti in treno o in bus. Mi ha salvato molte volte dalla fame.

   Ad Hanoi sono andata anche a vedere il mausoleo di Ho Chi Min, lo "zio Ho"come lo chiamo qui che compare su tutte le banconote e in tutti gli uffici pubblici. Il suo corpo e'imbalsamato, nella migliore tradizione sovietica. Ma la 'mummia' di zio Ho non c'e' ora perche' per tre mesi all'anno viene sottoposta a 'manutenzione', almeno cosi' ho capito. Il gigantesco mausoleo e' di fatti chiuso, mentre si puo' visitare il palazzo che e' immerso in uno splendido giardino tropicale.
   Presto invece si potra' ammirare in un museo la famosissima tartaruga sacra di Hanoi, Cu Rua, che viveva nel leggendario laghetto di Hoan Kiem e che era considerata una sorta di mascotte della nazione.  L'animale, che appartiene a una specie rarissima di cui rimangono solo quattro esemplari al mondo, e' stato trovato morto a gennaio proprio quando il partito doveva nominare un nuovo governo. Leggo che anche Cu Rua sara' imbalsamata come Ho Chi Min.


A EST DELLE INDIE/ La Bbc e' censurata in Vietnam

Hanoi, 23 ottobre 2016
    Da quando sono in Vietnam non riesco piu’ ad aprire il sito internet della Bbc. Oggi ho scoperto l’arcano. BBC News, in lingua vietnamita ma anche in inglese, e’ da tempo censurata dal governo per il tipo di informazione indipendente. Leggo che lo chiamano il ‘Bambu’ Firewall’. Il governo di Hanoi fa infatti un monitoraggio costante della rete e quello che non piace e’ bloccato. Nel caso dei siti pornografici mi sembra un ottima cosa, ma negli altri casi e’ una palese violazione della liberta’ di stampa. E di fatti leggo che il Vietnam e’ criticato da Reporters Senza Frontiere per la repressione di blogger indipendenti. (leggi qui).
   Non avevo realizzato che la Repubblica socialista del Vietnam e’ uno dei quattro Stati al mondo (rimasti) governati dal partito unico comunista. Gli altri tre sono Cina, Laos e Cuba (per ora). La scoperta mi ha fatto vedere il Paese sotto un’altra luce.

A EST DELLE INDIE/A zonzo sul 17esimo parallelo con Terzani come guida

Dong Hoi, 21 ottobre 2016
    Potevo scegliere tra una visita alle grotte di Phong Nha (a nord) oppure a zonzo nella zona smilitarizzata (a sud) a cavallo del 17esimo parallelo. Ovviamente ho deciso per la seconda opzione e di buon mattino sono partita da Dong Hoi dopo aver noleggiato una motocicletta nella guestouse.

In borsa avevo la Lonely Planet che suggeriva di visitare delle gallerie sotterranee usate dai Vietcong e un grande cimitero, piu' l’immancabile “Pelle di Leopardo” di Terzani. E’ stata un po’ dura, perche’ di solito le escursioni alla ex DMZ (Demilitarized Zone) sono con delle guide esperte o meglio dei ‘veterani’ che conoscono i posti. In effetti da sola e’ stata dura, ma con l’aiuto di Google Map e della bonanima di Terzani e’ stata una giornata memorabile alla ricerca di luoghi simbolo di una storia che e’ stata una delle piu’ tragiche in Asia.
    “La provincia di Quang Tri, immediatamente a sud della zona smilitarizzata, e’ una terra arida di cui i vietnamiti stessi dicono che i maiali non possono mangiarci che i sassi e le galline la rena…La notte del 27 aprile le salve di artiglieria comunista su Quang Tri si sono intensificate, 1200 colpi di cannone da 130 mm in sole 12 ore... Decine di carri armati hanno iniziato a manovare intorno alla citta’. Il mugghiare dei carri nel buio e’ impressionante...un tuono che rotola sulla terra, senza che si possa sperare nulla. Non si vede niente, non si immagina niente, solo si e’ assediati da questa sferragliante bufera che sembra venire da ogni direzione ma in verita’ non si sa dove i carri siano, da dove stiano per arrivare. A Quang Tri e’ stato il panico. E’ cominciato l’esodo...". Cosi’ Terzani descrive la presa di Quang Tri da parte dei vietcong.

    Ci sono andata in quella pianura lungo il 17esimo parallelo e lungo il fiume Ben Hai che separava i due Vietnam da ovest a est. La fascia costiera tra la NH1, la “strada senza gioia”e il mare, e’ una distesa arida proprio come la descrive Terzani. Arrivando da Dong Hoi, al nord, ho attraversato il fiume su un nuovo ponte cotruito grazie agli aiuti internazionali e poi da li’ ho vagato per stradine di campagna, con un po' di timore per via dei numerosi cartelli che avvertivano della presenza di ordigni inesplosi, in direzione sud fino ad arrivare quasi a Dong Ha, anche questa rasa al suolo dai continui bombardamenti.
    Ci sono molte tombe di famiglia colorate e scolpite come pagode, ma sono di nuova costruzione e le lapidi portano date recenti. Poi ci sono dei cimiteri con delle strane tombe a forma di semisfera, sembrano da lontano delle pagnottelle, ma anche quelle non sono di soldati. Sembra che la gente usi questa inospitale terra di nessuno, piena di mine, come si vede dai cartelli di organizzazioni non governative, per seppellirci i morti. Vista su Google Map e’ una chiazza sabbiosa bianca.
    Sul mare,invece, si possono visitare i rifugi sotterranei di Vinh Moc, un enorme reticolo di gallerie usato dalla popolazione per scampare alle bombe americane e organizzare la guerriglia. E’ stata un po’ dura per me che soffro di claustrofobia scendere nei cunicoli dove la gente cucinava, lavorava e perfino partoriva. E’ proprio cosi’ che i vietcong facevano fessi gli americani e le loro bombe.
  L’altro grande vantaggio, da quanto ho capito e’ l'arci famoso 'sentiero di Ho Chi Min,' che oggi e' una striscia di asfalto in mezzo a una densa foresta. Serviva per portare rifornmenti e uomini al Sud, Era un collegamento strategico fin dal tempo dei francesi. Per questo in quelle zone hanno sganciato tonnellate di bombe
   Dopo aver visitato il cimitero nord vietnamita di Truong Song, dove delle scolaresche avevano appena acceso incensi sulle interminabili file di lapidi bianche, ho percorso il ‘sentiero’ per circa 100 km fino a rientrare, un po' stremata, a Dong Hoi.

A EST DELLE INDIE/ Da Hoi An a Hue, sulla 'costiera vietnamita'

Hue, 20 ottobre 2016
   Da Saigon ho preso il treno della ‘Riunificazione’ e dopo una notte di viaggio sono arrivata a Da Nang, a sud del 17esimo parallelo. Ci sono tre tipi di sistemazione, le cuccette (“sleeper”), poltrone (soft seat) e panche di legno (‘hard seat’). Ovviamente le panche sono piu’ economiche, piu’ o meno quanto costa un bus. Quando ho comprato il biglietto pensavo in realta’ non fosse cosi’ ‘hard’, invece sono veramente delle panche di legno stile Ottocento. Molto retro’ma decisamente scomodo. Meno male che ti danno delle coperte (l’aria condizionata c’e’ed e’ freddissima) che puoi sistemare sotto il sedere. Poi sta a te trovare la migliore posizione per dormire. Puoi distenderti con la schiena e tenere le gambe alzate sul finestrino, tipo L rovesciata. Oppure ti metti su un fianco e allunghi le gambe a squadra sull’alto sedile. Alcuni si erano portati una stuoia e si sono messi a dormire tra i sedili che mi sembrava la soluzione migliore. Per me il problema principal, in realta’, e’ stato il freddo.
  Da Nang, distrutta dalla guerra, e’una citta’ in piena espansione oggi, con i resort sul mare. Non l’ideale per sostare. Sono invece tornata indietro di 20 km a Hoi An, raccomandata dalla Lonely perche’ e’ stato un antico centro di commerci di cinesi e giapponesi nel XVI e XVII secolo e c’e’ ancora un borgo (patrimonio Unesco) che miracolosamente e’ sopravvissuto ai bombardamenti. Peccato che sia completamente occupato da ristoranti e negozi, a tal punto che si fa fatica a vedere l’architettura originale. Alla sera le strade del borgo e il fiume Thu Bon si riempiono di lanterne cinesi. E’ decisamente il luogo piu’ romantico del Vietnam, anche se del tutto finto.
    In realta’ Hoi An per me e’ stato il punto di partenza per un viaggio in moto su una delle strade piu’ belle , una sorta di ‘costiera vietnamita’. E’una strada che parte da Da Nang e che attraversa l’Hai Van Pass, un famoso valico dove ci sono dei resti di fortifcazioni francesi, e che finisce a Hue, la ex capitale all’epoca dell’impero vietnamita.
    E’ estremamente facile e cheap (17 dollari) affittare uno scooter per la giornata (che si lascia poi a destinazione). La strada che attraversa le “Marble Mountains” ha panorami mozzzafiato sul Mar Cinese Meridionale. Ma gli ultimi 40-50 km sono tra i camion dell’autostrada numero 1 (NH1) la “strada senza gioia’ perche’ e’ stata teatro di molti combattimenti.
    
Anche Hue ha un passato tragico. Terzani, in ‘pelle di leopardo’, racconta dell’assedio alla cittadella dove gli americani avevano la base. E’qui che c’e’ il fiume dei Profumi (Song Huong River), un nome romantico per un fiume che invece ha visto le peggiori atrocita’ . Ho scoperto che esiste una canzone anti guerra scritta da Biagio Antonacci dedicata a questo corso d'acqua.
    La moderna Hue e’ invece una citta’ consumistica e un po’ volgare, contrariamente alla sua fama di “capitale culturale’. Ceffi poco raccomandabili mi hanno fermata un paio di volte in strada, in pieno giorno, offrendomi della weed, marijuana. E’ un punto di passaggio obbligato per il turismo di massa e le conseguenze si vedono.

A EST DELLE INDIE/ Nel museo degli orrori di Saigon

Saigon, 16 ottobre 2016
   
  In Vietnam, come in Cambogia, e’ difficile non pensare ai massacri e agli orrori della guerra civile. Frotte di ragazzi da tutto il mondo affollano i bar ubriacandosi di birra “Saigon”, che qui costa meno dell’acqua e fumando una sigaretta dopo l’altra. D’altronde lo facevano anche i marines americani per rilassarsi dopo aver macellato i Viet Cong.
   Lo ammetto, so poche poche cose della tragedia del Vietnam e forse potre anche prendre cantonate. Non e’ colpa mia. Ero troppo giovane per leggere le cronache della guerra sui giornali negli anni Settanta. E quella guerra non c’era ancora nei testi di storia quando ho iniziato il liceo negli anni Ottanta.

   Probabilmente, se fossi stata qui come reporter, anch’io avrei parteggiato per i Viet Cong. Come scrive Tiziano Terzani, nella premessa (25 anni dopo) alla ristampa del suo famoso “Pelle di Leopardo” che sto leggendo proprio ora, “fra gli americani on la loro sofisticata, tecnologicissima macchina da guerra e i contadini-guerriglieri, la scelta era fin troppo facile”.   Sono andata a vedere il ‘museo della guerra, il “War Remnants Museum” lo chiamano ora, ma prima del 1993 era il “Museo dei Crimini di Guerra Americani”. Il nome e’ stato rimosso dopo la normalizzazione dei rapporti con Washington, ma la sostanza e’ la stessa.
   Il museo sorge sul posto che era dell’agenzia della propaganda Usa, la United States Information Agency. E’ un edificio semplice dove non ti aspetti di trovare delle immagini cosi’ cruente che secondo me andrebbero vietate ai bambini. Alcuni dicono che e’ propaganda anti americana, a ma sembrano invece solo un nudo e crudo elenco di ‘fatti’ in ordine cronologico che testimoniano un periodo storico che va dagli anni Sessanta al 1975. Non penso che all’epoca si usasse Photoshop anche se alcuni dicono che l’allunaggio non sia mai avvenuto. Certo, e' vero, si mostra solo una faccia della medaglia, mancano gli orrori commessi dal regime nord vietnamita contro i dissidentie oppositori,
   Sono immagini che ovviamente in Occidente si tende a dimenticare perche’ sono la coscienza sporca degli Usa e dei suoi alleati. Ci sono le testimonianze delle vittime del napalm e del “gas arancio”, le foto delle malformazioni causate dalle armi chimiche, di intere foreste distrutte dagli esfolianti...e i bombardamenti a teppeto dei villaggi e il massacro di My Lai...Poi le immagini shock delle torture sulla popolazione civile, i GI che esibiscono teschi e trofei umani...Ripeto, sara’ forse propaganda governativa, ma le immagini sono li’ a ricordare gli abusi che purtroppo anni dopo si sono ripetuti in Iraq, Afghanistan, Guantanamo Bay e Dio-solo-sa dove in questo momento.

   Ho trovato qui anche l’originale del famosissimo scatto di Phan Thi Kim Phuc, noto come la ‘napalm girl’ che ha vinto il Pulitzer nel 1972. Il fotografo vietnamita dell’AP, Nick Ut, ha regalato il negativo nel 2013. Leggo su Wikipedia che la ragazza, oggi 53enne e diventata canadese, e’ ancora oggi in cura per le conseguenze del micidiale gas usato dai sud vietnamiti e dai loro alleati americani. Sempre a proposito della celebre foto leggo sempre su Wikipedia che Nixon, in una conversazione con un suo consigliere (resa pubblica dopo la declassificazione degli archivi sulla guerra), si era chiesto se era ‘autentica’.
   Tra i visitatori del museo ho visto molti americani e mi sono chiesta come potevano sentirsi. Molti pensano che volutamente il governo esibisca qui solo un lato della medaglia. Barack Obama, quando e’ venuto a Saigon a marzo, e’ stato ricevuto come una rock star. Washington non ha mai chiesto scusa mi sembra anche se orai si sa tutto delle operazioni segrete della Cia perche’ sono state declasssificate.

    Ha pero’ revocato l’embargo sulla vendita di armi, retaggio della guerra fredda, accogliendo quindi il'comunista' Vietnam tra gli amici fidati.  Il presidente Richard Nixon, altri tempi e altro partito, voleva buttare la bomba atomica. Era stato Bill Clinton a riallacciare le relazioni diplomatiche nel 1995.
   Da due anni c’e’ il MacDonald a fianco della chiesa di Notre Dame e indovinate chi ha il franchising per il Vietnam? Il cognato dell’ex primo ministro, Nguyen Tan Dung, ex vietcong silurato dal Partito Comunista a gennaio. Insomma gli americani sono uscito dalla porta ma sono rientrati dalla finestra (per restare).

A EST DELLE INDIE/Saigon, il regno dei motociclisti

Saigon (Ho Chi Min City), 15 ottobre 2016

   La prima cosa che mi ha colpito di Saigon e' la quantita' impressionante di motociclette. Sono arrivata ieri sera con un bus da Phnom Penh e a piedi mi sono incamminata verso la zona di Pham Ngu Lao, che e' il ghetto turistico, una sorta di Khao San road vietnamita. Avevo letto che Saigon era una citta' godereccia, ma non mi aspettavo di vedere una cosi' grande massa di giovani in strada e nei locali, soprattutto ragazze.
   Le due ruote formano un fume in strada e invadono qualsiasi spazio su marciapiedi e aree di sosta, sono decisamente superiori al numero di auto. I bus sono inesistenti, i taxi pochissimi. Stranamente qui non ci sono i tuc tuc come nella maggior parte dell'Asia, ma i 'moto taxi'. Sostano sui marciapiedi in attesa di clienti, ma spesso e' difficile capire se sono 'mototassisti' o gente ferma per fatti suoi.
La circolazione  e' completamente anarchica e non ho mai visto poliziotti o qualcuno che fermasse quelli che andavano in contromano o passavano con il rosso. Le moto sono  cosi' tante che formano una specie di 'massa d'urto'  impedendo a volte la circolazione alle auto.  Deve essere un incubo per un automobilista farsi largo tra l'enorme flusso che visto da lontano sembra uno sciame di api impazzite. Nelle tangenziali, una corsia e' dedicata esclusivamente alle due ruote.
Prendendola come una sfida, ho deciso di mettermi alla prova. Ho noleggiato uno scooter (5 dollari al giorno) e sono andata a visitare un antico tempio, Giac Lam Pagoda, che e' un po' fuori dal centro. All'inizio ero un po' impacciata perche' non mi trovavo con la guida a destra, ma ci e' voluto poco per mostrare le mie prodezze imparate in anni di traffico a New Delhi. E' molto piu'divertente qui, perche' mentre in India bisogna stare attenti a auto, bus e tutti quelli che sono piu' grandi di te, qui le due ruote hanno la supremazia assoluta.  Ed e' ammesso tutto, dal tagliare la strada, al contromano, allo zig e zag, senza alcuna protesta da parte degli altri motociclisti. Al massimo una clacsonata, ma assolutamente nessuna reazione verbale o gestuale. Imperturbabili come un Buddha.